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L’economia sommersa e il pareggio di bilancio

30/11/2012

Mettere in ordine i conti pubblici è impossibile senza fare i conti con l’economia sommersa e l’evasione fiscale ad essa collegata. Guardiamo le traiettorie dell’economia visibile e insibile, e il gettito fiscale che potrebbe essere recuperato

Una rilettura della dinamica degli aggregati finanziari sottostanti le manovre di bilancio dei governi Berlusconi-Monti che includa esplicitamente anche il contributo dell’economia sommersa, evidenzia la drammatica ovvietà che in assenza, o in presenza di un apporto anche relativamente modesto del sommerso, non ci sarebbe stato alcun bisogno di misure correttive di finanza pubblica, che hanno condotto negli anni ad una clamorosa pressione fiscale e alla compressione delle politiche sociali e per la crescita economica, senza tuttavia affrontare, né ovviamente risolvere, i veri nodi strutturali della nostra società, principalmente l’evasione fiscale e l’illegalità diffusa [1].

Sulla base del valore aggiunto dell’economia sommersa stimato dall’Istat otteniamo, per gli anni 2000-2011, un valore del sommerso pari in media a 238 miliardi di euro all’anno. Negli stessi anni, il rapporto tra totale entrate complessive e PIL è stato pari al 45,5%. La pressione fiscale effettiva calcolata sulla sola economia regolare, ovvero sui soli redditi dichiarati al fisco, è stata pari in media al 55%. Se l’economia sommersa fosse stata tassata alla stessa aliquota (apparente) del 45,5%, essa avrebbe generato entrate complessive per circa 1.312 miliardi di euro, con una media di oltre 109 miliardi all’anno, che rappresenta il valore delle risorse finanziarie sottratte al fisco e, dunque, al finanziamento delle politiche pubbliche.

Se sommiamo al totale delle entrate complessive (TEC in figura) il gettito potenziale del sommerso così calcolato, otteniamo il valore del totale delle entrate potenziali (TEPOT) che risulta ampiamente superiore al valore totale della spesa finale (TSF) e, ovviamente, alla spesa finale al netto degli interessi (SFN) che finanzia le politiche pubbliche. Osserviamo che l’evasione fiscale (TEAPOT–TEC) viene “finanziata” dal gettito complessivo dell’economia regolare e, in parte, attraverso l’indebitamento sul mercato.

Le manovre predisposte nel 2011-12 dai governi Berlusconi-Monti avevano l’obiettivo, attraverso il perseguimento del “pareggio di bilancio” già nel 2013, di finanziare il 100% degli interessi passivi e contribuire anche al finanziamento di una quota dei titoli pubblici in scadenza, riducendo per questa via lo stock del debito pubblico. Il valore degli interessi passivi veniva stimato (nel 2011) a oltre 270 miliardi per il triennio 2012-14, e ipotizzando una riduzione dello stock del debito di un punto percentuale di PIL per ogni anno del triennio, complessivamente circa 48 miliardi, l’obiettivo era di raggiungere un saldo primario pari a circa 318 miliardi di euro, circa 106 miliardi in media ogni anno. Il rapporto Debito/PIL era stimato al 123,4% nel 2012, 121,5% nel 2013 e 118,2% nel 2014.

Il finanziamento degli interessi passivi e il rispetto degli obblighi europei sulla riduzione del debito pubblico (fiscal compact) assumono così, attraverso il saldo primario che li deve finanziare, il ruolo di variabili strategiche (“indipendenti”) e le politiche sociali e di sviluppo assumono un ruolo residuale.

La pressione fiscale effettiva, calcolata sui soli redditi dichiarati al fisco, sarebbe passata da una media del 55% negli anni 2000-11, ad oltre il 64% nel triennio 2012-14, scontando pesantemente le conseguenze della manovra. La pressione fiscale sui redditi evasi sarebbe rimasta, ceteris paribus, pari a zero, e il contributo del sommerso al saldo primario si sarebbe sostanzialmente limitato al valore dell’IMU da esso generato.

In ogni caso, il gettito potenzialmente generabile dal sommerso nello stesso triennio, poteva essere stimato in oltre 350 miliardi di euro, un valore ampiamente superiore al pur cospicuo saldo primario complessivo generato dalla manovra, un “avanzo” che avrebbe potuto consentire di perseguire, oltre ad un riequilibrio delle finanze pubbliche, anche obiettivi di giustizia sociale e di crescita economica.

