Ultimi articoli nella sezione

08/12/2015
COP21, secondo round
di Lorenzo Ciccarese
03/12/2015
Lavoro, la fotografia impietosa dell'Istat
di Marta Fana
01/12/2015
La crisi dell’università italiana
di Francesco Sinopoli
01/12/2015
Parigi, una guerra a pezzi
di Emilio Molinari
01/12/2015
Non ho l'età
di Loris Campetti
30/11/2015
La sfida del clima
di Gianni Silvestrini
30/11/2015
Il governo Renzi "salva" quattro istituti di credito
di Vincenzo Comito
alter
capitali
italie
globi

Ambiente e fisco nell’Agenda Monti

28/12/2012

Le lacune dell’Agenda Monti su tassazione dei patrimoni, accesso alla conoscenza, politiche per l’ambiente, cambiamento climatico. E le misure possibili per la fiscalità ambientale

A pochi giorni dalla pubblicazione dell’agenda Monti, numerosi sono i commenti sullo spirito complessivo e le specificità dei vari temi presenti (o non). Nella fase attuale è utile commentare la presentazione di agende di politica economica al fine di evidenziare costruttivamente le criticità, debolezze, forze, punti di sinergia con altri programmi ‘politici’, e suggerire spunti di concreta applicazione di principi. Sinergie e concrete applicazioni che possano consentire un cambio di politica economica, che coniughi competitività e sostenibilità, efficienza ed equità.

Vorrei in questa sede soffermarmi sul tema della politica economica relativa al tema ‘ambiente’ (pagine 11 e 12 dell’agenda), sviluppando il mio intervento su Sbilanciamoci dell’agosto 2011 (old.sbilanciamoci.info/Sezioni/globi/E-arrivato-il-momento-delle-tasse-ambientali-9616).

Devo connettere il tema ‘ambiente’ ad altri, per due ragioni. Prima di tutto, è chiaro anche nell’agenda Monti che la sostenibilità è un concetto che integra pienamente economia, sviluppo, ambiente, e che lavoro e ambiente non sono in conflitto. Almeno, possono non esserlo. Questo nei principi enunciati. In secondo luogo, il tema della ‘fiscalità ambientale’ è interno al più ampio discorso della riallocazione del peso fiscale dalle persone alle cose, dal lavoro ‘verso altre basi imponibili’ (pagina 5 dell’agenda). Verso quali? Quali le opzioni?

1. Patrimoni, fisco, efficienza, equità. In quelle pagine si parla di spostare il peso dal lavoro a ‘grandi patrimoni e consumi’. Qui occorrono una serie di precisazioni. Primo, non deve stupire in un’agenda di politica economica liberal-conservatrice la presenza di imposte sul patrimonio. Esse sono uno dei cardini del buon funzionamento dei mercati, che più concorrenziali sono, in tutti i loro fattori, meglio è. Molti economisti di pensiero conservatore le hanno patrocinate in altri paesi. Diffuso è anche il ricorso a corporate social responsibility e fondazioni d’impresa volte a finanziare beni pubblici nei contesti anglosassoni. La ratio la si trova nel pensiero di filosofi e economisti, tra gli altri John Rawls e Amartya Sen. Occorre qui sottolineare il ruolo dello spesso de-enfatizzato ‘secondo teorema dell’economia del benessere’, pur presente in tutti i testi di microeconomia, che separa concettualmente il perseguimento degli obiettivi di equità ed efficienza. In altre parole, entro un sistema di mercato che può garantire efficienza, attraverso azioni fiscali sui patrimoni lo Stato può rendere più eguali le ‘dotazioni iniziali’. Efficienza ed equità sono quindi perseguite congiuntamente, si mitigano gli usuali conflitti tra i due macro-obiettivi di ogni politica. Sulla necessità di perseguimento di una maggiore equità si vedano oggi le ricostruzioni storiche sulla distribuzione del reddito di Thomas Piketty, raccolte persino da The Economist nel corso del 2012. Siamo ‘ritornati’ agli anni venti, dopo un ‘minimo’ di diseguaglianza raggiunto negli anni settanta. Il deficit di equità distributiva oggi mina la crescita tout court.

