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Fiscal drag: chi l'ha visto?

13/09/2010

C'è un grande assente nel dibattito sulle tasse: il drenaggio fiscale. Che dal '90 ha colpito i redditi più bassi: chi guadagna solo 15mila euro oggi paga il 28% in più in termini reali, mentre chi sta sopra 1 milione di euro paga quasi il 10% in meno

La riduzione delle imposte dirette è diventata, da diversi anni, il tema ricorrente nell’agenda politica, dando vigore ad un dibattito che ha individuato un ventaglio assai assortito di soluzioni e provvedimenti tra cui il taglio delle aliquote, i quozienti familiari e la deduzione di tutte le spese effettuate dagli individui. Nella proliferazione di proposte l’elemento che desta maggiore meraviglia è la scomparsa, sia dal dibattito più accademico sia dalla scena dei grandi mezzi di comunicazione di un termine assai diffuso negli anni 70 e 80: il drenaggio fiscale o fiscal drag. Il drenaggio fiscale è effetto dell'inflazione, che automaticamente comporta un aumento della pressione fiscale per la progressività delle aliquote: il reddito nominale viene spinto in scaglioni con aliquote maggiori pur mantenendo costante il suo valore reale.

L’effetto del solo drenaggio fiscale, con riferimento agli scaglioni d’imposta del 1990 aggiornati all’inflazione e al lordo di detrazioni, deduzioni e addizionali varie, spiega perché, in termini di valore reale, chi percepisce un reddito di 15mila euro oggi paga il 28% in più mentre il contribuente che guadagna 1 milione di euro riesce a pagare quasi il 10% in meno di Irpef.

Nel modello di politica economica degli anni settanta e ottanta, basato sulla vecchia ‘scala mobile’ il recupero del drenaggio fiscale era la pratica comune di ogni governo e avveniva quasi automaticamente per tutelare il potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti, lasciando all’evasione il compito di favorire autonomi e similari.

Oggi nessuna forza politica o sociale chiede più con forza la restituzione del drenaggio fiscale anche se, negli ultimi vent’anni, l’inflazione, seppure moderata, ha sempre avuto un segno positivo e, anche, nei mezzi di comunicazione nessuno rispolvera il drenaggio fiscale, scomparso dal lessico politico, preferendo soluzioni ‘più spettacolari’ come il taglio delle aliquote o addirittura l’aliquota unica.

 

Le domande che sorgono spontanee sono: quanto è il peso di vent’anni di mancata restituzione del drenaggio fiscale nel prelievo di ogni individuo? Il drenaggio fiscale è così secondario rispetto al resto delle riforme fiscali? e anche, la variazione delle aliquote Irpef effettuata negli anni dai governi di entrambi gli schieramenti ha compensato nei fatti l’effetto del drenaggio fiscale? E ciò è avvenuto per tutti i contribuenti o solo per qualche classe di reddito?

Per rispondere a tali questioni sono stati messi a confronto tre sistemi di aliquote Irpef, emblematici degli ultimi vent’anni: aliquote del governo Andreotti per redditi 1990, aliquote del governo Berlusconi per i redditi 2005 e il sistema di aliquote in vigore, stabilito dal governo Prodi e poi mantenuto dalla coalizione di centrodestra, per verificare l’ipotesi se con l’indicizzazione degli scaglioni del 1990 i contribuenti avrebbero pagato di più rispetto al 2005 e al 2009.

Gli scaglioni del 1990 sono stati deflazionati secondo il coefficiente annuale di rivalutazione dell’Istat per i valori del 2005 e del 2009 e, in seguito, è stato calcolato il prelievo fiscale (al lordo di deduzioni, detrazioni e addizionali territoriali perché di difficile stima individuale), per quattro classi di reddito annuale: 15.000, 30000, 100.000 e 1.000.000 euro (Tabella 1).

Dalla lettura della Tabella 2 si nota come le classi di reddito più basse, in cui si trovano la maggior parte dei lavoratori atipici, degli operai e degli impiegati, abbiano subito un prelievo maggiore sia con il sistema attuale, sia con quello del 2005, rispetto al sistema del 1990 depurato dal drenaggio fiscale.

