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Il piano Ilva per Taranto: inconsistente, inadeguato e sospetto

12/03/2013

Il piano dell’Ilva per ristrutturare e tutelare l’ambiente non è credibile, apre la cassa integrazione e prepara il tramonto dell’impianto di Taranto

Il 19 febbraio 2013 Ilva ha presentato un piano operativo per lo stabilimento di Taranto ritenendo così di ottemperare a quanto richiesto dal documento AIA 2012. Nello stesso tempo l’azienda ha richiesto la cassa integrazione per 6.500 operai, giustificandola appunto con le fermate lavoro rese necessarie dalla ristrutturazione.

L’analisi del piano dimostra come l’azienda non intenda affrontare il risanamento di Taranto ma anzi usi l’emergenza ambientale per portare avanti strategie di sganciamento dall’area tarantina.

Il documento dell’azienda non fornisce cifre, ma indica le principali aree di intervento e i tempi di realizzazione. Il programma si dovrebbe sviluppare nell’arco del 2013 e 2014 e prevede la fermata e il conseguente rifacimento delle batterie di cokeria, la copertura del parco minerali, interventi sull’impianto di agglomerazione e sui convertitori. Per quanto riguarda gli altiforni, resterebbe in pieno funzionamento l’impianto 4, verrebbero invece fermate l’unità 1, da gennaio 2013 a luglio 2014, l’unità 5, che verrebbe chiusa da agosto a dicembre 2015, e l’unità 2 per tutto il 2013. È evidente come l’Ilva cerchi di sincronizzare le operazioni di rifacimento delle batterie della cokeria con gli interventi sugli altiforni.

La cokeria è una delle principali fonti di inquinamento. L’azienda ha escluso la possibilità di spostare questa unità produttiva in modo da collocarla più lontano dalle aree abitate. Ha, inoltre, deciso di rifare le batterie, anche le più critiche, come le 3, 4, 5, 6, (che erano state spente e riaccese a freddo), senza prendere in considerazione la possibilità di chiuderle definitivamente e di costruirne delle nuove, con tecnologie più moderne e quindi a più basse emissioni.

Il dubbio che la soluzione del semplice rifacimento delle batterie sia insufficiente sotto il profilo ambientale deve essere venuto anche all’Ilva. L’azienda ha infatti prospettato l’adozione della tecnologia denominata “Coke Dry Quenching”, in sostituzione dell’attuale “Wet Dry Quenching”. Messa a punto negli anni ’60 nell’allora Unione Sovietica, il raffreddamento a secco rispetto a quello ad acqua è una tecnologia largamente diffusa in Giappone e in Corea (è adottata rispettivamente da circa il 90% e il 70% degli impianti di questi due paesi) ed è in rapida espansione in Cina, dove sembra sia presente in almeno il 30% degli stabilimenti.

Questa tecnologia abbatte drasticamente i consumi energetici, permette un recupero dei vapori di risulta (rendendo possibile la cogenerazione e il teleriscaldamento), riduce le emissioni, sia di CO2 che di altre sostanze, e migliora la qualità del prodotto di coke. È poco utilizzata nell’Unione Europea e negli Stati Uniti, in quanto l’investimento necessario è venti volte superiore rispetto alla spesa richiesta dalla “Wet Dry Quenching”. Inoltre, per le caratteristiche del coke prodotto, aumentano notevolmente le emissioni inquinanti nella movimentazione del prodotto da cokeria agli altiforni.

Un eventuale utilizzo della “Coke Dry Quenching” richiede una revisione complessiva della logistica di stabilimento e non è serio evocarla senza un progetto complessivo del layout e in particolare dei sistemi di movimentazione. Come si può pensare di adottare questa tecnologia prevedendo un semplice rifacimento delle batterie di cokeria, peraltro vetuste (hanno almeno 30 anni di vita)? E poi, per quali motivi l’azienda non ha fatto già ricorso alla Coke Dry Quenching? Non è vero, quindi, che lo stabilimento di Taranto doveva e deve per forza inquinare? Si confermano, implicitamente, le gravi responsabilità della proprietà e la mancanza di una reale politica di investimenti rivolta non solo alla salvaguardia ambientale ma anche alla ricerca della competitività.