Tuttavia, ritengo più coerente – qui è il suggerimento – utilizzare il gettito delle tasse patrimoniali (su attività finanziarie, dato che quelle immobiliari saranno il pilastro delle risorse dei comuni) per una loro più specifica finalità: eliminazione delle barriere all’entrata e creazione di capabilities. Cosa significa? Finanziamento di borse di studio, di welfare di base (scuola primaria, nidi), posizioni da ricercatore, etc. Potrebbe aiutare, nel contesto italiano, la gestione di queste risorse (10, 15, 20, 25 miliardi di euro? Dipende dal design impositivo, la base imponibile è ampia) via fondazioni (in un’ottica di tax earmarking), se il calderone della finanza pubblica è ritenuto non (più) trasparente. Su questo punto – la patrimoniale, l’uso del suo gettito – ampie sinergie politiche possono concretamente essere ricercate. La diseguaglianza si misura in reddito e in possibilità di accesso ai mercati.

2. Accesso ai mercati della conoscenza. Con una breve digressione dal tema principale, partendo dal tema delle ‘capabilities’, occorre dire che l’’accesso’ pare essere oggi il tema vero nei mercati della ‘conoscenza’, della scuola e della ricerca, da affrontare con serietà teorica ed empirica. Non tentando (solo? ancora?) di imitare modelli altri, peraltro già in via di ripensamento. (www.economist.com/news/united-states/21567373-american-universities-represent-declining-value-money-their-students-not-what-it). Mi riferisco all’editoriale di Alesina e Giavazzi sul Corriere della Sera del 27 Dicembre, i quali chiedono meno Stato in generale, e più elevate tasse d’iscrizione per la mediocre (secondo loro) Università Italiana. Che ha tanti e noti problemi, ma è sesta al mondo, in queste Olimpiadi, anche nel nostro ambito socio economico (fonte: REPEC, Novembre 2012). Nello sport andiamo peggio. Le tasse d’iscrizione, inoltre, non sono il problema centrale. Notiamo, portandoci al punto successivo, che possono essere tanto più alte quanto più competitivo è il sistema economico, le remunerazioni dell’investimento in capitale umano (leggasi elevati salari per i neolaureati). Le tasse d’iscrizione sono un elemento del più complesso tema dell’accesso ai mercati (della conoscenza, del lavoro).

3. Fiscalità ambientale. Il tema della competitività ci porta verso la questione dell’ambiente e della fiscalità ambientale. Su questi punti l’agenda Monti pare non centrare i punti cruciali dell’ampio tema economico-ambientale. Occorre una visione più ampia, più sinergica, più orientata alle esperienze europee e al futuro. Non citare il cambiamento climatico come arena politica, economica, sociale di riferimento per le dinamiche future è una grave mancanza, che impedisce di ragionare compiutamente del ruolo dell’Italia nei mercati internazionali. Il climate change è un tema ambientale, economico, tecnologico cruciale, che deve essere posto al centro delle azioni delle parti sociali e dello Stato. Lo è nella maggior parte dei grandi paesi europei, Germania e Regno Unito in primis.

È troppo generico il richiamo alle politiche verso l’economia verde, con nessun riferimento, sul lato delle emissioni inquinanti e dei gas serra, alle politiche europee, le quali prevedono tagli alla CO2 emessa tra il 20 e 50%, entro il 2030-50. Nessun riferimento a radicali e necessarie ‘decarbonizzazioni’ dell’economia italiana, attraverso innovazione nell’industria e marcato ripensamento del peso relativo del trasporto privato/pubblico. Sono grandi opportunità economico-tecnologiche. La conseguenza è una eccessiva enfasi sul tema ‘energia’, certo correlato a qtutto questo, ma ciò che serve è una strategia finalmente integrata alle politiche europee, che pongono obiettivi ambiziosi da qui al 2020 e oltre. Su questi piani europei il riferimento è vago, seppure sia l’Europa a guidare il processo a livello internazionale. L’Italia, come grande paese e con un’industria ancora forte in certi comparti, non può ‘rimanere indietro’. Le sue performance ambientali non eccelse peraltro riflettono quelle economiche di bassa produttività, e su queste correlazioni occorre ragionare in modo profondo. Le performance dell’export tedesco sono da anni legate a robuste performance sull’innovazione tecnologica a basso impatto ambientale, anche favorita dal contesto di politica economica e industriale.

