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I sussidi all’industria, un po’ di chiarezza

18/09/2012

La torta dei soldi pubblici per l'industria è più piccola di come la si disegna. Le sorprese mostrate dai dati del Rapporto Giavazzi sui sussidi alle imprese in Italia

Nel campo delle politiche per le imprese, e in modo particolare per quella componente realizzata attraverso i cosiddetti aiuti di stato (contributi erogati alle imprese), non può essere accettabile una divisione radicale tra due sole categorie di soggetti: chi vuole eliminare le misure di sostegno alle imprese (cioè quasi tutti, a giudicare dagli editoriali sui principali quotidiani e dalle posizioni politiche espresse) e gli altri, classificati genericamente come i difensori dello status quo. Rivendico il diritto di sostenere che le politiche passate, con alcune lodevoli eccezioni, siano state sbagliate, pensate male, frutto di un modo di legiferare da cambiare radicalmente e gestite peggio. Allo stesso tempo vorrei anche affermare che in molti casi gli errori dovrebbero rappresentare un formidabile argomento per cambiare gli interventi e porre attenzione a una gestione competente e accurata.

Partiamo dai numeri. I colossali valori spesso citati negli articoli giornalistici – che riferiscono di stime oscillanti tra i 30 e i 50 miliardi di euro –, oltre ad alimentare i consueti ragionamenti sull’industria italiana sussidiata e sugli incentivi alle imprese meridionali, lascerebbero intravedere uno spazio enorme per ridurre in misura molto consistente la spesa pubblica e recuperare risorse da destinare all’abbattimento della pressione fiscale; senonché, essi riguardano solo in misura marginale i reali aiuti alle attività produttive private e in particolare alla vastissima platea delle piccole e medie imprese che competono sui mercati internazionali.

Lo sforzo di ricognizione compiuto nell’ambito della spending review consente di fare chiarezza [1], pur riferendosi a una fonte, quella del bilancio dello stato, che non rappresenta adeguatamente i benefici che raggiungono le imprese, ma solo una stima degli oneri a carico del bilancio stesso.

I trasferimenti alle imprese rilevati sono indicati nelle tabelle che seguono e sono divisi in due gruppi, quelli in conto corrente e quelli in conto capitale.

 

I trasferimenti alle imprese
trasferimenti correnti a imprese
(milioni di euro) 2009 2010 2011
trasferimenti a società di servizio pubblici 2475 3339 3771
Rai   2 143 25
Telecom   25 21 30
Ferrovia dello stato spa   1573 2113 2897
Poste   91 626 533
Poste agevolazione editoria   214 224 88
Enav   182 0 0
Gestione servizi navigazione lacuale   17 17 17
Società di servizi marittimi (Finmare)   357 181 181
Aziende di tras. in gest. diretta e in regime di concessione di competenza statale   0 0 0
Monopoli   14 14 0
trasferimenti ad altre imprese   1500 1522 1191
Crediti di imposta   33 81 32
Fondo settore marittimo   90 41 50
Contributi in conto interessi   203 188 175
Contributi alle imprese armatoriali per la riduzione di oneri finanziari   46 47 47
Fondo usura e antiracket   62 29 132
Scuole private, elementari e materne   460 398 258
Università e scuole non statali   93 89 78
Servizi ferroviari in concessione   93 93 93
Iged:mutui settore marittimo   0 0 0
Consob   18 1 0
Fondo finanziamento serv. Pubb. Viaggiatori e merci media e lunga percorrenza   18 0 0
Contributi emittenti locali   131 148 96
Altre imprese   253 407 230
Totale trasferimenti correnti   3975 4861 4962

 

