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Conti più chiari, per ri-cominciare

19/09/2011

Cosa cambierebbe in Europa con nuovi governi in Francia e in Germania? E da dove potrebbe ripartire, nelle condizioni date, un governo di sinistra in Italia?

Il governo ha presentato alle camere il testo di revisione costituzionale in materia di pareggio strutturale di bilancio (artt. 53, 81 e 117 Cost.): ci sarà occasione per tornare a ragionare con calma su questa problematica , assai densa di implicazioni per la governance della democrazia. Ora vorrei svolgere qualche considerazione sul paradigma interpretativo che dovrebbe orientare una sinistra di governo, a fronte della situazione economica in atto.

Secondo una parte importante dei commentatori economici (e la Bce sembra assumere questo punto di vista) il racconto è pressappoco questo: se la spesa pubblica è oltre il 40% del Pil è necessario stabilizzare e poi ridurre in modo duraturo questo rapporto: per far ciò occorre introdurre robusti tagli strutturali ( cioè permanenti nei programmi di spesa); gli aumenti di imposte sono recessivi e inseguono la spesa: Gli effetti dei tagli sarebbero sempre meno recessivi degli aumenti di imposta; le conseguenze negative dei tagli si possono ridurre o eliminare con appropriate misure di stimolo della crescita. Al centro di questa visione stanno i mercati che devono avere fiducia in un futuro equilibrato del bilancio pubblico. Se essi introiettano questa fiducia, dopo la stagnazione, l’economia potata dei rami secchi riprenderà a crescere. È un racconto naturalistico, quasi astorico; funziona perché queste sarebbero le leggi del marcato.

Ma siamo proprio sicuri che le cose stanno così? Non è forse necessario capire un po’ meglio dove eravamo e perché si è scatenata la crisi? Siamo sicuri che l’economia mondiale è ripartita e che sarebbe tempo di rassicurare questi benedetti mercati, molto preoccupati dell’accumulo di debito e dell’equilibrio sano delle economie? Ma se è così perché i mercati hanno lasciato accumulare mostruosi segni debitori privati ( i derivati) che non sanno bene ora come rappresentare nei conti delle banche, alle quali le agenzie di rating devono pur dare i voti?

Altri economisti sostengono, sempre sulla base di una lettura degli stessi dati di riferimento, che il racconto potrebbe essere invece questo: i mercati (finanziari) controllano un volume di segni debitori (breve, medio e lungo termine) pari a circa 8 volte il Pil mondiale; sono seduti su un vulcano; allora devono controllare day by day che questa montagna di debiti non si scongeli all’improvviso, lasciandoli in mutande per la seconda volta. Una prima bolla (subprime di origine immobiliare) è già scoppiata e si è trasmessa all’economia reale. Ci è stato raccontato che era roba americana; le nostre banche erano forti e solide. Ma la ripresa tarda a partire; e ciò avviene proprio perché i mercati si rendono conto che il potere di acquisto delle famiglie è recessivo e la disoccupazione si allarga. Ma allora che fanno questi birbaccioni dei mercati finanziari? Cominciano a guardare meglio negli andamenti delle economie e cominciano a premere sui paesi (e sulle aree monetarie) che crescono in modo troppo lento per pagare con sicurezza il servizio del debito. La pressione fa aumentare i tassi di interesse per rinnovare il debito che scade; non possono attaccare per ora direttamente l’area del dollaro e pensano bene di guardare all’euro, moneta senza Stato, cominciando dalle economie più stagnanti. Sono dei veri benefattori questi mercati; tirano le orecchie alle economie un poco discole e premiano quelle solide che tirano la cinghia ma poi dopo, tac, tutto ripartirà, come in natura quando si potano gli alberi.

Nel 1988 l’Argentina era in recessione; il Fmi (e il governo di allora) spiegarono agli argentini che occorreva rassicurare i mercati con un deficit zero stabilito nel modo più solenne nell’ordinamento giuridico; i salari dei funzionari pubblici furono tagliati del 13%; le entrate fiscali caddero drasticamente e il debito andò completamente in default; si ricominciò da zero, con un nuovo governo, una nuova moneta, staccata dal dollaro, e forti politiche di sostegno del reddito.

