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Bussole nella tempesta europea

Rafforzare dal basso la via dell'Europa. Questa la proposta di Mary Kaldor, nel suo articolo per il nostro forum. Che continua, su sbilanciamoci.info e il manifesto, con numerosi interventi: Mortellaro, Bellofiore, Ciafaloni. E nella versione inglese su opendemocracy

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L'Agora telematica, la democrazia diretta per mezzo del computer

Così come nell'Agorà - la piazza - dell'Atene di Pericle chi ne aveva diritto esercitava la democrazia diretta, così anche noi uomini del XXI° secolo possiamo esercitarla nell'Agorà telematica che la tecnologia informatica ed internettiana mette a nostra disposizione!
Tutti coloro che hanno diritto al voto possono essere chiamati ad esercitare la democrazia diretta con pochi strumenti informatici.
Il sogno della democrazia diretta desiderato, inseguito e teorizzato da tanti nostri grandi politici e pensatori nel corso di 2.500 anni è ora alla portata di noi tutti.
È realtà!
Cosa serve? Servono pochissimi strumenti: un codice del tipo o-key come quelli della banca online, il proprio codice fiscale e per mantenere segreto il voto un software che dopo il login di un qualsiasi votante lo nasconda/lo mescoli/qualsiasi altra cosa si voglia (lasciamo i dettagli ai tecnici) per non farlo rilevare da interessati a sapere l'identità del votante. Anche un ufficetto apposito, del tipo piccolo ufficio delle poste, in ogni quartiere della città andrebbe bene, una specie di seggio elettorale permanente che costerebbe a noi cittadini, lo Stato, assai poco.
E il gioco è fatto!
Vogliamo aumentare le tasse sui patrimoni superiori ai 100.000 € o vogliamo aumentare l'IVA di un punto percentuale? Non decidano solo i 1.000 o i 350 o i 620 parlamentari. Tramite la telematica possono decidere tutti gli aventi diritto al voto... possiamo decidere noi tutti ed in pochissimi minuti, quasi in tempo reale.
Attenzione, non è la fine della democrazia rappresentativa! È solo l'inizio della convivenza fra questa e la democrazia diretta dove il piatto della bilancia con l'andar del tempo penderà maggiormente verso quest'ultima. È l'avverarsi dei sogni di Pericle, dei Keynes, dei Wilson, Roosevelt, dei Berlinguer, dei veri democratici, insomma...
Elementi della democrazia rappresentativa servono! Ad esempio per stabilire l'agenda, od in seguito semplicemente per organizzarla. Servono il governo della cosa pubblica, i meccanismi istituzionali e legislativi, le gestioni amministrative ma il voto non deve per forza essere rappresentativo. Deve invece, dove ve ne siano le condizioni e le possibilità, essere diretto e partecipativo. E consapevole, oltre ad essere volontario!
Le strade per arrivare alla democrazia diretta possono essere, anzi saranno assolutamente poco lineari e non conseguenti, varieranno da paese a paese e da popolo a popolo, come tutti i processi storici ma di fatto ora, in questo momento, la cosa è assolutamente realizzabile.
Gli elettori inizialmente potrebbero essere chiamati a votare su questioni importanti e piano piano acquisendo consapevolezza e conoscenza unita alla padronanza dei mezzi essere chiamati ad esprimere pareri su argomenti più delicati e complessi, un po' come fa la CGIL quando mette a referendum da parte dei suoi iscritti gli accordi contrattati con gli industriali!
Un partito dovrebbe porsi questo obietttivo nel suo programma, perché è fattibile ed assai democratico e può rappresentare un importante passo, non l'unico, verso una vera e compiuta e matura democrazia.

