Bric/Il più "simpatico" dei Bric alle prese con una transizione difficile. Tra sviluppo dirompente, squilibri interni, quadro internazionale
“…oggi noi siamo come gli Stati Uniti degli anni 50…”
E. Batista, imprenditore
“…chi può immaginare di risolvere i problemi del mondo senza il Brasile?...”
N. Sarkozy
“…noi ci svegliamo ogni mattina e preghiamo che la Cina stia bene…”
J. C. Martin, direttore società mineraria brasiliana
Premessa
Tra tutti i paesi dell’area Bric, il Brasile appare quello visto nel mondo con maggior simpatia e questo non solo per la vitalità dei suoi abitanti e per la piacevolezza dei suoi paesaggi e della sua musica; con una popolazione che raggiunge i 200 milioni di abitanti, esso è anche una grande democrazia, come l’India e al contrario invece di Cina e Russia, ma, nello stesso tempo, più della stessa India, esso sta cercando di impegnarsi seriamente da qualche anno sul fronte della lotta alla povertà della parte più povera dei suoi abitanti.
Il Brasile nell’ultimo periodo ha cominciato a svilupparsi a ritmi abbastanza sostenuti. Tra il 2003 e il 2008 il tasso di aumento medio annuo del pil è stato del 4,2%; dopo che nel 2009 le cose, a causa della crisi, sono andate abbastanza male, la crescita è fortemente ripresa nel 2010, anno nel quale essa è stata del 7,5%, mentre si prevede un aumento intorno al 4,0% per il 2011. A prezzi di mercato il pil del paese ha superato nel 2010 quello dell’Italia, mentre, usando il criterio della parità dei poteri di acquisto, esso si colloca ormai anche davanti a Francia e Gran Bretagna.
Si tratta di tassi di crescita inferiori a quelli di Cina e India, ma comunque c’è stato un miglioramento rilevante rispetto ai decenni precedenti, mentre oggi il paese ha davanti insieme enormi potenzialità e grandi problemi.
La storia economica recente
Nel 1964, con il pretesto di garantire la sicurezza nazionale, si instaura una dittatura militare che durerà sino al 1985; essa pretende, tra l’altro, di affrontare i gravi problemi economici del paese con la compressione dei salari e la repressione dei sindacati. Ne segue comunque il cosiddetto miracolo economico, che comporta però un forte aumento dell’indebitamento del paese e pone le basi di diseguaglianze sociali tra le più importanti del mondo.
Il Brasile sembrò così essere al centro di un rilevante processo di sviluppo guidato dallo stato, centrato su di una politica di sostituzione delle importazioni e finanziato con un alto livello di indebitamento internazionale. Questo progetto crollerà con la crisi sudamericana degli anni ottanta, che vedrà, tra l’altro, manifestarsi un’inflazione rampante, un forte debito estero, la stagnazione economica.
Tale situazione darà origine ai tentativi di stabilizzazione degli anni novanta. Le riforme portate avanti da F. H. Cardoso dal 1994 al 2002, in particolare con il varo del cosiddetto piano real del 1994, avevano contribuito a porre le basi dello sviluppo successivo, in particolare riuscendo a sradicare l’inflazione, ma esse, fondate sulla triade privatizzazioni, liberalizzazioni e stretta budgetaria e monetaria, avevano anche fatto esplodere il debito estero (Delcourt, 2010) e aggravato ancora di più la già precaria situazione sociale del paese.
Nel decennio che ha preceduto l’arrivo di Lula al potere, ad ogni modo, l’economia era cresciuta ad un tasso medio annuo del 2,5%.
Il periodo di Lula
Eletto con un programma di trasformazione profonda del paese, che aveva spaventato la grande borghesia del paese e allarmato i circoli internazionali, Lula ha terminato il suo mandato osannato non solo dalla grande maggioranza del suo popolo, ma anche da tutti quelli che egli aveva all’inizio impaurito.
Lula ha lasciato un paese certamente più prospero e coeso socialmente di sempre (Rathbone, Wheatly, 2010). Durante la sua gestione, è stata raggiunta la stabilità monetaria e finanziaria, tenuti sotto controllo il debito pubblico e l’inflazione, mentre i tassi di crescita del pil sono aumentati; d’altro canto, i provvedimenti sociali presi hanno soltanto intaccato le profonde diseguaglianze e la povertà del paese. Abbiamo assistito, da una parte, al pieno affermarsi del Brasile come potenza geopolitica a livello mondiale, ma, dall’altra, anche al riflusso della speranza di una trasformazione sociale profonda (Lambert, 2010).
I successi economici hanno comunque beneficiato di un contesto esterno molto favorevole (Salama, 2010), rappresentato in particolare dal grande sviluppo dei traffici con la Cina e dal parallelo aumento dei prezzi di molte materie prime di cui il Brasile è un forte esportatore, nonché dal rilevante afflusso di investimenti esteri attirati dalla congiuntura favorevole. Questo ha molto migliorato la situazione della bilancia dei pagamenti, già tallone d’Achille del paese.