Sul tema rifiuti, non basta porsi l’obiettivo di ridurre il conferimento in discarica e incrementare il riciclo e recupero dei materiali. Questo andava già fatto, e comunque appartiene al passato delle politiche in campo di rifiuti. Occorre guardare avanti, anticipare per una volta (in questo settore potremmo farlo usando innovazione e competenze esistenti nel paese) e parlare ora di riduzione dei rifiuti generati. Obiettivo peraltro lanciato dalle Direttive europee per il futuro e già presente in alcuni paesi.

4. Nel momento attuale, in cui si cerca di ridisegnare l’assetto di competitività e sostenibilità di lungo periodo dell’economia italiana, sembrerebbe più efficace ridurre il carico fiscale sul lavoro attraverso un incremento delle tasse ambientali. In primo luogo, questa azione è volta a mitigare i conflitti tra ‘lavoro e ambiente’, o meglio valorizzare le complementarietà. La gestione e uso del gettito, spostato da ‘lavoro’ ad ambiente, vede le imprese ed i territori come luoghi principali di interesse e competenza a questo riguardo.

In secondo luogo, la tassazione ambientale parte da livelli quasi pari a zero. Il gettito attuale, costante da un decennio, è nemmeno 1 miliardo di euro, in gran parte legato alla tassa regionale sulle discariche. Gli spazi di incremento di vere e proprie tasse ambientali (su emissioni, CO2, sui materiali ambientalmente più costosi) sono ampi e possono consentire di sgravare di molto il fattore lavoro. Di quanto? Il Tesoro italiano ospitò nel Dicembre 2011 un evento sulla Tassazione ambientale organizzato dalla European Environment Agency. Il documento della EEA – di Mikael Skou Andersen e Stefan Speck – stimava in 35 miliardi circa il gettito da nuove tasse ambientali e minori sussidi impropri (28 miliardi le sole tasse). Tasse sulle emissioni, sui materiali, canoni idrici, etc. Anche i due terzi o la metà di quel gettito potrebbe sostanzialmente abbattere il carico fiscale sul lavoro – e IRAP – per più di un punto di PIL.

Nella delega fiscale era invero riemersa l’ipotesi di carbon tax, legata alla futura nuova Direttiva sull’energia. Le regioni hanno margini ampi di competenza su materiali, risorse, rifiuti, acqua, emissioni locali. Suggeriamo di andare avanti esplorando i margini di intervento, con riforme fiscali verdi a vari livelli.

5. Detto questo, noto come lo sgravio fiscale del lavoro sia necessario, ma non vada enfatizzato in termini di benefici attesi. Rimane un’azione che per lo più incrementa la domanda nel breve-medio periodo. Occorre laicamente ricordare una cosa nota: la competitività di un sistema economico dipende oggi in minima parte dai ‘costi’ (del lavoro etc.) e in gran parte dalla qualità dei beni prodotti e dal loro valore, che dipende dalla struttura produttiva e dall’innovazione. Lascio ad altri più competenti colleghi la parola su come l’azione pubblica di politica industriale e sull’innovazione possa incrementare le performance strutturali di lungo periodo. Tuttavia, una radicale trasformazione dei prezzi dei beni ambientali (tassando quelli più inquinanti, detassando quelli a minore impatto) è necessaria anche a questi fini. Non pare che la Svezia soffra della sua elevata carbon tax, istituita nel 1991 ai tempi dell’agenda Delors, e modificata nel tempo per vari fini di uso del gettito.

