In Grecia, Spagna, Portogallo l'origine della crisi è nell'esplosione del debito estero. Mentre gli occhi di tutti si concentravano sul debito pubblico, la finanza privata ha allegramente prestato soldi a paesi al di sotto degli standard di affidabilità. Una distrazione frutto dell'ideologia mercatista
La crisi che sta colpendo alcuni paesi mediterranei dell’area euro, con esclusione dell’Italia, impone qualche riflessione. Ne proponiamo due: 1) in tutta evidenza, l’appartenenza all’area euro non è di per sé uno scudo contro le crisi finanziarie; 2) il debito pubblico non può essere la principale causa di quanto sta accadendo: i paesi colpiti dalla crisi hanno tutti un rapporto debito pubblico/Pil inferiore a quello italiano, ma l’Italia non è sull’orlo della bancarotta.
Ricordiamo i dati essenziali del problema. Il trattato di Maastricht stabilisce che il debito pubblico di un paese dell’area euro deve essere inferiore al 60% del Pil. Nel primo decennio dall’introduzione dell’euro il rapporto debito/Pil è stato in media del 107% in Italia, del 97% in Grecia, del 59% in Portogallo e del 48% in Spagna1. In Grecia e Spagna dal 2001 in poi il rapporto è andato costantemente diminuendo. Evidentemente i governi di questi paesi, a differenza di quello italiano, sono stati “virtuosi” e hanno saputo risparmiare. Ad esempio, nel decennio successivo all’entrata nell’euro il governo spagnolo ha registrato in media un surplus di bilancio. Alla luce dei parametri di Maastricht tutti questi paesi si differenziano quindi in senso positivo dall’Italia. Perché allora loro sono nei guai, e noi no?
Semplice: perché negli ultimi anni il loro sviluppo, a differenza di quello italiano, è stato finanziato con un massiccio ricorso a capitali esteri. Il settore pubblico, ma soprattutto quello privato, di Grecia, Portogallo e Spagna si sono pesantemente indebitati con il resto del mondo, che ora, allarmato dalla crisi finanziaria mondiale, batte cassa.
Qualche ordine di grandezza: nel primo decennio dell’era euro, il deficit con l’estero (pubblico e privato) ha viaggiato in media all’8% del Pil in Grecia, al 9% in Portogallo, al 6% in Spagna... e solo all’1% in Italia2. Nel 2007 il debito estero (pubblico e privato) era pari al 103% del Pil in Grecia, al 101% in Portogallo, all’85% in Spagna... e solo al 20% in Italia! Con oltre 1200 miliardi di dollari di debito estero, la Spagna è il secondo debitore estero mondiale dopo gli Stati Uniti3.
Evidentemente, la crisi di Spagna, Grecia, ecc. è una crisi di insostenibilità del debito estero (che loro hanno e noi no), non del debito pubblico (che loro non hanno, o non quanto noi).
Il debito pubblico italiano è contratto prevalentemente con i cittadini italiani. Certo, esso è preoccupante per tanti noti motivi. Ma l’evidenza ci dice che in questa fase esso allarma relativamente poco i mercati finanziari internazionali, i quali a noi non stanno chiedendo il conto, come a Spagna, Grecia, ecc., per il semplice motivo che non hanno nessun conto da chiederci! Ai mercati finanziari internazionali interessa di più sapere se un paese è in grado di ripagare il debito contratto con essi (cioè il suo debito estero, sia esso pubblico e privato), che non quello contratto da un settore del paese (lo Stato) con un altro dello stesso paese (le famiglie).
In fondo non è così strano. Supponete che un vostro amico vi chieda un prestito. Sareste più disposti a farglielo sapendo che ha appena avuto 50.000 euro dai genitori per ristrutturare la casa (un debito fra settori della stessa famiglia), o che ha avuto la stessa cifra da una finanziaria (o magari da un usuraio) per comprarsi un’automobile sportiva (un debito “estero”)? Io un’idea ce l’avrei... eppure sono due debiti dello stesso importo! Il buon senso però insegna che debiti dello stesso importo non sono necessariamente uguali: bisogna vedere con chi li si contrae, e perché. Ma se questa riflessione è così ovvia, perché nessuno la fa, e perché il trattato di Maastricht non ne tiene conto?