Per altro verso, la sua azione di governo ha dovuto fare i conti con il fatto che il suo partito era in posizione minoritaria al parlamento, trovandosi così tra l’altro obbligato ad affidare dei posti di governo a dei politici anche molto conservatori.
I miglioramenti economici e sociali
Le politiche di Lula hanno tolto 35 milioni di brasiliani dalla povertà. In termini percentuali, secondo almeno la Fondazione Vargas, il numero dei poveri è sceso dal 28,5% della popolazione nel 2003 al 16% nel 2008 (Salama, 2010); altre fonti danno delle cifre diverse, ma comunque sempre positive. La riduzione della povertà non è stata dovuta peraltro tanto o solo direttamente alle politiche governative, quanto ad una ripresa della crescita (Salama, 2010).
Il numero dei posti di lavoro creati ogni anno è fortemente aumentato dai primi anni del 2000. Il tasso di disoccupazione è sceso al 6,1%, il più basso di tutti i tempi. Il salario minimo garantito, che si applica a 25 milioni di lavoratori, gode di una doppia indicizzazione, sull’aumento annuo del pil e sul tasso di inflazione (Rampini, 2011).
È cresciuta l’alfabetizzazione; il numero medio di anni di scuola per i cittadini di più di 25 anni è passato dai 5 del 1992 agli oltre sette del 2008 ed esso continua a crescere.
Tra i principali programmi messi in essere o migliorati durante la gestione Lula ricordiamo la Bolsa familia, un sussidio diretto alle madri che viene pagato solo se i figli vanno regolarmente a scuola; inoltre, il progetto ProUni, che mira a democratizzare l’accesso all’università per gli strati meno favoriti della popolazione, i programmi di sostegno all’agricoltura familiare e le iniziative mirate ad accrescere il sostegno alle popolazioni indigene. Il progetto faro del secondo mandato è stato quello Territorios da Cidadania, che aveva come missione quella di colmare il ritardo delle regioni più povere del paese (Delcourt, 2010).
Gli ultimi cinque anni del governo Lula hanno anche visto il ritorno a una politica industriale attiva, che mirava, tra l’altro, a estendere e qualificare la base manifatturiera del paese; la prima mossa di questa politica è stata quella di dare alla Petrobras il ruolo centrale nello sviluppo dell’estrazione del petrolio nei nuovi grandi campi individuati di recente. Inoltre è stato potenziato il ruolo della finanziaria pubblica, Bndes. Importanti, anche se ancora insufficienti, gli investimenti in infrastrutture ed educazione.
Il Brasile ha continuato a svilupparsi durante la crisi. Questo grazie in particolare alla domanda asiatica, in particolare cinese, di materie prime e di prodotti alimentari.
La Cina è diventata nel 2009 il primo partner commerciale del paese e nel 2010 il più importante investitore. Ma la relazione è asimmetrica: il Brasile fornisce soprattutto dei prodotti di base, mentre la Cina vende beni industriali a forte valore aggiunto.
Le iniziative diplomatiche dei governi Lula si sono mosse in particolare in direzione di una nuova solidarietà sud-sud, America Latina-Asia-Africa, già oggi una realtà in forte crescita e che potrebbe diventare l’asse dominante dello sviluppo economico mondiale dei prossimi anni.
Un risultato storico del paese è quello di essere diventato, dopo tanti decenni di pesante indebitamento estero, un paese creditore a partire dal 2008.
Il commercio interlatinoamericano
Il Brasile intrattiene delle relazioni abbastanza complesse, ma sostanzialmente distaccate, con i suoi vicini del continente. Esso nella sostanza pensa che il suo benessere e il suo sviluppo non dipendano molto dagli altri paesi latino-americani. Le sue dimensioni gli permettono di fare anche da solo, mentre per una nazione come l’Argentina l’integrazione regionale resta la sola possibilità di fronte ai processi di mondializzazione (Paranuaga, 2011).
Comunque la creazione nel 1991 del Mercosur, il mercato comune cui partecipano, oltre al Brasile, la stessa Argentina, il Paraguay e l’Uruguay e al quale è in corso l’adesione del Venezuela, ha costituito un passo relativamente importante verso un’integrazione regionale; il protezionismo si è indebolito, gli scambi sono aumentati, ma la cooperazione sui grandi progetti infrastrutturali, che potrebbe portare grandi benefici al continente, è rimasta allo stato embrionale, nonostante la creazione nel 2008 in un’organizzazione apposita, l’Unasur.
