Un altro grande crollo è in vista: quello del business che ruota attorno al trasporto merci nei container via mare. Un settore basato su finanza e gigantismo, prossimo al crack / 1
Un nuovo crack finanziario si profila all’orizzonte, meno eclatante di quello dei mutui subprime ma con conseguenze che potrebbero incidere pesantemente sui meccanismi della globalizzazione.1 Sappiamo qual è la ratio di fondo di questi meccanismi: produrre in una parte dell’emisfero terrestre e consumare i prodotti nell’emisfero opposto, produrre in paesi a basso costo del lavoro e consumare in paesi a reddito pro capite elevato. Il circuito immateriale del denaro governa questo scambio, ma c’è un altro circuito indispensabile al suo funzionamento: il circuito fisico. I prodotti debbono essere materialmente trasportati sui mercati di consumo, i semilavorati debbono arrivare alle fabbriche di produzione finale, i componenti debbono arrivare all’impianto di assemblaggio. Come? Per mare, in container la massima parte, oppure in aereo, se sono di alto valore. Del trasporto in container per mare se ne occupano una ventina di compagnie di navigazione. Le prime cinque per dimensioni, potenza della flotta, copertura planetaria delle rotte, si chiamano Maersk (che organizza anche una buona fetta della logistica militare USA), MSC (invenzione geniale di un sorrentino che ha stabilito il quartier generale a Ginevra), CMA CGM di un libanese naturalizzato francese (che naviga da tempo in cattive acque finanziarie), COSCON (cinese, di stato, che naviga forse in acque peggiori), Hapag Lloyd (tedesca, di antica tradizione, il cui azionista di riferimento, il gruppo TUI, cerca di scaricare sulle spalle di qualcun altro, magari con il contributo della Merkel, così come Hollande cerca di venire in soccorso a CMA CGM). Maersk ha perso l’anno scorso 600 milioni di dollari, MSC è un mistero, non fornisce informazioni all’esterno. L’indebitamento che queste 20 compagnie hanno accumulato dal 2007 ad oggi è, secondo stime di una nota società di consulenza, di 90 miliardi di dollari.2 La stessa società ne ha analizzate alcune in profondità, pubblicando i risultanti ad ottobre: la metà di quelle prese in considerazione “non è in grado di pagare gli interessi sul debito”. Perché perdono tanti soldi? Esaltate dai ritmi di crescita dei primi anni 2000 hanno cominciato a ordinare navi ai cantieri, sempre più grandi (12 mila, 14 mila Teu, adesso è appena entrata in servizio una da 16 mila Teu).3 Hanno creato in tal modo una sovraofferta di stiva, i noli sono crollati, le navi più sono grandi più perdono soldi ad ogni viaggio se vengono riempite al 60/65%.
I cantieri del Far East, coreani, cinesi, giapponesi, sussidiati dai governi, le fabbricano a prezzi sempre più stracciati, pur essendo sempre più sofisticate tecnologicamente. E le compagnie di navigazione le ordinano, le ritirano e ne iscrivono in bilancio il valore, che serve come garanzia per il credito bancario. Organizzare un servizio sulla rotta Far East-Europa costa 1,5 miliardi di dollari, ma per essere competitivi bisogna almeno averne tre di servizi, dunque 4,5 miliardi. Impossibile senza il credito bancario. Ma su quella rotta si abbatte la crisi dell’eurozona, i noli salgono e scendono impazziti, gli spedizionieri, le ditte di import-export, le imprese manifatturiere, la grande distribuzione, perdono il controllo dei loro costi logistici (di cui quelli di trasporto sono la componente maggiore). Il 19 novembre la svolta: Maersk, leader mondiale, dichiara al Financial Times Deutschland (il giornale che la proprietà ha deciso di chiudere proprio questa settimana) che per i prossimi cinque anni non ordinerà più una nave ai cantieri e che il business del trasporto marittimo container è ormai un business in perdita. Notizia bomba, di cui in Italia, paese di mare, si è avuta una pallida eco. Intanto è da più di un anno che le istituzioni finanziarie deputate al credito navale, concentrate quasi tutte in Germania, affogano nella crisi. Dall’inizio del 2012 centinaia di “fondi chiusi” hanno dichiarato lo stato di Insolvenz. Le grandi banche tedesche specializzate in finanziamento dello shipping o si ritirano da questo settore di business, come la Commerzbank, o rischiano il default, come HSH Nordbank, la prima al mondo del settore, pubblica, proprietà suddivisa tra la città-stato di Amburgo e il Land dello Schleswig Holstein. Merkel non interviene. Per calcolo politico? I due Länder sono l’uno, Amburgo, socialdemocratico, l’altro, lo Schleswig Holstein, rosso-verde, se l’umore dei loro elettori cambia in seguito al crack della banca, lei, Merkel, riconquista la maggioranza nel Bundesrat.4
Ma non basta, un altro soggetto è deputato al finanziamento della costruzione navale ed alla messa a disposizione di terzi di stive da riempire. Si chiama non operating ship owner – o semplicemente owner. Sono quasi tutti tedeschi, società di dimensioni rispettabili, tanto per rendere l’idea: Peter Döhle, uno dei maggiori, ha 6.800 dipendenti, Hamburg Süd, la 12ma in classifica delle top 20 del trasporto container, ne ha 4.500. Guadagnano come? Costruendo navi e noleggiandole con contratti charter a lungo termine. Quando il mercato tira, i noli charter consentono lauti guadagni, con la crisi crollano in parallelo al crollo dei noli di trasporto. E il valore patrimoniale delle navi scende di conseguenza. A giugno 2012 la “Frankfurter Allgemeine Zeitung” scriveva: “il valore di molte navi è ormai sceso al livello del loro prezzo di demolizione”. Come gli immobili dei mutui subprime, non c’è differenza nelle dinamiche della finanziarizzazione. In questo caso Merkel è intervenuta, il Kreditanstalt für Wiederaufbau, una specie di nostra cassa depositi e prestiti, ha concesso dei crediti-ponte a tassi agevolati agli owner. Di tutto questo bailamme in Italia non si è avuto sentore. Come dei sonnambuli, i rappresentanti della nostra classe dirigente, a livello nazionale ministri e sottosegretari, a livello locale deputati delle città portuali, assessori regionali, sindaci, alcuni Presidenti di Autorità portuali, hanno continuato a vaneggiare di progetti per il potenziamento dei porti, che non hanno alcun senso comune.
(1- continua)
1 Un’analisi più approfondita di questi avvenimenti nel mio articolo Il crack che viene dal mare, in download dal sito www.fondazionemicheletti.it/altronovecento/; vedi anche la mia intervista a “Il Corriere dei Trasporti”, n. 47, dicembre 2012; inoltre Navigazione pericolosa, di C. Müssgens, dalla “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, su “Internazionale”, 21 dicembre 2012, p.108.
2 Alix Partner, Sailing in a Sea of Red. The Alix Partner Container Shipping Study.
3 Teu (twenty equivalent unit) unità di carico standard da 20 piedi, una nave da 14 mila vuol dire che può caricare fino a 14 mila unità da 20 piedi ciascuna.
4 Attualmente, la situazione al Bundesrat è così suddivisa, 7 Länder al centro-sinistra (SPD, Verdi, Linke), 5 alla grande coalizione CDU/SPD, 4 al centro-destra (CDU o CDU/FDP); se i due Länder del Nord dovessero cambiare colore, la situazione sarebbe: 5 al centro-sinistra, 5 alla grande coalizione, 6 al centro-destra.
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