L’autorità giudiziaria ha più volte chiesto un intervento immediato sull’altoforno 5, ritenendolo una fonte importante di inquinamento. Ebbene l’azienda ha deciso di fermare l’altoforno 2 (rifatto nel 2007!) e di rifare il 5 solo nella seconda metà del 2014. Per dispetto verso la magistratura? Probabilmente perché l’azienda continua ad anteporre le esigenze produttive all’ambiente. Infatti, Ilva intende mantenere una capacità produttiva di 6,3 milioni di tonnellate all’anno e ritiene che ciò sia possibile solo tenendo in funzionamento contemporaneamente gli altiforni 4 e 5, che hanno ciascuno una capacità produttiva nell’ordine dei 3-4 milioni all’anno. Ma perché non approfittare della crisi attuale, che vede una forte caduta della domanda di acciaio, per rifare l’altoforno 5 e prepararsi meglio all’auspicata ripresa del 2014 e 2015? Siamo sicuri che verrà veramente fermato l’altoforno 5 nel 2014? Siamo sicuri che l’azienda si muova in un orizzonte che vada oltre al 2014?

Un’analisi, anche sommaria, del piano Ilva non può non evidenziarne l’inconsistenza. L’azienda continua a “galleggiare” in una prospettiva di breve termine, mirando a prendere tempo. Questo giudizio è confermato anche dagli stanziamenti previsti. Questa informazione la dobbiamo ricavare da La Repubblica del 19 febbraio 2013, in quanto l’azienda non si è preoccupata di corredare il programma temporale con i valori previsti di investimento. Apprendiamo, in questo modo, che lo stanziamento previsto è di 2,2 miliardi di euro, ben al di sotto delle stime di esperti che indicano in oltre 3,5 miliardi di euro la cifra minima per un adeguato intervento di risanamento. Se poi togliamo dalla somma prevista dall’azienda 500 milioni di spesa per l’adozione della “Coke Dry Quenching”, sulla cui effettiva realizzazione si possono legittimamente esprimere dei dubbi, risulta che lo stanziamento è di 1,5 miliardi in due anni: 750 milioni in un anno, poco più del valore degli ammortamenti del Gruppo nel 2011 (584 milioni di euro). Senza dubbio un bello sforzo per il risanamento di uno stabilimento delle dimensioni e dei problemi ambientali di Taranto!

Ma siamo sicuri che l’Ilva voglia, o possa, effettuare un congruo investimento sullo stabilimento? L’analisi del piano fa pensare che l’azienda intenda prendere tempo e abbia già in mente uno sganciamento. Questo sospetto viene confermato dalla distribuzione della cassa integrazione nei diversi reparti dello stabilimento. Essa infatti riguarda principalmente gli addetti dell’area a freddo, non interessata dalla ristrutturazione, anche se quest’ultima viene richiamata per giustificare la sospensione dal lavoro di 6.500 persone. Al di là del cinico uso dell’ambiente per farsi riconoscere un aiuto a ridurre i costi a fronte di una caduta dei volumi di vendita, sembrerebbe che Ilva voglia concentrare la produzione dell’area a freddo negli altri stabilimenti del Gruppo e gestire l’area a caldo in modo opportunistico, aspettando di vedere cosa succede: tutto ciò a danno dell’ambiente e della sopravvivenza del sito tarantino.

È necessaria un’operazione verità, che sveli la reale posizione della proprietà, e del governo ancora in carica, e spinga a prendere al più presto i necessari provvedimenti. Ricordiamoci che l’articolo 4 del decreto legge del 3 dicembre 2012 prevede che il garante possa assumere “provvedimenti di amministrazione straordinaria” a fronte di inadempienze dell’azienda. Sarebbe, però, necessario che il garante “non dormisse sonni tranquilli” e svolgesse fino in fondo le sue funzioni di vigilanza.

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Commenti

x Antonio Maestri

Ma non dovevamo "risentirci" più? Eh, la coerenza......
Gentilissimo, quando si pubblicano i propri curriculum professionali su Internet, non dovrebbe essere un problema per nessuno ritrovarli. Del resto, si pubblicano a questo scopo.
Quello che forse non ha compreso, è che non esiste da parte mia nessuna vena di polemica né nei suoi confronti, tanto meno nei confronti della Paul Wurth, che si limita a fare quello per cui viene pagata.
Saluti.

Cara Tarantina incazzata...