 

Anche le classi di reddito alte (100000 euro annui), in cui si collocano la maggior parte dei quadri e dei dirigenti, hanno visto nel tempo peggiorare la loro posizione, rispetto agli scaglioni del 1990 depurati del drenaggio fiscale e solo i redditi milionari (1 milione di euro), ovvero le oligarchie degli amministratori di grandi società e i grandi imprenditori, riescono a pagare minori imposte nel 2005 e nel 2009 rispetto al sistema del 1990 aggiornato con l’inflazione, grazie alla struttura delle aliquote assai meno progressiva.

La tabella 2 mostra come sia evidente lo svantaggio per le classi di reddito più basse che man mano si riduce fino a diventare, per i pochi contribuenti milionari, un minore prelievo.

Se poi si proiettano gli effetti dell’inflazione, ad esempio con un tasso del 2% annuo, per i prossimi 10 anni, anche chi percepisce redditi lordi medio bassi, ad esempio 28mila euro del 2009, pari a 34160 euro del 2019, con gli scaglioni attuali, se non saranno indicizzati, avrà un’aliquota marginale del 38% per una parte consistente del proprio reddito.

Quindi il drenaggio fiscale anche se scomparso dal dibattito, non è venuto meno al compito di erodere i redditi della maggior parte dei contribuenti (in particolare i meno abbienti) e gli interventi sulle aliquote, con l’eliminazione della prima (10%) e dell’ultima aliquota (50%), hanno favorito solo i milionari, con evidenti effetti distributivi negativi.

Il drenaggio fiscale è stato un fattore molto rilevante nell’aggravio delle imposte dirette e, a sfatare alcuni luoghi comuni, si nota come l’Irpef dei governi Andreotti (redditi 1990) se oggi venisse riproposta nella versione depurata, sarebbe più favorevole per le classi medio basse e più severa per quelle più agiate, come invece, il governo Berlusconi abbia in realtà aumentato la pressione fiscale sulle classi medio basse e abbia favorito assai le persone con redditi più alti e come poi, il governo Prodi non abbia invertito tale tendenza.

Si deve aggiungere anche l’effetto negativo sulla tutela dei redditi reali dei lavoratori, che oggi contrattano ex post al lordo delle imposte dirette il recupero dell’inflazione ma poi, proprio a causa del drenaggio fiscale, scontano i propri aumenti su aliquote marginali Irpef sempre più alte.

L’interesse dello Stato a ‘fare cassa’, tramite gli effetti dell’inflazione, colpendo il maggior numero di contribuenti, anche se di reddito medio basso, unita alla scarsa propensione dei soggetti della politica a richiedere del recupero del drenaggio fiscale, argomento poco spettacolare e di difficile divulgazione, hanno contribuito ad un peggioramento della distribuzione dei redditi, anzi le misure recenti di tassazione secca dei redditi da affitto quasi stigmatizzano lo svantaggio che ha il contribuente che vive del proprio stipendio rispetto a chi appartiene a classi privilegiate con ampi patrimoni immobiliari.

Una politica alternativa al tanto strombazzato taglio delle aliquote, per diminuire l’onere fiscale per tutti e per essere ‘equa’, oltre, al provocatorio invito a tornare alle aliquote del 1990 con gli scaglioni aggiornati con l’inflazione, dovrebbe concentrarsi su tre punti:

  • Restituzione almeno parziale del drenaggio fiscale
  • Ripristino delle aliquote del 10% per i meno abbienti e del 50% per i più benestanti
  • Predisposizione di meccanismi di contrattazione salariale che in sede di recupero dell’inflazione considerino anche l’effetto fiscale sugli adeguamenti: tramite maggiori incrementi salariali o tramite la loro defiscalizzazione.

     

Tali misure, unite a una maggiore incisività della lotta all’evasione, possono ridare all’Irpef lo spirito di imposta equa come anche prevede la Costituzione Italiana, migliorare la distribuzione dei redditi, peggiorata in maniera vistosa negli ultimi vent’anni, e aumentare la coesione sociale del paese.

