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Fiat atipico, ecco il nuovo modello

11/02/2011

Una clausola dell'accordo per Mirafiori prevede nuove assunzioni in fabbrica solo con contratti precari. Mentre la politica guarda altrove

Dopo l’accordo di Mirafiori giunge la notizia secondo cui la Fiat sarebbe intenzionata a trasferire la direzione a Detroit. D’altra parte di impegni non ne ha mai presi, né su questo tema, né sul piano di rilancio da parte della proprietà. Non è un caso che Marchionne sia sempre stato restio a mostrare il suo piano di investimenti in Italia. Sarebbe stato difficile per i suoi sostenitori e per i sindacati firmatari dell’accordo chiedere ai lavoratori di Mirafiori di votare sì per mantenere salda la presenza della Fiat nel nostro paese di fronte all’evidenza di una marginalizzazione dell’Italia nei piani di Marchionne. Il centro dei suoi interessi è negli Stati uniti e il destino della Fiat è ormai legato alla Chrysler, i cui risultati non sono certo brillanti. Oltreoceano, poi, la Fiat punta al mercato brasiliano, dove da anni è leader nella vendita di auto. Ma anche dal Brasile arrivano cattive notizie per la Fiat: per la prima volta negli ultimi otto anni, la Volkswagen la supera nel numero di auto vendute.

Ma, nonostante una strategia che guarda sempre più all’America, Marchionne non si è fatto scrupoli a richiedere pesanti sacrifici ai lavoratori di Mirafiori e a imporre il modello di relazioni industriali americano senza offrire contropartite.

Nell’accordo di Mirafiori, con l’introduzione della “clausola di responsabilità” si limita drasticamente il diritto di sciopero: risultano pressoché vietati sia gli scioperi indetti dai sindacati, sia quelli spontanei perché anche i singoli lavoratori, in quanto firmatari di contratti individuali, si impegnano a non indire scioperi per modificare le clausole dell’accordo, pena provvedimenti disciplinari che possono anche sfociare nel licenziamento. Si richiede poi agli operai di accettare un peggioramento delle condizioni lavorative, con intensificazione dei ritmi, accorciamento delle pause, aumento delle ore di straordinario obbligatorio in vista di un ipotetico e non garantito rilancio dello stabilimento di Mirafiori. Ma, anche se il piano di rilancio andasse a buon fine, se davvero si realizzassero aumenti di produttività, la clausola di responsabilità vieta lo strumento dello sciopero per migliorare le condizioni di lavoro.

Ma forse c’è di peggio nell’accordo di Mirafiori. E questo punto raramente è stato sottolineato.

Il punto 10 dell’accordo “fabbisogno organici” recita:
Il fabbisogno degli organici della Joint Venture sarà soddisfatto in via prioritaria con personale proveniente dagli stabilimenti Fiat Group Automobiles spa di Mirafiori e, successivamente, dalle altre aziende del Gruppo Fiat dell’area torinese compatibilmente con le caratteristiche professionali, al fine di assorbirne eventuali eccedenze… Eventuali ulteriori fabbisogni di organico saranno soddisfatti con il ricorso a contratti di lavoro somministrato, contratti a termine e apprendistato professionalizzante.

Tenendo conto che l’età media dei lavoratori di Mirafiori è di 48 anni, che quindi molti sono vicini alla pensione, è certo che nei prossimi anni il numero di lavoratori assunti nello stabilimento di Mirafiori sarà nettamente ridimensionato. Assorbite le eventuali eccedenze dalle altre aziende del Gruppo Fiat, si passerà ai contratti atipici. Questa costituisce un’ulteriore garanzia per l’impresa riguardo agli scioperi. Come ovvio, il precario che sciopera non vedrà rinnovato il suo contratto e quindi in tal modo la Fiat si assicurerà la presenza di lavoratori “docili” e non iscritti a sindacati non graditi dalla direzione.

Ma c’è di più. Nello stabilimento di Mirafiori ci sono attualmente circa 1.500 lavoratori a ridotte capacità lavorative: si tratta di operai che nel corso degli anni hanno contratto malattie professionali, come ernie, problemi circolatori, ecc. Se in futuro a Mirafiori le assunzioni avverranno solo o prevalentemente con contratti a termine, la Fiat avrà la certezza di ridurre drasticamente il numero di lavoratori a ridotte capacità lavorative; all’insorgere di patologie che non permettono la completa efficienza fisica degli operai sarà sufficiente non rinnovare il contratto. Il costo di condizioni di lavoro insostenibili sarà interamente scaricato sui lavoratori e sulla società, mentre l’azienda potrà assicurarsi in tal modo manodopera giovane e in perfetta efficienza fisica. E, chissà, potrà perfino richiedere un’ulteriore compressione delle pause e ritmi di lavoro più serrati. È pur vero che aumenteranno i costi di turn-over, ma la Fiat avrà raggiunto così l’obiettivo di eliminare in fabbrica sia il conflitto, sia l’inefficienza causata dal logoramento fisico dei lavoratori. Non solo, otterrà la massima flessibilità del lavoro possibile. Non sarà più necessario nemmeno ricorrere a procedure come la cassa integrazione: verranno stipulati contratti a termine solo quando sarà necessario per le esigenze dell’azienda. In periodi di ristagno sarà sufficiente non rinnovare i contratti e, se la Fiat deciderà di chiudere lo stabilimento di Mirafiori, non avrà neppure l’onere dei licenziamenti. Così il rischio di impresa graverà sempre più sulle spalle dei lavoratori.

Basterà la compressione dei diritti, lo sconquasso delle relazioni industriali, la limitazione al diritto di sciopero, la possibilità di assicurarsi in futuro solo manodopera in piena forma fisica ad accrescere la competitività della Fiat? Tenuto conto che il costo del lavoro incide solo per il 7%, è altamente improbabile che i vantaggi in termini di flessibilità e costo del lavoro riescano ridurre il divario che separa la Fiat dalle altre case automobilistiche europee, divario che non si può certo attribuire alla scarsa produttività del lavoro, ma alla debolezza aziendale sui mercati e all’assenza di nuovi modelli. E se la Fiat sposterà il centro direzionale fuori dall’Europa, le probabilità di recuperare quote di mercato nel nostro continente scenderanno ulteriormente.

Ciò che colpisce profondamente in questa vicenda è la completa assenza della politica, che si è divisa fra l’approvazione incondizionata dell’accordo da parte governativa e la sua accettazione da una gran parte del centro-sinistra giustificata da un senso di ineluttabilità degli eventi. Solo ora, tardivamente, il mondo politico nazionale e locale e i sindacati firmatari dell’accordo sembrano esprimere qualche preoccupazione. Ma ormai questo accordo rischia di estendersi a macchia d’olio e di cancellare i diritti conquistati nell’ultimo secolo dai lavoratori. I lavori precari sono sempre più diffusi, ma se questa diventerà la forma di lavoro prevalente anche in una grande impresa come è la Fiat (che comunque – ricordiamolo – non è nuova al ricorso ad assunzioni a termine), significa che gli argini si sono rotti, che il posto fisso per le nuove generazioni sarà sempre più un miraggio. La politica, anche nel centro-sinistra, non sembra rendersene conto.

Siamo di fronte a una svolta storica, a una vittoria del capitale sul lavoro. In questo quadro sconsolante merita ammirazione e rispetto il coraggio di quel 46% dei lavoratori che ha votato no all’accordo, assumendo sulle proprie spalle il peso di scelte che la politica avrebbe dovuto fare.

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