Questa non è una discussione tra chi è "a favore" o "contro" l'Ilva. Qui si sta discutendo come lo stabilimento può essere risanato nel modo migliore, proprio affinché la gente smetta di morire per le emissioni.

a Taranto intanto si continua a morire..

afo 4 5 e 6 ..intanto muoiono 3 persone al mese circa e a Taranto si vive sempre col timore di chi sarà il prossimo...MESSAGGIO A CHI E' A FAVORE DELL'ILVA : VAFFAN....

Accidenti...

Accidenti, sa dove vivo, sa per chi lavoro... che dire, sono commosso da tutto questo suo interesse nei miei confronti. Un vero peccato che non sia ricambiato. Saluti. :)

x Antonio Maestri

Gentilissimo, porterei volentieri i suoi saluti al Comitato se vivessi a Taranto, ma devo informarLa che vivo più vicino a Lei di quanto possa minimamente immaginare. Come almeno il buon senso potrebbe farLe intuire, non tutti i tarantini, loro malgrado, hanno accettato di morire di Italsider o di ILVA direttamente o indirettamente.

Le auguro pertanto buon lavoro e buona copertura dei parchi primari, ammesso che non si tratti dell'ennesima farsa, visto che a quanto sembra sarebbe in corso presso il comune l’iter per il permesso a costruire, prima ancora di aver effettuato le verifiche geotecniche indispensabili per la progettazione delle fondazioni in un'area di 600.000 metri quadri, sotto la quale ci sarebbero falde acquifere.

Saluti.

E per il Signor Massimiliano...

Al Signor Massimiliano posso solo dire di portare i miei cari saluti al resto del Comitato del Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti. Ovviamente non intendo rispondere a nessuna delle sue domande... d'altra parte se mi avete bannato dalla vostra pagina è evidente che non vi interessa quello che ho da dire. A non risentirci. :)

X Riccardo Colombo - Precisazioni

Intanto la ringrazio per la sua risposta.

1) Ripeto che l'intervento previsto per le Batterie 3-4-5-6 è la TOTALE demolizione e ricostruzione, non solo per attenersi alle prescrizioni dell'AIA ma anche per sopraggiunti "limiti di età". La vita media di una batteria è di circa 40 anni. Quindi ha poco senso dire che le batterie attuali - già spente e fuori servizio - "hanno la loro età". Le batterie che verranno costruite al loro posto saranno OVVIAMENTE realizzate con "soluzioni progettuali alternative" rispetto alle vecchie. Se non altro perché l'attuale tecnologia del cokemaking ha ben poco a che fare con quella dei primi anni '70. Quindi, davvero e lo dico senza polemica, non mi è chiaro quali sarebbero queste differenti soluzioni che a suo dire Ilva non avrebbe considerato.

2) Dopo la sua "precisazione" il suo punto di vista mi è ancora meno chiaro... l'AIA prescrive a Ilva da subito il rifacimento di tutte le docce della cokeria (quindi con sistema Wet!) e solo come valutazione migliorativa futura un'eventuale studio di fattibilità sul Dry Quenching. E questo è quanto Ilva ha inserito nel proprio piano di interventi. Davvero, non capisco secondo il suo punto di vista cosa dovrebbero fare di diverso.

3) Evidentemente non mi sono spiegato bene, il 12-16 mesi indicati da me non sono il tempo di fermata dell'altoforno, ma il tempo che è necessario per le attività preparatorie PRIMA di spegnerlo. Se si fermasse l'altoforno 5 adesso, senza aver neanche iniziato le attività di progettazione e costruzione dei nuovi componenti, questo resterebbe forzatamente fermo per un tempo molto superiore... ripeto, 12-16 mesi per la progettazione e fornitura, più 5-6 mesi per l'effettivo rifacimento, si arriverebbe a 20-22 mesi di fermata. Non ha nessun senso.

4) Adesso è tardi, magari nei prossimi giorni le faccio due conti fatti meglio, comunque con due altiforni su quattro già spenti è ovvio che non possa essere alimentata TUTTA l'area a freddo. E che quindi circa il 50% degli impianti di laminazione e processo debbano essere fermati. E' vero che AFO4 e AFO5 producono complessivamente più del 50% della ghisa... ma non dimentichi che gli altiforni di Taranto alimentano anche le aree a freddo di 5 altri stabilimenti.