Politiche fiscali a saldo zero lasciano ad altre azioni la responsabilità dell’abbattimento del debito: recupero dell’evasione, valorizzazione dei beni demaniali, incremento del PIL. Le politiche fiscali qui discusse possono però concretamente valorizzare i beni pubblici e ridurre il rapporto debito/PIL, aumentando la competitività del paese sia nel breve, sia lungo periodo.

La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui

Commenti

Commento al mio commento

Molti economisti sono come dei bambini, quando si toccano le loro convinzioni più profonde è come togliere il giocattolo preferito a un infante. Certo, a differenza degli infanti, sanno parlare e anche insultare. Ma uno che partecipa al gioco dei commenti sa già che gli insulti sono un metro di misura dell'avversario, uno strumento con cui l'avversario si auto-qualifica quanto a rigore intellettuale, urbanità e capacità di stare al mondo.
Qui, in fondo, il commentatore del mio commento dice solo che la patrimoniale è giusta perché c'è nei paesi civili. Ossia egli non dà un giudizio sulla patrimoniale in sé e rispetto alle argomentazioni etiche che avevo addotto ma ragiona brillantemente che siccome una cosa è vigente nei paesi civili allora è giusta. Quindi se negli Stati Uniti c'è la pena di morte allora è giusta, se in Spagna c'è la tauromachia allora è giusta, se la Francia ha massacrato gli algerini allora deve essere una cosa giusta e se la Germania ha fatto sparire 6 milioni di ebrei nel momento di massimo splendore della sua civiltà la cosa deve essere sicuramente accettabile. E' la logica dell'ipse dixit con cui si pretende di bloccare la libera discussione riferendosi a fonti di verità indiscusse (la chiesa, Aristotele, i paesi civili). Ma per una persona intelligente e civile non esistono fonti di verità indiscusse. Se una verità è indiscussa è perché nessuno ha ancora avuto il coraggio, la voglia o il tempo di metterla in discussione.

L'imposta patrimoniale sui ricchi e gli utili idioti

@ Roberto Casiraghi
Affermazioni lunari, talune deliranti, di uno che sembra scrivere da un manicomio sulla Luna o su Marte. E lo dimostro facilmente.

1) Immoralità delle imposte.
Immorale l’imposta patrimoniale? Logica stortignaccola, tipica di chi sta in manicomio: chi aborre lo Stato etico non dovrebbe scomodare l’etica per criticare le tasse. E l’imposta patrimoniale esiste in parecchi Stati civili (ad es. la Francia, introdotta da un governo di Cdx).

2) Manovre correttive e sacrifici.
Le manovre correttive da inizio legislatura ammontano a 330 mld ed il grosso è stato addossato sul ceto medio-basso e persino sui poveri (col taglio della spesa sociale).
LE CIFRE. Le manovre correttive, dopo la crisi greca, sono state: • 2010, DL 78/2010 di 24,9 mld; • 2011 (a parte la legge di stabilità 2011), due del governo Berlusconi-Tremonti (DL 98/2011 e DL 138/2011, 80+60 mld), (con la scopertura di 15 mld, che Tremonti si riprometteva di coprire, la cosiddetta clausola di salvaguardia, con la delega fiscale, – cosa che ha poi dovuto fare Monti – aumentando l’IVA), e una del governo Monti (DL 201/2011, c.d. decreto salva-Italia), che cifra 32 mld “lordi” (10 sono stati “restituiti” in sussidi e incentivi); • 2012, DL 95/2012 di circa 20 mld. Quindi in totale esse assommano, rispettivamente: - Governo Berlusconi: 25+80+60 = tot. 165 mld; - Governo Monti: 22+20 = tot. 42 mld. Se si considerano gli effetti cumulati da inizio legislatura (fonte: “Il Sole 24 ore”), sono: - Governo Berlusconi-Tremonti 266,3 mld; - Governo Monti 63,2 mld. Totale 329,5 mld. Cioè (ed è un calcolo che sa fare anche un bambino), per i sacrifici imposti agli Italiani e gli effetti recessivi Berlusconi batte Monti 4 a 1. Per l'equità e le variabili extra-tecnico-contabili (immagine e scandali), è anche peggio.
(Cfr. Il lavoro ‘sporco’ del governo Berlusconi-Tremonti http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2747515.html ).

