Ultimi articoli nella sezione

08/12/2015
COP21, secondo round
di Lorenzo Ciccarese
03/12/2015
Lavoro, la fotografia impietosa dell'Istat
di Marta Fana
01/12/2015
La crisi dell’università italiana
di Francesco Sinopoli
01/12/2015
Parigi, una guerra a pezzi
di Emilio Molinari
01/12/2015
Non ho l'età
di Loris Campetti
30/11/2015
La sfida del clima
di Gianni Silvestrini
30/11/2015
Il governo Renzi "salva" quattro istituti di credito
di Vincenzo Comito
alter
capitali
italie
globi

Le virtù di monete proprie e cambi flessibili

10/08/2011

Avere una moneta propria e cambi flessibili presenta vari vantaggi e può alleggerire il debito estero, come insegna il caso inglese. Ad esempio scarica sui creditori esteri una parte delle perdite dovute alla svalutazione

Quaranta anni fa – il 15 agosto del 1971 – il sistema di Bretton Woods, basato sui cambi fissi, è crollato. Da allora la quasi totalità dei paesi del mondo è passata a un sistema di cambi flessibili. L’Europa – e l’Europa continentale in particolare – ha opposto una tenace resistenza ai cambi flessibili, resistenza che si è tradotta prima, nell’ormai lontano 1979, in un sistema europeo di cambi fissi, lo Sme, e poi, vent’anni dopo, in un irreversibile sistema di cambi “superfissi”, la moneta unica.

Un sistema di cambi flessibili presenta, rispetto a un sistema di cambi fissi, due principali caratteristiche. La prima è quella di consentire un aggiustamento automatico della bilancia dei pagamenti di parte corrente. Il meccanismo è semplice e immediatamente comprensibile: quando si manifesta uno squilibrio (per esempio un deficit) nella bilancia dei pagamenti la moneta si svaluta, di conseguenza le importazioni (più care) diminuiscono, le esportazioni (più competitive) aumentano e l’equilibrio si ricostituisce.

La seconda caratteristica, assai più in ombra e meno discussa, è quella di consentire una “flessibilità” anche del debito pubblico. Se qualcosa va male nell’economia del paese – e non solo la bilancia dei pagamenti, ma anche ad esempio qualcosa che riguardi la sostenibilità del debito, fallimenti bancari ecc. – la moneta si svaluta e con essa il debito: un nuovo equilibrio viene ricostituito con un costo economico e sociale modesto.

Questo “meccanismo”, anch’esso automatico, è stato, ed è tuttora, considerato in Europa “disdicevole” e soprattutto impraticabile. Se con la svalutazione ci si autoriduce il debito, chi vorrà poi mai sottoscrivere nuovo debito del paese in questione? La sua credibilità sarà minata per sempre e il default sarà inevitabile. Questo “mantra” ci è stato ripetuto dalle nostre Autorità monetarie con tenace insistenza per vent’anni e più.

Bisogna dire semplicemente che è falso e che le esperienze di trent’anni e più di storia finanziaria lo dimostrano.

Quando una moneta si svaluta il suo debito, per i detentori esteri, si svaluta: subiranno una perdita e si leccheranno le ferite, ma ciò fa parte delle regole del gioco che i mercati hanno ormai digerito. Svalutandosi la moneta e quindi il debito, il prezzo dello stesso per i compratori esteri diminuisce e quindi i rendimenti aumentano: a un certo punto potenziali compratori esteri giudicheranno che a quei livelli il debito pubblico di quel paese è diventato un buon affare e rientreranno e anche il cambio si stabilizzerà: chi avesse comprato nel punto di minimo avrà fatto un ottimo affare.

Non è teoria: è quanto è successo, ormai tante volte negli ultimi decenni.

Prendiamo a conferma due recenti esempi, di segno opposto.

Tra l’agosto del 2007 e il gennaio del 2009 la sterlina, sull’onda della grande crisi finanziaria di cui Londra è stata uno dei due epicentri, è passata da una quotazione contro euro di 1,47 a una di 1,02: si è svalutata dunque del 30% circa. I detentori esteri di debito inglese hanno quindi subito una perdita ingente. Certamente il debito pubblico inglese è parecchie volte più grande di quello greco e certamente la quota di esso posseduta dall’estero è, in valore assoluto, assai maggiore di quella del debito greco posseduto dall’estero. Eppure la cosa è passata, direi, sotto silenzio: non ci sono stati alti lamenti o deprecazione e rampogne verso l’Inghilterra, la sua politica economica, il suo welfare ecc. La ragione è semplice: la sterlina aderisce a un sistema di cambi flessibili e l’eventualità di una sua svalutazione era da mettere in conto (come pure l’eventualità di una sua rivalutazione: tra parentesi, successivamente la sterlina ha riguadagnato un 10%). I detentori esteri di debito inglese hanno sofferto in silenzio. Diciamo poi, per inciso, che certamente la svalutazione della sterlina ha alleviato di molto la gestione della crisi inglese che era, ed è, assai difficile. Diciamo pure che la consistente svalutazione non ha avuto effetti apprezzabili sulla inflazione interna: la sterlina non si è certamente avvitata in quella spirale svalutazione-inflazione che i nostri guru evocano con tenacia.