Per quanto riguarda la sua ultima domanda... non c'è una risposta facile. Gli interventi da eseguire sono moltissimi, il tempo specialmente per alcuni a me sembra molto ristretto. Non credo che entro i termini prescritti TUTTI gli interventi possano essere completati, ma una buona parte sì. Per quanto riguarda il lato ecenomico, davvero non so risponderle. La mia competenza nel settore è puramente tecnica.

Saluti

x Riccardo Colombo

Tutti avrebbero compreso il refuso, tranne...... i genovesi che lavorano per la Paul Wurth (guarda caso) e che dimenticano i motivi della chiusura dell'area a caldo di Cornigliano.

Alcune precisazioni

Vorrei fare alcune precisazioni in merito alle osservazioni di Antonio Maestri.

1) Per quanto riguarda la costruzione di nuove batterie rispetto al rifacimento delle attuali, mi riferivo alla costruzione di 4 batterie di maggiore taglia rispetto alle 10 attuali. Non è quindi una questione nominalistica ma si tratta di prendere in considerazione soluzioni progettuali alternative rispetto a quella di intervenire sull'attuale assetto di batterie, che, mi si conceda, hanno la loro età.

2) Mi scuso per il refuso. Quando parlavo di Wet Dry Quenching intendevo Coke Wet Quenching. Il fatto che Ilva contempli l'adozione della Coke Dry Quenching solo per ottemperare a quanto richiesto dall'AIA conferma il giudizio negativo sul piano di investimenti dell'Ilva. E' responsabilità dell'azienda formulare il programma che ritiene più valido per conseguire gli obiettivi di emissioni dell'AIA, non formulare un documento nel quale sono elencate pedissequamente quanto indicato dall'AIA.

3) L'azienda ha indicato in 5 mesi i tempi di fermata dell'alto forno n.5 e non nei 11-12 mesi indicati da Antonio Maestri. Se Maestri è nel giusto, il piano di Ilva è tanto più inconsistente. Ma a maggior ragione, se i tempi di fermata dell'alto forno 5 sono 11-12 mesi, fermarlo nella seconda metà del 2014 significa non avere a disposizione questo impianto per tutto il 2015, quando potrà esserci una ripresa del mercato. Non sarebbe meglio fermarlo oggi, in piena crisi della domanda ?

4) Nel piano operativo dell'azienda, l'area a caldo manterebbe per tutto il 2013 una capacità produttiva di 6 milioni di tonnellate, fornendo materiale sufficiente per alimentare l'area a freddo. Resta quindi la questione: perché mettere in cassa integrazione soprattutto gli addetti all'area a freddo.

Infine, mi permetto di fare una domanda ad Antonio Maestri. In base alla sua competenza del settore siderurgico, ritiene che il piano operativo Ilva sia adeguato in termini di modalità di intervento, tempi e stanziamenti economici ? Al di là delle polemiche penso che sia questa la questione fondamentale.

x Antonio Maestri

Vogliamo ancora credere o far credere che l'AIA non sia stata tagliata su misura dell'azienda per favorire in primis la produzione?
L'ILVA sta producendo a detta del presidente Ferrante 17.000 tonnellate di acciaio al giorno, pari a 6.205.000 tonnellate di acciaio annui. Come mai le lavorazioni a freddo proseguono in tutti gli stabilimenti del gruppo in Italia tranne che a Taranto?
Cosa può dirci riguardo la prescrizione 5 dell'AIA (emissioni di polveri derivanti dalla movimentazione di materiali che siano trasportati via mare), che l'ILVA dichiara di aver attuato eliminando "ogni discrezionalità nelle operazioni di sbarco dei materiali alla rinfusa, inibendo il comando di apertura benna allorquando questa risulta piena di materiale ed è in transito dalla nave alla tramoggia di scarico", a fronte di un obbligo relativo alla predisposizione di "sistemi di scarico automatico o scaricatori continui coperti"?
Cosa può dirci riguardo la prescrizione 6 (Interventi chiusura nastri e cadute mediante la chiusura completa), che l'ILVA dichiara di completare entro ottobre 2015, a fronte di un obbligo di completamento entro 3 mesi?
Non sono un tecnico, ma potrei continuare. Concludo solo dicendo che quella del 2015 è una scadenza ricorrente, e questo può significare solo "prendere tempo".