3) Previdenza e sacrifici.
E’ stata varata, con la Monti-Fornero, l'ottava riforma delle pensioni dal 1992. [*], che hanno reso il sistema pensionistico italiano addirittura “benchmark” in UE27. Le ultime 3 (Damiano, Sacconi. Fornero) produrranno nei prossimi decenni risparmi della spesa pensionistica (peraltro “gonfiata” dalla voce ‘assistenza’) per centinaia di miliardi (forse 22 mld nel solo 2012). Neppure un centesimo di questi ingentissimi risparmi (io ho “contribuito” con 20 mila € nel 2011) è previsto andrà a ridurre le disuguaglianze o finanziare ammortizzatori sociali universali - rispettivamente, tra le maggiori e tra i più bassi in ambito OCSE, come rammentato più volte (anche nella Lettera della BCE) da Mario Draghi -, o finanziare direttamente la crescita, ma alimenterà l’avanzo primario. E ci si preoccupa dei ricchi che dovrebbero pagare una patrimoniale a bassa aliquota con franchigia di almeno 800 mila-1 mln?
[*] Riforme delle Pensioni: Amato, 1992; Dini, 1995; Prodi, 1997; Berlusconi/Maroni, 2004; Prodi/Damiano, 2007; Berlusconi/Sacconi, 2010; Berlusconi/Sacconi, 2011; Monti-Fornero, 2011. (continua/1)

4) IMU
a) In tutti i Paesi civili esiste un’imposta locale sulla prima casa. b) Il costo medio annuo dell'IMU ascende all'astronomica cifra di 235 € (fonte: Ministero dell’Economia, v. ‘post’ allegato più sotto). c) L’abolizione dell’Ici sulla prima casa (quasi 4 mld) fu compensata anche da tagli alla spesa sociale, tra cui il sussidio agli affitti per i meno abbienti: equità alla rovescia. d) Ci si preoccupa dell’IMU per i proprietari e non degli affittuari, che stanno molto peggio.

5) Imposta patrimoniale.
L’imposta patrimoniale, per effetto della franchigia di almeno 800 mila € (ipotesi CGIL), più probabilmente 1 mln, se non 1,5 mln come era previsto nella proposta delle Associazioni delle imprese, la pagherebbero in relativamente pochi: secondo la Banca d’Italia il valore mediano della ricchezza familiare netta supera di poco i 163.000 mila €, mentre il 10% delle famiglie possiede quasi la metà della ricchezza nazionale: per l’esattezza “il 45,9 per cento (contro il 44,3 registrato nel 2008)”.
http://www.bancaditalia.it/statistiche/indcamp/bilfait/boll_stat/suppl_06_12new.pdf
“I nemici dell’imposta patrimoniale, misura indispensabile, sono sia il 10% di popolazione che detiene il 45% della ricchezza nazionale - il che è normale -, sia quel certo numero di “utili idioti” ben retribuiti al loro servizio – il che è comprensibile -, sia, purtroppo, la massa di milioni di “utili idioti” che gratuitamente appoggiano la politica economica di destra, dettata dal e nell’interesse del 10% predetto, e che, chissà perché, come scriveva Einstein a Freud, chiedendogli lumi, a proposito della guerra, appoggiano decisioni (o ‘non decisioni’, com’è il caso della patrimoniale) che vanno contro il loro interesse. […]” http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2670796.html .