Molti (meno il Fmi) convennero che le indicazioni di una legge non potevano derogare alle regole dell’economia. Forse il paradigma della crescita è un poco più complesso di quanto pensassero coloro che hanno aperto la strada a modelli matematici di investimento finanziario, basati sulla autoregolazione razionale e astorica dei mercati.

Allora? Noi siamo un vagoncino (di media forza) nel treno dell’euro diretto dai tedeschi che vigilano su una moneta (euro) senza Stato. Sono gli stessi tedeschi (e francesi) che nel 2005, contro il parere della Bce, applicarono la procedura sui disavanzi eccessivi in modo da consentire alle loro stesse economie di sottrarsi alle sanzioni previste in caso di disavanzi , appunto eccessivi. Ora, con governi di centro destra, non riuscendo a cambiare la regola europea, hanno introdotto nei propri ordinamenti regole fiscali più strette e hanno chiesto ai paesi “ discoli” di fare altrettanto. Il cosiddetto Europlus è solo un atto di indirizzo politico. Mentre infuria il vento freddo della speculazione, con un situazione economica quasi ferma, il governo italiano ha pensato bene di adeguarsi “spintaneamente” alle ferree indicazioni venute da Francoforte, con la giusta preoccupazione del Quirinale. Non si poteva fare altrimenti!! E tuttavia, forse una riflessione più approfondita su che cosa dovrebbe fare una alleanza di sinistra se dovesse vincere le elezioni andrebbe condotta, ora, non domani.

Chi scrive è convinto che se in Europa guidassero le danze – in Francia ed in Germania – coalizioni di centro sinistra, le cose cambierebbero solo di poco; i tedeschi con molta prudenza, aprirebbero agli eurobonds per reti infrastrutturali (da loro fortemente controllate, insieme ai francesi) e noi dovremmo dimostrare di avere ripreso un controllo ferreo dei conti pubblici per partecipare a questa fase europea un poco più espansiva.

Allora in che cosa consiste la differenza? Che coalizioni di centrosinistra in Francia, Germania e paesi nordici (scenario possibile) guiderebbero la macchina europea sapendo che non c’è nessuna ripresa mondiale dietro l’angolo, e non ci sono ricette “naturali”; solo serie ed incisive politiche pubbliche nelle infrastrutture e nelle innovazioni, possono ridare all’economia europea slancio e prospettiva e forza nuova a tutto il processo federale europeo. Tutti devono imparare ad essere un poco più tedeschi; paese questo dove lo Stato c’è, funziona bene e la Corte costituzionale ricorda che è il Parlamento federale, titolare della rappresentanza politica e dell’uguaglianza sociale dei cittadini, che deve decidere su crisi greca, eurobond e dintorni.

In questo possibile nuovo scenario europeo, sono soprattutto gli italiani che devono mostrare di aver ripreso il controllo dei propri conti e delle proprie politiche di crescita. Dunque, la discussione sull’art. 81 Cost. e dintorni deve servire, ad avviso di chi scrive, a riordinare in profondità i piani politici della decisione di entrata e di spesa, a ridisegnare la tecnica della governance (risorse, culture, procedure dei controllo ex ante ed ex post), a ridare chiarezza ed affidabilità a rappresentazioni di bilancio dominate da un contabilismo melenso. E questa della chiarezza ed affidabilità dei conti e delle manovre, che dovranno coniugare equità, rigore e sviluppo, è la questione cruciale della democrazia rappresentativa possibile ora, in questa fase storica, alla, portata di una sinistra che vuole cambiare lo stato presente delle cose. Forse è un po’ poco, ma è quello che le “ferree” leggi della economia politica, scienza storica ed umana per eccellenza, consentono, per ora. E in questa temperie, in attesa della sovranità delle istituzioni rappresentative europee, è il Parlamento italiano, opportunamente rinnovato , nella legge elettorale e nella scelta degli uomini, che deve dare senso e prospettiva a questa fase.