trasferimenti c/capitale a imprese      
(milioni di euro) 2008 2009 2011
società di servizi pubblici 4865 2417 3940
Ferrovie dello Stato S.P.A. 4288 2047 3556
Poste   211 167 155
Finmare e servizi navigazione lacuale   3 3 5
contributi agli investimenti alle imprese   7334 9005 5854
Interventi Sistema autostrade (anas) 240 192 192
Industria navalmeccanica e armatoriale   195 173 153
Settore agricolo   143 86 97
Programma fremm (navi militari) 361 265 498
Fondo occupazione quota   52 58 40
Mutui settore trasporti 47 47 13
Sistemi ferroviari passanti 144 106 79
Fus (att. cinematografiche e circensi) 74 74 84
Salvaguardia Venezia 133 131 131
Agevolazioni imprese industriali 1665 1842 1903
di cui aeronautico 295 388 421
Fondo Competitività e Sviluppo 1705 456 607
Contributo trasporto merci 62 36 38
Fondo Agevolazioni Ricerca 207 321 278
Contributo tassi mutui agevolati 13 15 32
Rete nazionale interporti 28 39 36
Mose 59 11 1
Sicurezza stradale 20 20 20
Incentivi assicurativi (agricoltura) 191 234 157
Crediti di imposta investimenti/occupazione 347 549 318
Crediti di imposta 914 1098 414
Crediti di imposta rottamazione 61 1500 150
Reintegro anticipazioni Alitalia 0 300 0
Bonus occupazionale 0 271 50
Fondo finanza di impresa 0 390 270
Altri contributi alle imprese 673 793 294
Totale C/CAPITALE 12199 11424 9795
Totale senza trasporti e agricoltura, conto capitale e correnti 6420 8237 5060
Fonte: Analisi e Raccomandazioni sui Contributi Pubblici alle Imprese, Giavazzi ed altri Luglio 2012, Documento tratto da DEF 2012 (Tabelle V.6-18, V.6-29).

La tabella, cui curiosamente non è stato dato adeguato spazio dai commentatori, offre un quadro di grande interesse.

In primo luogo il totale: dal bilancio dello stato, i trasferimenti in conto corrente e quelli in conto capitale, globalmente, sono quantificati nel cd “Rapporto Giavazzi” in 15 miliardi (cifra molto lontana sia dai 50 che dai 30 miliardi spesso citati). Va anche detto – proprio perché è sempre utile mantenere un alto livello di “confusione informativa” – che lo stesso documento propone anche diversi valori tratti da aggregati del Conto consolidato di cassa della pubblica amministrazione, con valori che ritornano ai circa 36 miliardi ma per i quali mancano dettagli adeguati per comprenderne natura e destinatari; così pure vi sono stime su interventi quali quelli degli aiuti alla produzione di energia da fonti rinnovabili per i quali non si ha notizia di fonti e metodologie seguite. L’unica tabella comprensibile è, appunto, quella che riporta il livello di interventi, analitici, e che ammonta ai 15 miliardi di cui sopra.

In secondo luogo i beneficiari, laddove identificabili, mostrano con chiarezza che la gran parte delle risorse non è destinata al sistema produttivo privato. Se si detrae ciò che palesemente non ha nulla a che vedere con esso, il totale appare molto ridimensionato.

Per esempio, si devono detrarre le somme riferite alla Rai, alle Ferrovie dello Stato, all’Anas, alla realizzazione di Mose e interporti e a molte altre voci segnalate in grigio nella tabella (abbiamo escluso anche l’agricoltura, che rappresenta un’area a sé stante).

Il valore così ottenuto crolla a circa 5 miliardi di euro nel 2011, cifra che ancora contiene numerosi aggregati non direttamente riferibili ad aziende private (si pensi, solo per fare un esempio tra i moltissimi possibili, alle tante “Agenzie” pubbliche operanti). Va anche considerato che alcuni flussi, che pure abbiamo contabilizzato, sono annoverabili con difficoltà tra gli aiuti alle imprese (si pensi ai contributi legati a calamità naturali o a quelli che hanno come beneficiari gli occupati).

Pur riferendosi a un aggregato molto vasto e indistinto che include l’intera industria, i servizi, il turismo e il commercio; pur considerando i valori iscritti a bilancio (che, per esempio, considerano in molti casi le dotazioni per l’intervento e non ciò che realmente giunge a costituire un beneficio per le imprese) e pur valutando le spese a valore nominale, e non, come sarebbe corretto fare, in termini di valore attuale (Equivalente Sovvenzione [2]), si perviene a valori relativamente prossimi a quello da noi stimato per la sola industria in 2,7 miliardi di euro in ESL per il 2010 (www.met-economia.it) e simili anche alle somme indicate dalla Direzione generale Concorrenza della Ue. Va anche considerato che il quadro per il 2011 sarà sicuramente soggetto a una revisione al ribasso di questi valori in molti settori.