Conclusione.
In conclusione, il ‘contributo’ straordinario del sottoscritto al risanamento dei conti pubblici (non dell'INPS, che era in attivo ed in equilibrio fino al 2030) è stato di 20.000 € nel 2011, pari a 85 volte il gravame medio annuo dell'IMU; Roberto Casiraghi è sicuramente uomo d'onore e quindi comunicherà qui pubblicamente qual è stato l'ammontare della sua IMU e/o del suo contributo straordinario (NON imposte ordinarie) al risanamento del bilancio pubblico.

Rendite e concorrenza

Imposte sul patrimonio/eredità, che ribadisco sono erroneamente enfatizzate come 'socialiste', sono assolutamente congrue con politiche conservatrici liberali volte a perservare la concorrenza 'sociale'. il secondo teorema dell'economia del benessere è nitido: il mercato funziona sempre, qualunque siano le condizioni iniziali. se più eque ancora meglio, o no? siamo in ambiti assolutamente liberali.
sono concretamente necessarie per ragioni economiche, filosofiche. per punti
- rimando alla lettura di Sen, John Rawls (A theory of social Justice, il concetto centrale di Veil of ignorance). Il merito del nostro successo dipende non solo da noi, ma molto dalla società che ci ha visti nascere e fatto crescere, fatto non imputabile a noi, totalmente casuale ('la 'ignorance'). penso sia un concetto di ampio respiro filosofico. è merito personale essere nati nell'anno x nella società y nella famiglia z?
- sono meno rilevanti o sostitute a erogazioni liberali da parte di più abbienti, molto diffuse nei contesti anglosassoni (i trusts o fondazioni familiari). il concetto è uguale: restituisco alla società ciò che mi ha dato. non in modo marginale. si vedano i mille esempi in contesti aglosassoni: le fondazioni di impresa e familiari finannziano pesantemente beni pubblici. se si preferisce quetso, bene, prosaicamente, erogate liberamente. certo una prospettiva grettamente individualista della società non le accoglie.
- ricordo anche che gli asset finanziari si accumulano con legge esponenziale. non un merito dell'investitore.
- è efficiente tassare rendite e sgravare lavoro e impresa. proposte di abolizione dell'IMU sono oltremodo risibili e gravemente populistiche, ca va sans dire. va ribaltato il peso del fisco da risorse produttive a rendite. mi pare semplice e condivisibile. Dire che le patrimoniali tolgono competitività guarda al problema dal lato opposto. sgravare lavoro, impresa, ricerca dà competitività. certo per i veri imprenditori schumpeteriani (banale citare Olivetti?), non per chi mira a accumulare patrimoni solo per sostenere il consumo personale/familiare.
- sullo stato di inquità distributiva (reddito, accesso) delle economie odierne, che dire? studi empirici esistono, consiglio sull'Italia gli studi di jappelli et al (la voce) e le varie analisi di Thomas Picketty, pubblicate anche su American Economic Review. il deficit di domanda aggregata dipende anche da questo, forse (Kaldor).

consiglio di lettura per il 2013: The Craftsman, Richard Sennett, Penguin Books

Immoralità di ogni imposta patrimoniale

E' difficile misurarsi con gli economisti perché usano un linguaggio artificiale. Non è inutilmente artificiale perché è stato elaborato esplicitamente per "fregare la povera gente", esattamente come il linguaggio legale. Fa parte di quella che si chiamava un tempo lotta di classe, che vede da una parte forche e pietre e dall'altro bombe atomiche e linguaggi specialistici. Questo spiega perché il vincitore è sempre lo stesso.
Fatta questa premessa, la mia tesi è che chi fa parte della classe predominante sarà sempre a favore delle imposte patrimoniali. Perché? Perché al di là delle buone intenzioni di chi parla, tutti sappiamo che i grossi gettiti si realizzano facendo pagare il grosso della popolazione e non i pochi o molti ricchi che hanno sempre mille modi di occultare la ricchezza o di andare a vivere in un altro paese (vedi Depardieu). Si parla di imposte sui grandi patrimoni ma quello che si intende davvero è togliere un pezzo di casa, di fabbrica e di ospedale ad ognuno di noi. Democraticamente.