Saluti.

Ma chi ha scritto questa roba? Documentarsi prima, magari?

E' evidente che chi ha scritto questo articolo non solo non ha la minima idea di come funzioni uno stabilimento siderurgico... non si è preso neanche la pena di informarsi a dovere sulla vicenda Ilva, sui termini e sulle prescrizioni del risanamento dello stabilimento di Taranto. Procediamo con ordine:

1) L'Ilva, secondo voi, "ha deciso di rifare le batterie, anche le più critiche, come le 3, 4, 5, 6, (che erano state spente e riaccese a freddo)[sic!], senza prendere in considerazione la possibilità di chiuderle definitivamente e di costruirne delle nuove, con tecnologie più moderne e quindi a più basse emissioni". Questa frase non ha proprio senso. "RIFARE" le batterie 3,4,5,6 (come prescritto dall'AIA) vuol dire proprio demolirle e ricostruirle! E il piano prevede che le batterie ricostruite siano dotate delle tecnologie più moderne, come il PROVEN (controllo dinamico della pressione delle singole camere), come prescritto dall'AIA e nelle BAT di riferimento. In sostanza state contrapponendo due ipotesi ("RIFARE LE BATTERIE" e "COSTRUIRE NUOVE BATTERIE") che significano esattamente la stessa cosa. Ah, e anche dire che delle batterie sono state "spente e riaccese a freddo" non significa assolutamente niente.

2) Lo studio di fattibilità del Dry Quenching è un'altra prescrizione contenuta nell'AIA, quindi non è affatto vero che "L’azienda ha prospettato l’adozione della tecnologia". Comunque le tecnologie normalmente utilizzate per lo spegniment del coke si chiamano "Wet Quenching" ("Bagnato", ovvero mediante acqua) e "Dry Quenching" ("Asciutto", ovvero mediante gas inerte). L'espressione "Wet Dry Quenching" usata da voi non significa niente; per capirlo non bisogna neanche essere dei grandi tecnici, basta conoscere un minimo di inglese.

3) In ogni caso, l'utilizzo di una o dell'altra tecnologia di spegnimento non ha proprio nulla a che fare con le performances ambientali della batteria vera e propria; che sono legate alle emissioni dei fumi di combustione del gas di riscaldo alla ciminiera, e alle emissioni fuggitive di gas grezzo dalle camere durante la cokefazione. Nulla a che fare quindi con le operazioni di spegnimento del coke DOPO lo sfornamento. Quindi, anche affermare che Ilva avrebbe deciso di valutare l'utilizzo del Dry Quenching come conseguenza del "dubbio che la soluzione del semplice rifacimento delle batterie sia insufficiente sotto il profilo ambientale" non ha nessun senso.

3) L'Ilva non ha affatto "deciso" di rifare l'altoforno 5 solo nella seconda metà del 2014, ma gli è stato imposto dall'AIA. La vostra "geniale" idea di rifare l'AFO5 "subito" ovviamente sarebbe impossibile, visto che il rifacimento di un altoforno richiede un tempo di circa 12-16 mesi per le attività di progettazione e costruzione dei nuovi componenti PRIMA del suo spegnimento. Se è invece stato spento l'AFO2 è proprio perché essendo stato rifatto pochi anni fa, non necessita di particolari lavori di rifacimento (l'AIA prevede il solo rifacimento dell'impianto di depolverazione).

4) In ultimo, chiunque sappia come funziona uno stabilimento siderurgico sa benissimo che le aree a caldo e a freddo sono fasi successive della lavorazione DELLO STESSO MATERIALE. E che quindi, se vengono fermati gli impianti dell'area a caldo, di conseguenza devono essere fermati anche quelli dell'area a freddo, anche se non interessati a lavori di rifacimento o risanamento, in quanto non avranno materiale da lavorare.

Quanto sopra giusto per correttezza di informazione, a livello puramente tecnico. Saluti.

Ottima analisi

Ottima analisi, a Taranto questi dubbi sono quasi certezze. L'unico a non averne mai avuti è il governo nazionale, che ha messo in piedi il teatrino dell'AIA e del Garante, ovviamente a salvaguardia della produzione e del PIL nazionale, perché in termini concreti di salute e di ambiente non ne ha mai parlato.

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