L’Europa fragile disgregata dai mercati

Stupisce che un’editorialista acuta come Barbara Spinelli scriva (Repubblica del 10 agosto) che <<gridare al “commissariamento” significa ignorare che la moneta unica è nata per creare in Europa uno spazio comune, una pòlis allargata>>. Potremmo accettarlo il commissariamento del nostro governo – e del nostro paese – se esistesse un’Europa politicamente unita. Chi ci commissaria in realtà? Ci commissaria, sempre che sia vera la lettera “riservata” ricevuta in tal senso da Tremonti, non uno Stato sovrannazionale ma la Banca Centrale Europea. E se un’istituzione monetaria burocratica ha la pretesa di mettere sotto la sua tutela istituzioni liberamente espresse dal voto popolare vuol dire che la democrazia è all’ultimo stadio. Il sogno europeo di Barbara Spinelli – l’Unione come ambizione collettiva dei popoli, coronamento di un processo storico inevitabile in un mondo che cambia a grande velocità, la comune cittadinanza, un nuovo quadro condiviso di diritti e di doveri, la “nascita di un’opinione pubblica in grado di pensare se stessa” dentro uno stato sovrannazionale – è stato per lungo tempo il nostro stesso sogno. Pur senza nasconderci mai le difficoltà della sua realizzazione: con la moneta unica come punto di partenza quando doveva esserne, al contrario, il punto d’arrivo. Ma era così forte questo sogno d’unità politica da renderci tanto più amaro il risveglio. L’Europa è una babele di egoismi e di divisioni economiche, con paesi differenti per livelli di reddito, forza strutturale, modernizzazione: non in regola con i cosiddetti “fondamentali” richiesti. Debole e senza politica di fronte al potere della finanza globale e della speculazione che l’investe come un uragano. Debole in un Occidente che lo è altrettanto. Incapace di trarre insegnamento dalla crisi del 2008. Che è stata proprio la dimostrazione della bolla finanziaria, di cui la stessa Spinelli ha più volte parlato nei suoi editoriali, e nella quale abbiamo vissuto inconsapevoli. Ancora illusi d’essere ricchi mentre eravamo indebitati fino al collo. Ma questo era il messaggio – rassicurante – che lanciava la politica mentre il baratro della recessione e del default mondiale erano dietro l’angolo. La mistificazione della realtà, appunto. Su cui la politica mondiale di destra e di sinistra, falsamente di sinistra, affascinata dal verbo liberista, alleata di banchieri e tecnocrati, ha edificato il suo potere corrotto, scaricando sull’economia reale – lavoratori dipendenti, pensionati e precari dell’Italia e del mondo – i costi di una crisi catastrofica, e per salvare proprio quei banchieri che l’avevano provocata. Barbara Spinelli scrive che “crisi” è solo un eufemismo per definire la “grande mutazione economica” che viviamo. E come dovremmo chiamarla? A quale altro termine ricorrere per dare nome a un sistema (anche di valori) che crolla e che in altre epoche ha avuto come conseguenze la Grande Depressione e poi la Seconda Guerra mondiale? Non fosse ciò che ancora è, ciò che è sempre stata, ciò che di questo passo sempre sarà, cioè (semplicemente) un’unione monetaria fondata su parametri e vincoli di bilancio, una babele di stati e di egoismi nazionali, l’Europa sarebbe nelle condizioni di affrontare le turbolenze dei mercati. Perché lo Stato più forte aiuterebbe il più debole ed esposto agli appetiti della grande speculazione internazionale senza porre pesanti condizioni ai suoi piani di rientro. È quello che in questo momento dovrebbe fare la Germania rifinanziando il credito dei paesi a rischio, tra cui il nostro. Ma chi guida la Germania sa per primo che il popolo tedesco mai accetterebbe di salvare con i propri sacrifici i paesi in difficoltà dell’eurozona. Prima che all’annunciato fallimento economico-finanziario, ci troviamo di fronte al colossale fallimento politico di un’idea d’Europa dei popoli in cui nessuno ha mai creduto. E per primi i mercati, che in una prateria ormai priva di confini e di regole democratiche hanno scatenato i loro istinti bestiali.

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