In ogni caso è anche sbagliato che lo Stato pensi a ridisegnare la distribuzione del reddito o dei beni a tavolino. Quella è la logica degli stati totalitari come quando, notizia recente, la Cina decide di spostare 2 milioni di persone da una zona all'altra del paese. Le persone non sono state interpellate, ma verranno ugualmente spostate. Qualunque sia la giustificazione, si tratta di un crimine.

Ricordo che anche ad Auschwitz campeggiava la scritta "Arbeit macht frei". Ma il piacere della retorica continua a fare vittime. Così il genocidio di un popolo può essere agevolmente nascosto dall'espressione "soluzione finale" che quando venne pronunciata per la prima volta non venne intesa nel suo significato vero, sembrava quasi un'espressione di buone intenzioni.

Le patrimoniali non hanno spazio in uno Stato civile. Coloro che vogliono vedere un ruolo nelle patrimoniali (che sono tassazioni retroattive, tassazioni di cose già tassate, tassazione di risparmi, tassazioni di cose comprate con i risparmi), sono inconsapevolmente seguaci dello Stato Etico e del totalitarismo statuale, quella cosa che comporta la completa fungibilità dell'individuo, quella cosa che conferisce dignità e credito postumo ai Pol Pot e ai loro seguaci che continuano ad emergere nei frangenti più insospettati.

Non riesco a capire se questo sito, nel momento in cui il Titanic sta sprofondando, fa a gara per salire sulle poche scialuppe rimaste o se fa a gara per farci salire le donne e i bambini, come mi piacerebbe che fosse. Analogo dubbio mi è venuto in questi giorni su Grillo, che sto per votare. Nel suo contrapporre all'Agenda Monti la sua personalissima Agenda non menziona per nulla l'abolizione dell'IMU. Doveva essere il primo dei punti, è stato totalmente dimenticato. Mi ha fatto pensare che forse anche Grillo potrebbe avere un'agenda diversa da quella che dice di avere.

Errore (in parte) di mira

“ritengo più coerente – qui è il suggerimento – utilizzare il gettito delle tasse patrimoniali (su attività finanziarie, dato che quelle immobiliari saranno il pilastro delle risorse dei comuni) per una loro più specifica finalità: eliminazione delle barriere all’entrata e creazione di capabilities”.

Al di là dei paroloni, mi pare che Massimiliano Mazzanti non abbia le idee sufficientemente chiare e perciò sbaglia – almeno in parte - la mira. Cerco di motivare questo giudizio severo.
1) La ricchezza netta, secondo la Banca d’Italia, ascende a 8.600 mld, composta (cfr. la nota 4 di Promemoria delle misure anti-crisi http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2761788.html ) per 2/3 da attività reali:
“[4] Analisi quali-quantitative/5/Distribuzione della ricchezza
Secondo la Banca d’Italia, nel 2008 e nel 2009, il 10% della popolazione italiana possiede il 45% della ricchezza nazionale e “Alla fine del 2009 la ricchezza netta delle famiglie italiane cioè la somma di attività reali (abitazioni, terreni, ecc.) e di attività finanziarie (depositi, titoli, azioni, ecc.), al netto delle passività finanziarie (mutui, prestiti personali, ecc.), è stimabile in circa 8.600 miliardi di euro (Tavv. 1A e 3A)” (pag. 7); e “le attività reali (5.883 miliardi di euro; Tav. 1A) rappresentavano il 62,3 per cento della ricchezza lorda, le attività finanziarie (3.565 miliardi di euro) il 37,7 per cento e le passività finanziarie (860 miliardi di euro) circa il 9,1 per cento”. (pag. 10). Per completezza, rilevo (v. [2], nota 1) che la Banca d’Italia valuta il patrimonio immobiliare (facente parte delle “Attività reali”) in 4.800 mld, l’Agenzia del Territorio in 6.335 mld (una differenza di ben 1.535 mld, il motivo è spiegato nella predetta nota 1).
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2563890.html ”.
Com’è noto, le attività finanziarie, ammesso che ci sia la volontà politica di tassarle, presentano un’alea molto elevata in termini di accertamento e riscossione, talché si parla di tassare soltanto la ricchezza immobiliare. Invece, a mio avviso, occorre, per ragioni sia di equità sia di gettito, tassare entrambe, in via ordinaria a bassa aliquota e/o straordinaria (anche sotto forma di un prestito forzoso su una platea selezionata per ridurre celermente l’enorme debito pubblico e i correlati, cospicui interessi passivi.

