"Le donne devono indignarsi", si dice da varie parti. Perche solo noi, mentre su tutti i temi di rilevanza generale si dà parola solo agli uomini come esseri pensanti?
Sono stata sollecitata a firmare appelli e a partecipare a qualche trasmissione sui temi che in questi giorni riempiono le pagine dei giornali. Le donne, si dice da varie parti, devono indignarsi.
Non ho firmato, non ho partecipato. Certo mi sento coinvolta, perplessa; e stanca di tutto questo. Ma provo a dire due cose.
La prima è che indignata, perplessa, preoccupata, lo sono non soltanto per le recenti vicende, dichiarazioni e gossip vari. Lo sono, da molto tempo, perchè c’è un sistema di governo che proprio non funziona; i media sono (quasi tutti) pronti a saltarci sopra, a queste notizie; e nello “spazio pubblico” queste questioni – non irrilevanti, certo – sono da mesi al centro del dibattito politico (e della cultura) del paese. Prendere posizione sul fatto che le donne (dunque, anch’io e molte come me) non si indignano abbastanza; e dire che dovrebbero concentrare l’attenzione su queste vicende, non mi va bene. Non mi va bene che si assumano le vicende di cui si parla in questi giorni come una specie di segnale che d’improvviso ci dovrebbe rendere più consapevoli e attive, farne una nostra priorità. Perchè dovrei sentirmi più “disturbata” io di altri (maschi e femmine)? Non è una questione che riguarda le donne in modo particolare: ci riguarda tutti. Guardare alle pesanti vicende che attraversiamo augurandosi che ci sia finalmente uno “scossone” e che si riesca a vivere in Italia in maniera più decente: non è una “questione di donne”.
E la seconda cosa. Potrà sembrare che, nonostante quello che ho detto prima, io porti l’attenzione, appunto, su una “questione di donne”: e invece, anche qui, si tratta di uno spostamento di attenzione e di consapevolezza che riguarda il clima complessivo, la cultura del paese.
La faccio breve. A lungo si è dato per scontato che soltanto gli uomini prendessero la parola su questioni generali, e importanti. A un certo momento, e per alcuni anni fa, qualcosa è cambiato e si è fatto in modo di evitare “vuoti” e squilibri troppo pesanti. Io però ho continuato a osservarla, questa cosa: senza impegnarmi in studi e cifre ben documentati, solo leggendo quotidiani e settimanali.
Accenno ad alcuni “casi”: si tratta di notizie uscite più o meno nell’arco una decina di giorni, tra metà e fine gennaio 2011. Presentando sul Corriere della Sera (19 gennaio) il libro di Alessandro Tocino "Popstar della cultura", Pierluigi Battista discute dei meccanismi che creano visibilità a intellettuali come Camilleri e Saviano, Beppe Grillo e Carlo Petrini, e ancora Giovanni Allevi e Mauro Corona. Il libro analizza - in chiave anche critica - i diversi modelli e strategie adottati da queste persone, comunque tutte rilevanti nella sfera pubblica e come intellettuali. E tutti uomini.
Negli stessi giorni si è parlato di un altro libro, "Dove andremo a finire?", di Alessandro Barbano. Sul Corriere della Sera del 19 gennaio, un articolo ha il titolo “Otto voci sull’Italia” (e il 27 gennaio L’Espresso pubblica un’intervista a Giuliano Amato, una delle “otto voci”). Le altre: Umberto Eco e Umberto Veronesi, Sergio Romano, Giuseppe De Rita, il cardinale Angelo Scola e il fisico Nicola Cabibbo. C’è anche la psicoanalista Simona Argentieri. Dunque 7 a 1.
Presentate a piena pagina, le “Iniziative del Corriere” propongono nei prossimi mesi numerose pubblicazioni, "I classici del pensiero libero", (Galilei e Kant e Gandhi e altri; e c’è Simone Weil). Le prefazioni, di importanti firme, tutte “maschili”. Se la situazione nei secoli passati era scontata, nella fase attuale però si va anche peggio.
Un ultimo “dato”. Tutte le settimane, nel Venerdì di Repubblica, autorevoli rubriche su questioni di attualità. Una, curata da Natalia Aspesi, è "Questioni di cuore", mentre gli altri autori, tutti uomini, si occupano di ben altre “questioni”.
Dunque, per i temi di interesse e rilevanza generale, siamo tornati a considerare gli uomini come quelli che pensano. O , semplicemente, non li si ritiene importanti, questi criteri e meccanismi.
Non so se proprio mi “indigno”, ma certo ci faccio caso, al riproporsi di questi segnali. Forse ci sono in giro uomini che arriveranno a farci attenzione. Anche qui, non è una “questione di donne”.
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