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Commenti

Fiscal drag

Come già giustamente evidenziato da un altro commentatore, la questione del fiscal drag è stata correttamente analizzata dall'autore, che ha dovuto necessariamente partire da alcuni assunti e non avrebbe potuto tenere in considerazione tutte le possibili variabili in gioco.
Le deduzioni e le detrazioni fiscali, infatti, hanno subito varie modifiche nel corso del tempo, ma senza mai alterare in modo sensibile il risparmio fiscale.
Le detrazioni che potremmo definire "pure", ossia quelle di lavoro dipendente, di pensione e di lavoro autonomo, a cui possiamo assimilare quelle per familiari a carico, non sono mai state variate in modo decisivo, nonostante gli annunci (devo dire bipartizan) di vantaggi fiscali; anche quando è intervenuta la "rivoluzione" della no-tax area la tassazione effettiva è rimasta praticamente la stessa, tanto è vero che nella tessa dichiarazione dei redditi era previsto un meccanismo di confronto tra l'Irpef dovuta in base alla precedente normativa e l'Irpef dovuta in base alla normativa in quel momento vigente, con possibilità di versare l'importo minore tra i due.
Allo stesso modo, i principali oneri deducibili e detraibili sono rimasti sostanzialmente gli stessi: cito ad esempio negli oneri deducibili i contributi obbligatori dovuti alle gestioni previdenziali e negli oneri detraibili le spese mediche e gli interessi passivi sui mutui.
Per esperienza professionale posso affermare che, al di là degli annunci (anche qui bipartizan) di "nuove" deduzioni e detrazioni fiscali, i vantaggi effettivi per i contribuenti sono risibili; una delle poche novità introdotte che potrebbe essere considerata apparentemente rilevante riguarda la detrazione del 36% (ex 41%) delle spese di ristrutturazione degli immobili, ma anche in questo caso il meccanismo di rateizzazione di tale detrazione in dieci anni diminuisce sensibilmente il risparmio effettivo, riducendolo al 3,6% delle spese sostenute.
In definitiva, mi sembra pacifico che le variabili principali che determinano la pressione fiscale siano da identificarsi proprio nelle aliquote d'imposta e nei relativi scaglioni, alle quali ed ai quali è sicuramente assoggettata la totalità dei contribuenti, nessuno escluso.

Quale fiscal drag?

Sono d'accordo con Roberto. Non capisco perchè l'autore, anche nella replica, si ostini a dire che il suo articolo riguarda il drenaggio fiscale. Salvo poi afffermare che i milionari si sono avvantaggiati per la scomparsa dell'aliquota al 50%. Una battaglia per il recupero del fiscal drag è sacrosanta, ma inquadriamo il problema nelle giuste dimensioni,

nuovo metodo

Ho avuto da subito, ancor prima della sua replica, l’impressione che l’autore fosse cosciente della “generalizzazione” contenuta nel suo articolo. “Generalizzazione” da cui però necessario partire per poi analizzare nello specifico vantaggi e svantaggi ottenuti dai singoli nel tempo: quali dovrebbero altrimenti essere i parametri storici di riferimento?
Il conflitto da dirimere resta ovviamente, come evidenziato nell’articolo, quello intorno al rispetto della progressività che invece, per esempio, il fiscal drag non rispetta per definizione altrimenti si chiamerebbe in altro modo o non si chiamerebbe affatto. Giusto?
Per rispettare il principio della progressività bisogna fare quanto prima lo sforzo di trovare un metodo, il più condiviso e imparziale, che faccia da guida ad ogni provvedimento preso. A quel punto ci si risparmierebbero le opportune ma anche faticose e inevitabilmente complesse acrobazie intorno a chi nel tempo ci ha rimesso o guadagnato, e ci si farebbe trovare più preparati per affrontare un presente che annuncia tempi di pesanti sconvolgimenti fiscali.
Credo che l’articolo possa essere un pretesto per ripartire alla ricerca di soluzioni che, anche all’interno di una revisione in chiave sempre più federalista del nostro sistema politico, obblighino tutti al rispetto del principio costituzionale di giustizia fiscale.

Alcune precisazioni

Ringrazio i lettori e faccio alcune precisazioni:

L’articolo riguarda il drenaggio fiscale e i suoi effetti redistributivi perversi e non misura la pressione fiscale che è un’altra cosa e di cui già esistono dati ufficiali (che ne indicano comunque l’aumento dal 1990 a oggi).

Per un periodo così lungo gli elementi omogenei disponibili sono pochi (solo aliquote, scaglioni, inflazione) e per non perdere di generalità ho preferito considerare i redditi a prescindere dalla loro natura, al lordo, non solo delle detrazioni, oggi più articolate che in passato, ma anche di tutte le altre ‘variabili in gioco’ come le addizionali territoriali (che non hanno detrazioni), la pressione contributiva, redditi da fabbricati, oneri deducibili, ecc... , senza citare anche la difficoltà di confrontare il mondo più omogeneo del 1990 con quello di variegato oggi composto anche da tanti atipici e da forme di reddito ibride). Il prezzo da pagare sarebbe una minore confrontabilità per una molteplicità di casi ‘micro’ assieme al rischio di spostare l’attenzione su altri temi.