Partiamo dalla fine: non assolutamente è vero che il trattato di Maastricht non tenga conto dell’indebitamento estero, anzi! L’articolo 3A del trattato cita la sostenibilità del deficit estero fra i “principi direttivi” che gli Stati membri devono rispettare, e l’articolo 109j sancisce che la Commissione deve considerare fra i criteri di convergenza anche l’evoluzione dell’indebitamento estero. Tuttavia, mentre sull’indebitamento pubblico è posto un vincolo quantitativo preciso (non più del 3% del Pil), su quello estero non ne è posto alcuno. Esiste una procedura di infrazione per deficit pubblico eccessivo, ma non per deficit estero eccessivo.
Qui agisce la lente dell’ideologia. Mentre contenere l’indebitamento pubblico significa contenere il ruolo dello Stato, contenere l’indebitamento estero significherebbe contenere il ruolo dei mercati finanziari. Naturalmente, se lo Stato è visto come un male (ci avviamo gagliardi alla privatizzazione dell’aria), il Mercato è visto come un bene, per cui il fatto che i capitali circolino da un paese all’altro viene considerato come positivo fino a prova contraria (prova che le crisi regolarmente danno). Da questo approccio ideologico scaturisce l’assenza di un criterio operativo riferito alla sostenibilità del debito estero (e di una riflessione sul ruolo del debito estero nella crisi attuale).
Si può pensare che i mercati avrebbero comunque potuto capire che la situazione era critica, soprattutto considerando che 1.200 miliardi di dollari di debito estero (quello spagnolo) non si accumulano in un anno! E qui vale la pena di osservare i dati, per capire bene cosa è successo. Prendiamo la Spagna: nel ventennio precedente all’entrata nell’euro il suo indebitamento estero è stato in media pari all’1% del Pil; nell’era dell’euro è salito a una media annua del 6%, con una punta del 10% nel 2007. Dinamiche analoghe si sono avute in Portogallo e Grecia.
Perché prima dell’euro questi paesi non si indebitavano con l’estero? Semplice: perché i mercati finanziari non si fidavano di loro, come non si fidavano dell’Italia, e quindi convogliavano altrove il risparmio mondiale. Se non trovi un creditore non puoi indebitarti! Perché dopo l’euro questi paesi hanno cominciato a indebitarsi? Perché uno degli effetti perversi dell’euro è stato quello di regalare a questi paesi una credibilità che essi alla prova dei fatti non meritavano. I mercati finanziari, abbagliati dalla raggiunta “eurocredibilità” di Spagna, Portogallo e Grecia, hanno cominciato a prestare a questi paesi più soldi di quanti essi ne potessero restituire. Perché questo non è successo all’Italia? Perché l’Italia non ha bisogno dei capitali esteri, dato che le sue famiglie risparmiano.
Il paradosso è che tutti avevano la sensazione che le cose stessero andando per il meglio, perché questo dicevano i parametri di Maastricht. Certo, ora si capisce quanto sia idiota definire la sostenibilità della finanza pubblica ponendo una soglia arbitraria al rapporto debito/Pil, dato che questo rapporto può essere abbassato drogando la crescita del Pil col ricorso ai capitale esteri, come hanno fatto Spagna, Grecia, ecc. La lente dell’ideologia deforma tanto a destra quanto a sinistra: quante volte abbiamo visto Rai 3 sdilinquirsi sul benessere che il governo di sinistra aveva regalato alla Spagna? Peccato che quel benessere fosse pagato dai soldi degli altri paesi. Del resto, analogo entusiasmo si era avuto per Clinton (e sappiamo com’è finita).
Sintesi: in assenza di un monitoraggio effettivo dell’indebitamento estero, l’euro non solo non basta a difendere i paesi membri dalle crisi finanziarie, ma può addirittura causarle indirettamente, nella misura in cui regala credibilità a paesi che non ne hanno. Ormai tutti dicono che le regole di Maastricht vanno riscritte: nel riscriverle bisognerà però aver presente un concetto di sostenibilità finanziaria più ampio, che tenga conto anche dell’indebitamento estero e sia meno ottusamente e ideologicamente concentrato sul solo debito pubblico. In caso contrario, ogni nuovo entrante sarà potenzialmente esposto alle dinamiche che hanno portato Spagna ecc. sull’orlo della bancarotta.
1 I provengono dall’OECD Statistical Compendium.
2 I dati provengono dal database del World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale (ottobre 2009).
3 I dati provengono dalla versione aggiornata del database di Philip R. Lane and Gian Maria Milesi-Ferretti, "The External Wealth of Nations Mark II" , Journal of International Economics 73, 223-250, November 2007.
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