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Commenti

L'alternativa è a sinistra

Cara Marina,

intanto mi permetta di ringraziarla: se veramente lei è poco competente di economia, dicendomi che sono riuscito a farmi capire mi fa il più bel complimento che un insegnante possa desiderare. Senza falsa modestia vorrei dirle che non è merito mio: dalla riforma Berlinguer in poi mi son trovato a dover insegnare cose complicate a persone semplici, e ho cercato di farlo con disciplina e onore. È stata una bella scuola, o anzi, come probabilmente presto mi toccherà leggere in qualche compito scritto, una bella squola. Vorrei però capire su cosa basa la sua certezza di poter conoscere il nostro paese senza conoscerne l’economia (la prendo come una lezione di umiltà), e soprattutto la sua certezza che io non conosca il mio paese.

Sulle potenziali conseguenze di un’uscita dall’euro mi sono espresso nel mio ultimo intervento (http://old.sbilanciamoci.info/Sezioni/globi/L-uscita-dall-euro-prossima-ventura-9819). Credo, sulla base di esperienze precedenti, che esse siano grandemente (e dolosamente) esagerate, ma non vorrei tornare su questo. Chi vivrà vedrà. Torno però a constatare che l’asimmetria ideologica colpisce implacabile: il recupero della nostra sovranità monetaria (per dirla con Bertinotti) viene da lei letto come una pericolosa licenza di svalutare, mentre, chissà perché, il mantenimento di un assetto monetario che attribuisce alla Germania la licenza di non rivalutare viene da lei vissuto come un dato del tutto fisiologico. Eppure in economia non rivalutare quando le condizioni del mercato lo imporrebbero equivale a svalutare. Perché i tedeschi possono svalutare (adesso e nei fatti) e noi no (in futuro e eventualmente)? Perché sono biondi? Lo accetto, è un argomento. Non accetto però che si continui a dare per scontato questo assurdo senza portare nemmeno un argomento! Mi sta bene anche un documentario di Leni Riefenstahl, ma, vi prego, argomentate, portate un dato!

Ma lei mi chiede dove vado a parare dal punto di vista politico. Anche questo mi sembrava di averlo detto. Non sono un esperto di politica (forse lo sono i politici, non so), e quindi posso limitarmi a una constatazione: mi sembra che in politica le bugie abbiano le gambe corte. Credo che l’impasse della sinistra, della quale tutti soffriamo, e io per primo (come si intuirà dal mio tono rabbioso, per il quale mi scuso), derivi semplicemente dall’aver mentito ai propri elettori sui costi dell’euro, ampiamente anticipati dagli economisti. Se questa ipotesi è corretta, certo, allora forse bisognerebbe smettere di mentire per fini tattici di breve periodo. Ecco dove vado a parare. Del resto, mi dica lei, secondo lei dove ci porterà questa ignobile sceneggiata per cui quando sei al governo S&P ha torto, e quando sei all’opposizione ha ragione (per me ha sempre torto), quando sei al governo sei “rigorista” e quando sei all’opposizione domandi crescita, ecc.? Ci porterà, ci ha portato, solo ai battibecchi di Ballarò con conseguente irreversibile perdita di credibilità della classe politica (cioè di quelli che Bertinotti chiama i due partiti borghesi, e che io chiamo i due macellai: quello col grembiulino azzurro, e quello col grembiulino rosa – e le maniche rimboccate).

E guardi che questo è un problema serio, e (anche questo) ampiamente riconosciuto dalla letteratura economica. Come ha dimostrato Torsten Persson (professore alla London School of Economics, a Harvard, a Berkeley, autore o coautore di 173 lavori scientifici repertoriati da EconLit), il passaggio da un regime proporzionale a uno maggioritario deprime la crescita economica, semplicemente perché aumenta la tentazione di lasciare il cerino acceso in mano all’avversario (“Forms of Democracy, Policy and Economic Development”, NBER Working Paper No. 11171, March 2005). Inutile ricordarle che a noi questo passaggio era stato proposto come il mezzo per liberarci del nemico di turno. E invece è servito solo a liberarci di una voce critica a sinistra, e ha contribuito a farci crescere di meno (insieme a tante altre cose, fra le quali l'euro). Vede dove porta il ragionamento politico “per nemici” anziché quello argomentato sui fatti? Poi è inutile lanciare pogrom contro gli economisti, o dire che sono contro l'euro perché sono degli yankee ottusi e invidiosi...