2) Di equità, perché: a) il costo medio annuo dell'IMU ascende all'astronomica cifra di 235 €; [1] b) l’imposta patrimoniale (cfr. Dossier Imposta patrimoniale [2]) ha subito alterne vicende, ma è una misura doverosissima proposta da parecchi, anche ricchi liberali, anche Confindustria, e quindi la si dovrà varare, se non altro perché, dopo ben 330 mld di manovre correttive addossate in massima parte sul ceto medio-basso e persino sui poveri (col taglio della spesa sociale), i ricchi sono gli unici ad averli, i soldi; [3] c) Il contributo del sottoscritto al risanamento dei conti pubblici (non dell'INPS) è stato di 20.000 € nel 2011, pari a 85 volte il gravame medio annuo dell'IMU o, il che è lo stesso, a 85 anni di IMU; d) tutte le proposte di introduzione dell'imposta patrimoniale prevedono una franchigia, almeno di 800 mila € nell'ipotesi della CGIL, il che significa che su un patrimonio netto (al netto dei debiti) di 1 milione, l'imposta sarebbe di ‘appena’ 2 mila €, pari a 1/10 di quello che ho dovuto pagare io, che non possiedo neppure 1/10 di 800 mila €. (Ovviamente nell'ipotesi di una franchigia di 1 milione, l'imposta su 1 milione sarebbe pari a zero, e così via).

3) Di gettito, perché occorre approntare e finanziare un costoso Sistema di ammortizzatori sociali universale, cioè TRE MISURE ANTI-CRISI INDISPENSABILI.
La crisi epocale in atto sarà dura e lunga almeno 15 anni. Occorrono TRE MISURE INDISPENSABILI: 1) un reddito minimo garantito (Rmg) o reddito di cittadinanza, opportunamente disciplinato (com'è in tutti gli altri Paesi UE, tranne Grecia e Ungheria) di 2 livelli: uno di 1° livello, poniamo, di 300 € per quelli che non hanno contributi versati negli ultimi 2 anni, ed uno di 2° livello, poniamo di 500 € per gli altri che invece li hanno versati; 2) una casa ad affitto sociale (vale a dire 100-150 € al mese), attraverso un piano corposo pluriennale di alloggi pubblici di qualità, almeno 25.000 all’anno - negli ultimi 20 anni si sono costruiti, a causa del predominio degli immobiliaristi e dei costruttori, 1/10 di alloggi pubblici rispetto agli altri Paesi europei più evoluti; e 3) l’obbligo ai datori di lavoro di pagare un precario di più di quello stabile (i precari sono almeno 4 milioni, 7 milioni se includiamo le partite IVA più o meno fasulle, oltre ai familiari, quindi in totale oltre 10 milioni di persone coinvolte direttamente o indirettamente), così uno riuscirebbe almeno a sopravvivere, si potrebbe sottrarre al ricatto di un lavoro purchessia pagato poco o punto e sarebbe un po' più sereno, anziché sovrastato da un sentimento di spada di Damocle di SELEZIONE NATURALE DARWINIANA.

[1] Il piagnisteo per l’IMU
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2738170.html
[2] Dossier Imposta patrimoniale
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2670796.html
[3] Il lavoro ‘sporco’ del governo Berlusconi-Tremonti
http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2747515.html


eZ Publish™ copyright © 1999-2015 eZ Systems AS