I grandi problemi aperti
Secondo le cifre della Banca Mondiale, la percentuale del reddito nazionale che va al 20% più ricco della popolazione sfiora in Brasile il 60%, mentre quello che va al 20% più povero tocca il 3-4%; l’indice di Gini si colloca intorno al livello di 0,53, posizionando il paese tra quelli con le maggiori diseguaglianze di reddito del pianeta. L’indice comunque diminuisce regolarmente, anche se molto moderatamente, da più di otto anni. Ma le diseguaglianze toccano anche la dimensione geografica, con un Nord sostanzialmente rurale, povero e con un tasso di scolarizzazione limitato e un Sud più industrializzato, opulento, scolarizzato (Le Monde diplomatique, 2010).
Il Brasile ha un’agricoltura molto moderna. Bisogna peraltro considerare che, nonostante gli sforzi portati avanti sul terreno sociale da Lula, con una legislazione che prevede, tra l’altro la possibilità che il governo possa espropriare i terreni non lavorati e darli ai contadini senza terra, ancora oggi la metà delle terre arabili è posseduta dall’1% della popolazione (Dang, 2011). Invece, la politica del governo prevede incentivi per l’agro industria di grandi dimensioni, per gli organismi genericamente modificati, per una deforestazione dannosa, nonché per un allevamento devastatore. Tale spinta tende a concentrare ulteriormente la proprietà della terra e a distruggere un ambiente già fragile (Dang, 2011).
Su di un altro fronte, solo il 39% dei brasiliani in età compresa tra i 25 e i 64 anni ha completato l’educazione secondaria. Nonostante i grandi successi ottenuti nel campo dell’obbligo scolastico, l’educazione in Brasile continua ad avere pochi fondi e a beneficiare in maniera spropositata i ricchi.
L’inflazione è attualmente al 6,3% nonostante il real si sia di recente molto rivalutato – del 40% negli ultimi due anni nei confronti del dollaro. Il prezzo delle importazioni si è notevolmente abbassato, alimentando un incremento nei consumi interni, ma contemporaneamente gli imprenditori nazionali di prodotti industriali si sono trovati in rilevanti difficoltà (Rathbone, 2011).
Il problema per la banca centrale è che ogni volta che aumenta i tassi di interesse, ora all’11,75%, il paese diventa ancora più attraente per i capitali stranieri vaganti.
Per altro verso, il Brasile si caratterizza per un bassissimo tasso di investimenti pubblici e per un’industria ancora debole. Lo stato è famoso per la sua inefficienza e burocrazia. Vi regnano nepotismo e clientelismo.
Da segnalare infine la violenza estrema che regna qua e là nel paese, un male in parte ereditato dall’antico impero portoghese e dall’abolizione tardiva della schiavitù.
Conclusioni
Il nuovo presidente, Dilma Roussef, sia pure sullo sfondo delle potenzialità molto grandi del paese, si trova davanti a un compito improbo. Ella dovrebbe cercare di mantenere un certo equilibrio macroeconomico, provvedendo però contemporaneamente ad accrescere i ritmi dello sviluppo, peraltro molto dipendente dal prezzo delle materie prime sui mercati internazionali, nonché ad accelerare le riforme necessarie per ridurre le vistose diseguaglianze, le grandi ingiustizie, le rilevanti carenze di infrastrutture, cui il paese si trova di fronte.
Il destino del Brasile appare comunque fortemente legato, economicamente e politicamente, all’andamento del quadro estero. Da una parte, permane la forte necessità di governare i vincoli posti dal sistema finanziario internazionale, dall’altra quella di sviluppare delle relazioni sempre più strette con i paesi del sud del mondo, nuovo asse della crescita economica globale; tali relazioni presentano anch’esse peraltro dei problemi di rilievo, quali gli insoddisfacenti rapporti di cambio tra le monete e l’altrettanto insoddisfacente natura specifica degli scambi commerciali e degli investimenti con gli altri paesi emergenti, in particolare con la Cina.
Testi citati nell’articolo
Dang B., Why land reform makes sense for Dilma Roussef, www.guardian.co.uk, 27 gennaio 2011
Delcourt L., Le Brésil de Lula: de l’espoir…à la désillusion?, in Le Brésil de Lula, La Documentation francaise, dossier problèmes économiques, n. 3002, Parigi, 15 settembre 2010
Lambert R., Là où le Brésil va…, Le monde diplomatique, collezione Maniére de voir, n. 113, ottobre-novembre 2010, pag. 11
Paranagua P. A., L’union régionale ne fait pas la force, in Bresil, un géant s’impose, fascicolo fuori serie di Le Monde, settembre-ottobre 2010
Rampini F., Il Brasile del miracolo ora è la locomotiva dell’economia mondiale, www.repubblica.it, 18 marzo 2011
Rathbone J. P., Brazil boom masks growing vulnerabilities, www.ft.com, 28 aprile 2011
Rathbone J. P., Wheatley J., Brazil: great expectations, www.ft.com, 28 settembre 2010
Salama P., Lula a-t-il vraiment fait reculer la pauvreté?, Alternatives internationales, fascicolo speciale n. 7, dicembre 2009
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