Gli italiani che conosco io sono più adulti di quelli che conosce lei: forse avrebbero (e avrebbero avuto) le spalle abbastanza larghe da sopportare la verità (non la Verità metafisica, ma la verità tecnica sulle conseguenze di un’unione monetaria in condizioni precarie, ampiamente descritte da una serie nutrita di premi Nobel, e puntualmente verificatesi in pratica). Affrontare gli squilibri per quello che sono (accumulazione di debito privato estero determinata da squilibri di competitività), cioè dire la verità, permetterebbe di accedere a una soluzione politica del problema, da ricercare in un atteggiamento cooperativo fra paesi (ma cooperativo a monte, non a valle degli squilibri). Questo nel mio intervento c’è scritto... ma lei lo ha letto? Ridurre tutto a un problema di Stati pigri che spendono troppo, oltre a essere un falso economico, toglie spazio a qualsiasi proposta di cooperazione e alimenta l’asimmetria ideologica. E anche questo è scritto. Non è chiaro?

Ma lei dirà che queste sono esortazioni generiche, o magari che io sono un ingenuo che non capisce che il fine giustifica i mezzi. Ecco, appunto, questo mi sembra che in Italia siano sempre di più a non capirlo (oltre a quelli che, come Manzoni, non lo hanno mai capito)... E oltre a non capire questo, ci sono altre cose che non capisco, e che forse mi può spiegare lei: perché oggi su Le Monde ci si pone il problema, che mi ero posto due mesi or sono, di come gestire un esito inevitabile? E l’intervento di De Ioanna, dal punto di vista politico, dove va a parare? (mi scuso con l’autore se glielo chiedo indirettamente). Visto che lei mi confina nel ruolo del professorino “tutto tecnica e distintivo”, mi lasci chiudere con una battuta: oggi posso darle un 24, ma lei (lo intuisco) merita la lode. Rilegga con più calma quello che ho scritto con troppa furia: ci troverà le risposte che mi chiede, e che le ho già dato.

qual è l'alternativa?

Capisco gli argomenti tecnici di Bagnai, ma non vedo dove vanno a parare, dal punto di vista politico. Sarò poco competente di economia, ma conosco un po' il nostro paese. E penso che per noi uscire dall'euro sarebbe una disgrazia: le imprese continuerebbero a pensare di sfangarla con la svalutazione, e i governi con l'inflazione, ci chiuderemmo ancora di più nella nostra piccola provincia italiana, magari per la felicità dei vari Borghezio e simili che pensano che il mondo finisce ai confini della propria valle.

E fantasie europee

Con tratto ugualmente gentile vorrei ricordare che nel 2005 Germania e Francia DISAPPLICARONO (cioè "NON APPLICARONO") la procedura sui deficit eccessivi, uccidendo di fatto il patto di stabilità e crescita, che da allora non esiste più nei fatti. Lo so, esistono tentativi formali di rianimarlo, ma quanto sono credibili? Ne ha parlato, ad esempio, De Grauwe (http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001931.html), il quale, incidentalmente, condivide con me l'idea che i problemi siano altri (cioè non siano da ricercare nel debito pubblico ma in quello privato). A prescindere dalle cause, l'idea che un paese in difficoltà debba, oltre ai problemi che ha, essere anche multato, è una tale idiozia, che solo nel dibattito giornalistico di alcuni paesi europei un po' provinciali non ha mosso il riso. Ma la letteratura scientifica ne ha fatto giustizia fin dal primo momento, con gli scritti di Buiter, Corsetti e Roubini. Quindi meglio così: se la Germania avesse applicato a sé stessa le regole che aveva scritto per tenere noi fuori, saremmo entrati in recessione sei anni or sono. Un po' di sana ipocrisia talora non guasta.