Il secondo esempio è, ovviamente, quello greco. Se la Grecia avesse avuto una sua moneta e un cambio flessibile certamente la moneta greca si sarebbe svalutata, alleggerendo l’onere del debito e portando la sua bilancia dei pagamenti verso un rapido miglioramento, il che, ricordiamolo, vuol dire anche attaccare alla radice la causa di creazione del debito estero. Probabilmente una svalutazione del 30%, pari cioè a quella subita senza clamore dalla sterlina, sarebbe stata sufficiente a rimettere le cose a posto e a evitare alla Grecia l’inferno in cui essa ora si trova.

Ma per la Grecia questo aggiustamento automatico e relativamente indolore non è stato possibile perché la Grecia ha il “privilegio” di aderire all’euro.

La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui

Commenti

RISPOSTE

Non visionavo questo mio articolo da tempo (è dell'agosto 2011). Vedo con piacere che ci sono dei commenti recenti.
Ringrazio e provo a rispondere.
Per Leprechaun :
1) Situazione iniziale: il paese X ha emesso un titolo a reddito fisso di valore nominale 100 ad un tasso del 5%;
2) La moneta del paese X si svaluta del 20%;
3) Un compratore straniero compra (dopo la svalutazione) ad 80 : questo titolo gli darà un rendimento di 5/80 = 6,25%, alla nuova quotazione della valuta,naturalmente, che però è quella a cui lui ha comprato.
Questo effetto comunque c'é: A questo si può cumulare quello della rivalutazione : se il compratore straniero ha comprato con cambio 80 e questo cambio si rivaluta può evidentemente lucrare anche il differenziale di cambio.
Per R.P.:
E' un altro modo di dire quanto sopra. Grazie.
Per Giovanni :
Si, certo, domanda importante: Io consideravo il caso generale di un paese con cambio flessibile e debito pubblico denominato nella propria moneta (è la situazione oggi di quasi tutti i paesi del mondo). Per l'Italia, se uscisse dall'Euro, si dovrebbe assolutamente attuare contestualmente una conversione forzosa del debito nella nuova moneta. Quindi anche il debito verrebbe ridotto dalla svalutazione, se computato in valuta estera.

giovanni

l'articolo non spiega cosa succederebbe al debito pubblico italiano denominato in euro nel caso di ritorno alla lira : secondo me aumenterebbe esponenzialmente invece di diminuire.....in proporzione al cambio della lira sull'euro...cosa ne dici?

X leprechaun

Il prezzo diminuisce in termini di valuta straniera necessaria per acquistare il debito del paese che svaluta, denominato in valuta locale.
Il tasso di interesse sul debito è espresso, diciamo, come percentuale del valore nominale del titolo emesso.
Immaginiamo che tu stia finanziando il debito inglese. Semplificando, avrai una sorta di conto su una banca inglese dove vengono versati gli interessi (in sterline) ed un attività in portafoglio. Supponi l'obbligazione arrivi a scadenza e ti venga accreditato il valore nominale sul conto.
Se nel frattempo la sterlina si è rivalutata, quando vai a convertire le 100 sterline (valore dello strumento) + gli X interessi che hai guadagnato, si rivalutano entrambi. Spero di essere stato chiaro, ciao !

Non mi è chiaro un passaggio

Questo passaggio mi rende perplesso, forse lo interpreto male:
"Svalutandosi la moneta e quindi il debito, il prezzo dello stesso per i compratori esteri diminuisce e quindi i rendimenti aumentano".
Sia i debiti, sia i rendimenti (interessi) sono denominati in valuta nazionale. Se si svalutano i primi, si svalutano anche i secondi, nella stessa proporzione. La convenienza dell'acquisto del debito di quel paese non mi sembra dunque risiedere in questo, quanto semmai nell'aspettativa che la moneta riprenda, e quindi si realizzi nel futuro in termini di valuta estera una plusvalenza in conto capitale (compro a poco una cosa che poi varrà di più). Cosa della quale peraltro si parla poche parole dopo.
Forse è questo che si intende con "rendimento"?

Grazi

sono approdato qui grazie al blog del Pro Bagnai

http://goofynomics.blogspot.com/2011/12/ma-come-fanno-us-e-uk.html

Bell'articolo, chiaro e preciso. Questa è divulgazione. Dovremmo spiegarlo ai giornalisti italiani.
Davvero complimenti.



L'Euro e i liberisti

Articolo molto chiaro. Sia però altrettanto chiaro che L'Euro trova i maggiori avversari tra i liberisti e in generale tra coloro che ritengono che prezzi (e cambi flessibili) siano indispensabili per una efficiente allocazione di risorse e capitali.

ringraziamenti

volevo ringraziare l'autore dell'articolo per la chiarezza di esposizione, e per l'impegno nello smascherare le falsità propagandate dai guru dell'economia liberista. Grazie!

eZ Publish™ copyright © 1999-2015 eZ Systems AS