Comunque, a titolo esemplificativo posso citare come un dipendente residente a Roma, senza casa (sia con 5000, che con 15000, 30000 o 100000 euro di reddito), continui a pagare di più rispetto agli scaglioni del 1990 a prezzi 2009, considerando sia le detrazioni (da 1840E a scendere) sia le addizionali (1,9% ), peggio va ai pensionati che hanno minori detrazioni ma debbono pagare ugualmente le addizionali, mentre i milionari continuano a pagare meno che nel passato, nonostante le addizionali. discorso a parte meritano gli autonomi e gli atipici che, anche quando assimilati ai dipendenti per le detrazioni, scontano oggi una maggior pressione contributiva.

Sottolineo come gli effetti del drenaggio fiscale, pur riguardando tutti, milionari inclusi, riducano il peso della progressività fino all’estremo di trasformare l’Irpef in imposta proporzionale con un evidente svantaggio per i meno abbienti e con problemi di distribuzione dei redditi.

Nell’articolo non faccio la storia dei recuperi dei drenaggi, difficile da quantificare a ogni cambio di aliquote, ma confronto due anni: 1990 e 2009 per evidenziare proprio quanto siano evidenti gli effetti redistributivi su un lasso di tempo lungo (scegliendo per tale motivo il 1990 che è l'ultimo anno con restituzione del drenaggio fiscale: negli anni 90 ci sono state alcune restituzioni parziali mentre il sistema in vigore non ha ricevuto alcun correttivo dalla sua istituzione nel 2007).
Il confronto di due sistemi con aliquote e scaglioni diversi ha portato l’analisi anche sulla progressività e ha indicato come gli unici a ‘resistere’ agli effetti dell’inflazione siano i più ricchi anche grazie all’eliminazione dell’aliquota del 50 (anche se nel 1990 beneficiavano di qualche piccola detrazione, circa 500 euro a prezzi 2009), mentre gli altri ‘soffrono’ molto l’inflazione .

Infine trovo utile avviare un dibattito sugli influssi delle imposte sulla redistribuzione dei redditi e imposte nel nostro paese che ha visto crescere in maniera notevole le diseguaglianze, come già sottolineato in diversi studi internazionali (tra cui l’Ocse).

Il fiscal drag non c'entra niente

Si deve fare attenzione a non confondere i diversi aspetti della questione. Il fiscal drag riduce i redditi di tutti i contribuenti e per sua natura non può penalizzare le classi medio-basse o favorire i più ricchi. A differenza di quanto vuole far intendere l’autore, i risultati ottenuti non hanno nulla a che vedere con il fiscal drag. Quanto elaborato è solo l’effetto di politiche governative che hanno progressivamente spostato il carico fiscale sui ceti meno abbienti. L’analisi, peraltro, è viziata dal fatto che è stata omessa la valutazione dell’effetto su detrazioni e deduzioni, come da altri già commentato. Inoltre, non corrisponde al vero l’affermazione che negli ultimi 20 anni non è stato effettuato alcun recupero del drenaggio fiscale e quindi anche il confronto rispetto al 1990 ha poco senso. Da un ricercatore dell’Istat ci si aspetterebbe ben altra preparazione e rigore metodologico nell’affrontare temi così rilevanti.

Fiscal drag

Condivido l'assunto di fondo sul tema del fiscal drag non le cifre e il metodo. Confrontare nel tempo solo le aliquote e gli scaglioni al netto delle detrazioni non ha alcun senso perchè la pressione fiscale deriva dall'agire di tutte e tre le componenti. Posso alzare le aliquote ma se le accompagno da un aumento di detrazioni per i redditi più bassi rendo questi esenti dall'aumento delle aliquote. Tutte le riforme dell'Irpef fatte dal 1990 ad oggi sono state un misto di mutamenti di aliquote, scaglioni e detrazioni (a differenza che nel 1990 ad esempio oggi i redditi più elevati non hanno detrazioni). Il confronto temporale deve quindi essere fatto considerando tutte le variabili in gioco altrimenti è di fatto "non veritiero". Non c'è alcun problema calcolare nel tempo anche le detrazioni, basta assumere che quello considerato sia tutto il reddito dell'individuo e che derivi da una sola tipologia di reddito. L'eliminazione del fiscldrag è una cosa troppo importante per sostenerla con argomentazioni non corrette.

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