Tuttavia dire, come fa De Ioanna, che Francia e Germania "lo APPLICARONO in modo da..." non applicarlo (!) mi sembra un modo un po' confuso di argomentare, che non aiuta a capire la sostanza. Che poi è questa: siamo (e saremo) retti da regole che valgono per i paesi deboli ma non per quelli forti, e guidati da una banca centrale che, come tutte le banche centrali, è indipendente dai paesi e dalle classi deboli, ma non da quelli forti (vedi le telefonate della Merkel). Questa "German dominance" era stata ampiamente prevista (http://w3.uniroma1.it/econometria/research/Eur.pdf), anche contro l'opinione dei pochi (tipo Modigliani) che vedevano (illogicamente, sorprendentemente, dolosamente...) nell'euro il modo per liberarsene (anche allora De Grauwe la pensava come me, cioè, ovviamente, io la pensavo come lui! Ah, a proposito: oggi sul sole 24 ore anche Krugman la pensa come De Grauwe, il che mi dà la soddisfazione di pensarla anche come Krugman...).

La sintesi di De Ioanna è che "non si poteva fare altrimenti!!" (con due punti esclamativi).

E noi gli siamo grati di averla espressa.

Ma naturalmente non siamo d'accordo. Possiamo decidere politicamente che la forza di gravità non esiste, sostenere (magari sulla base della nostra laurea in geologia) che essa è neoingiusta e neoliberista, ma se ci buttiamo dalla finestra passeremo dei guai e sarà sostanzialmente colpa nostra (salvo accusare il governo di sinistra, se siamo di destra, o quello di destra se siamo di sinistra). La follia dell'euro è in primo luogo una follia tecnica, un andare deliberatamente contro le previsioni della scienza economica (umana e storica, sono d'accordo, ma scienza, cioè non doxa del primo che passa per strada). E se non si riparte da qui, si ritornerà sempre qui.

Perché la visione salvifica dell'avvento della sinistra, che De Ioanna esprime, è solo l'ultimo baluardo di quel ragionare per appartenenze, anziché per competenze, che ormai domina. Come ho chiarito nel dibattito seguito al mio ultimo contributo (http://old.sbilanciamoci.info/Sezioni/globi/L-uscita-dall-euro-prossima-ventura-9819), soluzioni alternative all'esplosione dell'euro a livello tecnico esistono, certo, ma non sono politicamente proponibili, né sostenibili, soprattutto dalla sinistra, e questo perché soprattutto la sinistra, per motivi stupidamente tattici, ha bombardato l'opinione pubblica con messaggi sbagliati sulle cause della crisi. Ma le menzogne in politica non pagano (guardate come sta messo Obama)! L'euro si salverebbe solo se la sinistra tedesca, andata al potere, cominciasse a spendere (e qui sono in compagnia del FT, ad esempio). Ma può farlo, dopo che i tedeschi sono stati bombardati col messaggio che la colpa è del governo greco che ha speso troppo? (Dettaglio: per comprare sottomarini tedeschi... ma questo dettaglio deve essere trascurabile, perché nessuno lo ricorda mai!). Se la spesa pubblica è il male quando regna la destra, difficile convincere i tedeschi che sia un bene quando regna la sinistra. E quindi siamo (e sono) in trappola. La sinistra non porterà l'età dell'oro, perché le sue analisi incompetenti e tatticamente schierate delle cause della crisi glielo rendono di fatto politicamente impraticabile.

E allora, piuttosto che aspettare l'età dell'oro, che non arriverà, torno a insistere sul fatto che la sinistra europea dovrebbe pensare a come gestire il processo di uscita, per evitare di esserne schiacciata. E anche qui vedo, con molta soddisfazione e poca sorpresa, di essere in buona (e ovviamente non italiana) compagnia:

http://www.lemonde.fr/economie/article/2011/09/19/la-dette-de-la-grece-est-aujourd-hui-absolument-impossible-a-rembourser_1574186_3234.html

Ah, e a proposito? In Argentina poi com'è andata a finire? Qual è la valutazione dell'autore? Perché anche questo dall'articolo non si capisce. Eppure sarebbe interessante capirlo. Il Fmi aveva ragione? E oggi, quando invita a controllare i movimenti internazionali di capitale, ha torto?

Argentine economic crisis


Il signor Sinibaldi, con tratto gentile, sottolinea un errore materiale contenuto nel mio intervento ,errore
di cui mi scuso con i lettori di Sbilanciamoci; la crisi argentina entra nella fase acuta alla fine del 1998 e non nel 1988.

Fantasie argentine

In Argentina nel 1988? Default ? Ma che dice ? Per favore, si documenti un pò meglio.

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