Se Tsipras riuscirà a gestire questo difficile passaggio in maniera utile per il suo popolo e per il suo paese, ottenendo la ristrutturazione del debito e il finanziamento promesso per l’economia reale, allora le forze anti-austerità europee avranno perso una battaglia ma vinto la guerra
C’è un sottilissimo filo rosso che distingue la abile manovra politica dal tradimento. E ci vuole grande maturità per poter distinguere tra i due. Attorno a questo sottilissimo filo rosso si sta giocando la sorte della sinistra greca e forse anche europea.
L’oggetto della nostra problematica non deve essere solo l’infelice conclusione del duro negoziato tra Tsipras e i creditori. Ma anche l’azione di governo in questi sette mesi. Lo stesso Tsipras ha riconosciuto errori, ritardi e omissioni. Si è anche lamentato della scelta di alcuni ministri. Più specificatamente, ha detto che il suo governo “ha pagato cara la scelta di certe star”, con ovvio riferimento a Varoufakis.
L’autocritica del leader di Syriza è sincera. Varoufakis probabilmente andava contenuto e indirizzato, all’interno di una strategia. Una strategia che però non c’era.
Ci sono state anche altre scelte discutibili. Nella scelta dei ministri spesso si è seguito il metodo Varoufakis: personaggi eccellenti nel loro campo, coraggiosi combattenti, con grande preparazione scientifica. Ma debolissimi nel gestire politicamente questo capitale di conoscenza e di combattività.
Ma la mancanza maggiore è stata ovviamente la debolezza strategica nel portare avanti un’opera riformatrice. Questa debolezza, sia chiaro, ha caratterizzato tutto il governo di Syriza, non solo il gruppo maggioritario. E non è un caso che nelle dure polemiche interne al partito, sfociate poi nella scissione, l’ala dissidente, confluita poi in Unità Popolare, non si è mai permessa di rilevare questi punti deboli del governo. Solo Tsipras ha riconosciuto i suoi errori.
Riguardo all’azione di governo, sono state sì prese misure urgenti per la crisi umanitaria ed è stato posto rimedio alle grandi ingiustizie del precedente governo. Ma non è emersa una prospettiva tangibile di riforme né nella sofferente amministrazione pubblica né nei confronti del tessuto produttivo che continua a sopravvivere né nei cruciali rapporti con l’oligarchia.
In conclusione, Syriza è arrivato al governo sull’onda di una grandissima pressione popolare, senza aver prima risolto i suoi problemi congeniti: di essere nato e di essere rimasto un partito in gran parte a vocazione minoritaria e massimalista. Un partito di 30 mila militanti di fronte a un elettorato che a gennaio ha raggiunto i due milioni e 200 mila voti. Un partito che non ha voluto affrontare in tempo – cioè fin dalle elezioni del 2012- il problema centrale dei rapporti tra la Grecia e l’eurozona. In sostanza, non aver voluto approfondire la questione di quali spazi di manovra può disporre un governo “ribelle” nelle determinate condizioni politiche vigenti in Europa.
Queste sono, in grande sintesi, le cause che hanno condotto Tsipras a trattare- come dicono in Grecia- con i creditori nell’illusione di avere a che fare con l’Europa di Voltaire e non invece con l’Europa di Schauble.
Mi soffermerò brevemente su due aspetti riguardanti le condizioni sotto le quali Tsipras ha accettato il nuovo memorandum. Il primo è che, a causa di una eterogeneità dei fini, la sconfitta greca ha aperto la strada verso la critica, per la prima volta aperta e perfino dentro la Germania, verso la politica di Schauble.
È evidente che il trattamento riservato alla “provincia ribelle dell’impero” ha suscitato forti preoccupazione e riserve sulla politica europea (e soprattutto sul ruolo della Germania nel definire questa politica), come se fosse la prima manifestazione di quella stessa ondata che ora sta travolgendo anche la politica europea sull’immigrazione. Un’ondata che non si fermerà finchè il problema dell’eurozona e dell’unificazione politica non saranno risolti, in una maniera o nell’altra.
Il secondo aspetto riguarda la dissidenza di Syriza, ora raggruppata in Unità Popolare. Si tratta di una formazione nata attorno alla parola d’ordine “no all’austerità”, che continua a perpetuare i vecchi difetti di Syriza, cioè il minoritarismo e il massimalismo. In questa campagna elettorale la parola d’ordine dell’uscita dall’eurozona, alla fine è stata messa in secondo piano dai dirigenti di Unità Popolare, perché risulta incomprensibile in un paese importatore e con seri problemi di sicurezza alle sue frontiere orientali.
Se, secondo me, Unità Popolare è la migliore rappresentazione della sinistra che non vuole governare, la nuova frontiera di Tsipras è esattamente quella opposta: dimostrare che è possibile, oggi in questa eurozona, avere una sinistra al governo: costretta sì a firmare un accordo irrazionale e umiliante, ma in grado di muoversi con abilità negli interstizi per portare avanti riforme vere o parte di esse. La sfida sarà tanto più difficile nell’eventualità che si renda necessario formare un governo di coalizione con la partecipazione anche di partiti pro- austerità, come To Potami.
È su questo terreno quindi che ora si gioca la sottile linea che separa la resa e il cambiare campo, da una parte, dalla politica e le sue dure realtà, dall’altra. Se Tsipras riuscirà a gestire questo difficile passaggio in maniera utile per il suo popolo e per il suo paese, ottenendo la ristrutturazione del debito e il finanziamento promesso per l’economia reale, allora le forze anti-austerità europee avranno perso una battaglia ma vinto la guerra.
Se invece prevale una certa tendenza al trasformismo e si scende a compromessi con l’oligarchia, allora la sinistra sarà di nuovo relegata ai margini dell’eterna opposizione.
In conclusione: l’esperienza greca continua a essere importante. Si è capito che le forze avversarie sono molto più forti di quanto immaginato. Che sono disposte anche a far saltare tutto per aria pur di non cedere su nulla. Si è capito anche che in questo scontro non si può arrivare impreparati, perché l’avversario ha dimostrato di avere grandi risorse di progettazione e di manovra politica.
Ma neanche si può arrivare divisi allo scontro con le forze neoliberiste. Non è sufficiente l’unità delle forze di sinistra e dei progressisti. In questo senso, l’esempio dell’alleanza tra Syriza e i Greci Indipendenti è uno degli elementi più interessanti e meno studiati del governo Tsipras. La verità che dobbiamo riconoscere è che le rigidità della politica neoliberista creano contrasti e contraddizioni anche a destra, al centro, tra le forze cattoliche, i moderati, i veri liberali. Spesso alcune di queste forze politiche esprimono posizioni rozze, antieuropee o anti-euro, ma le loro sono risposte sbagliate a domande giuste. Bisogna aprire un dialogo con queste forze europee, creare un ampio schieramento capace di isolare e battere le posizioni neoliberiste.
È su questo terreno che si condurrà –secondo me- la battaglia politica in Europa nei prossimi anni.
Da questa battaglia probabilmente dipenderà se avremo ancora un’Europa patria della democrazia e della libertà oppure un continente dominato da logiche imperiali. Personalmente, sono convinto che è una battaglia che ha la stessa rilevanza di quella condotta dai nostri nonni contro il fascismo.
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