Il perseguimento di un saldo primario quasi interamente finanziato a carico dell’economia regolare ha rappresentato invece per il governo Monti una soluzione concreta ed “immediata” al pareggio di bilancio e perfettamente in linea con l’obiettivo di realizzare uno “stato leggero”. Essa comporta tuttavia conseguenze significative sulla distribuzione del reddito – con l’evasione fiscale che continua ad essere finanziata dall’economia regolare e rendere cosi ”irrilevante” per il governo l’adozione di incisive ed efficaci misure di lotta all’evasione e all’illegalità – e sulla domanda interna, penalizzando le prospettive di crescita e lo stesso risanamento del bilancio pubblico.

Infatti, tale manovra, in combinazione con le politiche deflazionistiche adottate anche da altri paesi dell’Eurozona, sta producendo, nel 2012, una contrazione del PIL stimata in –2,4%, con una stima di una ulteriore diminuzione del –0,2% nel 2013, con il conseguente innalzamento del rapporto Debito/PIL, ora stimato a 126,4% nel 2012 a 127,1% nel 2013 e 125,1% nel 2014 (120,1% nel 2011).

In figura rappresentiamo gli andamenti delle grandezze finanziarie originariamente previsti in conseguenza della manovra (con il PIL in crescita) e semplicemente estrapolati al 2016. Le spese finali al netto degli interessi (SFN) denotano il finanziamento netto delle politiche pubbliche - a carico del gettito generato dall’economia regolare (TEC) che incorpora, dal 2012, il contributo dell’IMU generato dal sommerso. Lo stesso gettito finanzia gli interessi passivi (TSF–SFN) e la riduzione di una quota dello stock del debito pubblico per un valore pari alla differenza tra entrate effettive e spese finali (TEC–TSF). L’importo (MERC–TEC) rappresenta il ricorso al mercato necessario a finanziare quella quota del debito pubblico che giunge a scadenza, ma non è finanziata dalle entrate totali.

Le entrate totali potenziali, inclusive del gettito potenzialmente generabile dal sommerso (TEPOT), risulterebbero, ceteris paribus, ampiamente superiori alle spese finali comprensive degli interessi passivi e più che sufficienti alla restituzione di una quota di debito pubblico, nonché a finanziare obiettivi di equità e di crescita economica.

La manovra sul pareggio di bilancio ha fallito i suoi obiettivi di riequilibrio finanziario e ha contribuito a precipitare l’economia nella seconda recessione nello spazio di tre anni, senza peraltro contribuire al superamento dei nodi strutturali del sistema.

 

[1] Per un contributo più analitico si rimanda a Morciano M., “Pareggio di bilancio, politiche pubbliche e finanziamento dell’evasione fiscale”, Astrid Rassegna n. 153, febbraio 2012.

 

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Commenti

risposta all'ultimo commento

grazie per la risposta ma ancora non ho capito come si recuperano 107 miliardi di gettito fiscale da "operatori marginali" che per stare alla sua definizione se dovessero pagare le tasse semplicemente uscirebbero dal mercato, grazie

Risposta ai commenti di Tommaso Mancini e Renato

Risposta ai commenti di Tommaso Mancini e Renato

La Costituzione stabilisce, art. 53, che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contribuitiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. I termini “tutti”, “capacità contribuitiva” e “progressività” contribuiscono a definire una legislazione che già tiene conto dei contribuenti ricchi, poveri e “marginali”.

Lo stato non può intervenire se non indirettamente e in misura relativa per combattere la disoccupazione o il fallimento delle imprese. Come non è possibile assegnare ai disoccupati un sussidio di disoccupazione pari allo stipendio che percepirebbero lavorando regolarmente, così non è possibile riconoscere da parte dello stato ad un’iniziativa imprenditoriale non remunerativa un sussidio pari ad un profitto (o reddito) in linea con quello delle imprese più remunerative.

In quest’ultimo caso il mantenimento di imprese non competitive a spese della collettività distorcerebbe gravemente la concorrenza danneggiando seriamente le imprese sane. In ogni caso sarebbe preferibile favorire le imprese più competitive, che non le iniziative non economicamente sostenibili (sono le imprese più competitive ed esportatrici che assicurano il nostro tenore di vita).