Per completare il quadro, va sottolineato che le numerose norme abrogate con la legge 134/2012 del 7 agosto (che includono in modo pressoché integrale il suggerimento del documento di Giavazzi citato nell’unica sua parte operativa) corrispondono a un valore di erogazioni pari a circa 700 milioni per il 2010 e a somme significativamente inferiori per il 2011.

Non vorrei che si pensasse ad un accanito confronto tra contabili in cui ciascuno cerca di affermare le proprie ragioni. Dietro ai numeri si nasconde un percorso interpretativo con profonde conseguenze di politica economica.

1) Se in passato l’industria italiana può aver avuto un forte supporto diretto (incentivi finanziari) e indiretto (svalutazioni competitive della lira) per operare sui mercati, il livello attuale di aiuti di stato all’industria è talmente ridotto in valore assoluto e in percentuale da rendere palesemente falsa l’idea di un’industria italiana sussidiata.

2) Persino per le regioni meridionali, nelle quali il taglio delle risorse è stato più vistoso che altrove e ove, nell’industria in senso stretto, si è giunti al di sotto del miliardo di euro l’anno di risorse erogate, la componente di sussidio è diventata trascurabile. L’idea di imprenditori industriali più attenti al contributo pubblico che alla ricerca di spazi di mercato appare datata e fuorviante.

3) Importi relativamente modesti non possono esimere dal rispettare alcune raccomandazioni generali quali quelle della massima trasparenza e della valutazione dei risultati, ma aggiungerei che gli interventi devono essere anche disegnati in modo adeguato agli obiettivi, dimensionati correttamente in relazione ai risultati attesi e gestiti attentamente.

4) Ritenere che dalle risorse attualmente erogate alle imprese private si possano ricavare somme tali da consentire efficaci e significative riduzioni del cuneo fiscale a livello nazionale (come proposte nel documento citato Giavazzi ed altri) non sembra coerente con i valori esposti. A fronte di un drastico taglio che escluda solo gli interventi per la Ricerca e quelli cofinanziati da Fondi Comunitari, a malapena si potrebbe giungere a reperire più di 2 miliardi di euro. Si ricorda che il governo Prodi nel 2007 ha introdotto una riduzione del cuneo fiscale per una cifra stimata in circa 8 miliardi di euro.

Al di là delle posizioni strettamente ideologiche, promosse quasi esclusivamente sul piano teorico, non praticabili e fondate su evidenze empiriche molto fragili, in nessun paese i governi possono rinunciare (e nei fatti non rinunciano) a influenzare o intervenire direttamente sul proprio sistema produttivo. Si può decidere se farlo in modo passivo, per esempio aspettando le varie situazioni di crisi e cercando di tamponare emergenze sociali prima ancora che economiche, o di costruire percorsi attivi in grado di sostenere le attività che sono alla base della competizione in qualsiasi settore produttivo.

L’aspetto essenziale, specialmente in fasi di crisi acuta e di stringenti vincoli sul bilancio dello Stato, è quello di ragionare su risorse e interventi reali (che, nel caso italiano, hanno la necessità di formidabili aggiustamenti e di buona gestione); paradossalmente le ipotesi di cancellazione radicale di ogni intervento pubblico, oltre ad essere riferite a entità finanziarie non così eccezionali, paiono più funzionali al mantenimento delle (disperanti) condizioni attuali della politica industriale che a un reale cambiamento.

[1] Analisi e Raccomandazioni sui Contributi Pubblici alle Imprese, Rapporto al Presidente del Consiglio e Ministro dell’Economia e delle finanze e al Ministro dello Sviluppo, delle infrastrutture e dei trasporti redatto su incarico del Consiglio dei ministri del 30 aprile 2012, F. Giavazzi, M. D’Alberti, A. Moliterni, A. Polo, F. Schivardi

[2] Si tratta di offrire delle valutazioni, finanziariamente equivalenti, che consentano di confrontare erogazioni in conto capitale con altre erogazioni che, per esempio, possono avvenite erogando mutui a tasso agevolato che, quindi, devono essere restituiti in rate appropriate.

 

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Commenti

contributi

Beh, 2,7 miliardi dallo Stato ai privati (cioè in ultima analisi ai profitti) per "intevenire nel sistema produttivo" di fronte a 78 milioni per l'università che erano 93 tre anni fa... non è solo questione di quanto si dà, ma da dove, quanto e come si toglie. La cifra va paragonata anche a questi valori per avere la misura esatta di quale politica si stia facendo (o subendo).

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