Chi non paga le tasse perchè “opera al margine” riceve di fatto un sussidio dai contribuenti che pagano le tasse. In particolari situazioni, oltre agli ammortizzatori sociali per imprese e lavoratori in crisi, si potrebbero prevedere “ammortizzatori fiscali”, cioè forme di sussidio che però dovrebbero essere definite dal parlamento attraverso leggi dello stato. Non è accettabile che uno si definisca da solo (al di fuori di una previsione di legge) il “diritto” di essere sussidiato dalla collettività e non paghi le tasse per finanziarsi in proprio tale sussidio. Le leggi non possono essere considerate come un menù à la carte dove ognuno prende e dà quel che gli conviene.

Quanto alla natura del sommerso esso è stato definito dall’Istat come dall’insieme dei “diversi tipi di comportamento fraudolento degli operatori economici riguardo alla normativa fiscale/contributiva” ed è stato anche misurato (Istat, “La misura dell’economia sommersa secondo le statistiche ufficiali. Anni 2000-2008”). Nel mio articolo ho citato alcuni dati sull’economia sommersa e sul gettito potenziale ad essa attribuibile ricavati dai dati Istat. Il valore dell’economia sommersa è stimabile in media per gli anni 2000-2011 (su base Istat) in circa 238 miliardi all’anno. Tassando questi redditi al 45% (aliquota complessiva di Irpef, Iva, Accise, Imu, contributi previdenziali, etc...) essa produrrebbe un gettito aggiuntivo di oltre 107 miliardi all’anno.

Dunque l’assoggettamento ad imposta del sommerso produrrebbe un gettito aggiuntivo di oltre 107 miliardi all’anno che sarebbero più che sufficienti, insieme alle altre entrate dell’economia regolare, per evitare una crisi di nervi da spread e contribuire ad azzerare il deficit di bilancio, ridurre il debito pubblico e finanziare la giustizia sociale e la crescita.

Più in generale, per comprendere meglio il fenomeno dell’evasione fiscale pensiamo ad un condominio nel quale diversi condomini non pagano le proprie quote. Le quote pagate dagli altri condomini più onesti potrebbero non essere sufficienti per la manutenzione dell’ascensore, per la pulizia delle scale, la luce e l’acqua, il riscaldamento, etc.. Se l’ascensore è rotto gli inquilini degli ultimi piani dovranno magari pagarsi di tasca propria le riparazioni, così “sovvenzionando” l’uso dell’ascensore anche per quegli inquilini che non pagano le proprie quote. Immaginiamo l’atmosfera nelle riunioni di condominio..! E se l’amministratore è disonesto e intasca i soldi del condominio invece di pagare il gasolio del riscaldamento..? Una situazione del genere induce comportamenti sempre più incivili e porta al degrado della proprietà. E noi tutti viviamo in quel condominio che è la Repubblica italiana.

M.Morciano

per renato

sicuramente l'effetto non può essere nullo, ma personalmente non ho alcun dato che mi aiuti a capire la misura del fenomeno. Speravo quindi in un intervento dell'autore

per Tommaso Mancini

L'autore assume il sommerso per dato quindi l'assoggettamento ad imposta avrebbe un effetto nullo o non considerevole, lei la trova una conclusione condivisibile? io no

Natura dell'economia sommersa e sua tassabilità

Salve,
la ringrazio innanzitutto per la sua analisi dettagliata, che condivido per quanto riguarda l'impostazione di principio. Una questione importante che, per quel che posso vedere, resta sempre inevasa, nel suo come in altri articoli, è la natura dell'economia sommersa e la possibilità di tassarla con le aliquote di riferimento per l'emerso. Questo problema è marginalmente affrontato, in maniera un po' "folcloristica", in un articolo di Boldrin (noisefromamerika.org/articolo/stultum-facit-fortuna-quem-vult-perdere), senza però che si giunga a una risposta definitiva. Cito comunque quanto dice Boldrin nel paragrafo "Non basta: sono anche incoerenti" (il riferimento è a un documento economico del PD del 2010): "i miliardi di euro di PIL non dichiarato non sappiamo bene quanti siano dei ricchi e quanti di imprese/lavoratori marginali o marginalissimi. Questi se li tassi spariscono perché vivono, appunto, al margine". Vorrei conoscere quindi la sua opinione in merito. Se l'argomento è stato invece già trattato, mi scuso e chiedo cortesemente un qualche riferimento.

Grazie

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