La Bce si muove a difesa dell’euro e dei paesi in crisi da debito, ma il prezzo è salato: politiche di austerità, arrivo del Fmi in Europa, una riduzione dei processi democratici a livello nazionale ed europeo
La Banca centrale europea ha finalmente deciso che interverrà a sostegno dell’Euro: per interrompere la spirale della speculazione finanziaria internazionale che sta prostrando gli Stati più deboli, acquisterà in quantità illimitate titoli del debito pubblico. I mercati mostrano di reagire nel senso sperato, facendo salire le borse e scendere il mitico spread. Tutto bene dunque? Dobbiamo gioire per quanto è stato definito l’uso del Bazooka da parte di Mario Draghi? Purtroppo no: quel bazooka è puntato contro la democrazia, impedirà una volta per tutte ai parlamenti di intervenire su decisioni destinate a compromettere i diritti fondamentali dei cittadini europei. In un futuro molto prossimo quelle decisioni potranno essere direttamente assunte dalla Banca centrale europea, di comune accordo con il Fondo monetario internazionale.
È questo il punto di arrivo di un percorso iniziato per contrastare la crisi del debito sovrano. Ma perché si è verificata questa crisi? E come ha potuto condurre a soluzioni così letali per la vita di 730 milioni di persone, 116 dei quali attualmente a rischio povertà?
È noto che, più o meno, tutti i Paesi al mondo sono indebitati. Molti di loro affrontano il problema stampando moneta, da utilizzare per acquistare i titoli del proprio debito, i cui tassi di interesse restano dunque bassi, e per incrementare gli investimenti pubblici necessari a combattere la disoccupazione. Altri evitano di stampare moneta, ritenendo l’inflazione, e non la disoccupazione, il male assoluto da combattere. E, in caso di crisi, investono negli ammortizzatori le cifre appena necessari a evitare il conflitto sociale, ma non ammettono intralci alla benefica azione della dura legge della concorrenza: la crisi ripulisce il mercato dagli operatori inefficienti, per cui occorre evitare di contrastarla con interventi diretti.
Gli Stati Uniti, il Paese più indebitato al mondo, ha scelto la prima strada, mentre l’Europa ha imboccato la seconda. Lo impongono i dettami dell’economia sociale di mercato, menzionata tra i fondamenti dell’Unione: assicurare il corretto funzionamento del mercato, ammettendo le sole misure sociali finalizzate a prevenire il conflitto e a produrre collaborazione tra lavoratori e imprese.
Il bazooka di Mario Draghi rompe solo apparentemente con questo schema. È vero che, come accusano i tedeschi, la Banca centrale europea finirà per finanziare il debito pubblico stampando moneta. È però anche vero che questo avverrà a un prezzo altissimo: la disponibilità a realizzare riforme strutturali autonomamente decise dalla Banca, d’accordo con il Fondo monetario internazionale, pena la sospensione del programma di acquisto dei titoli del debito pubblico. È questo il senso delle cosiddette condizionalità, le condizioni stabilite appunto per il sostegno monetario agli Stati europei in difficoltà.
L’idea non è nuova. La politica delle condizionalità caratterizza anche il funzionamento del Meccanismo europeo di stabilità, futuro erede del Fondo salva Stati, i cui atti sono oltretutto coperti da immunità. Anche qui si prevede che l’aiuto ai Paesi in difficoltà sia condizionato alla realizzazione di misure strutturali. E anche qui si dice che queste misure sono decise coinvolgendo il Fondo monetario internazionale.
E il Fondo monetario internazionale non si trova lì per caso. Una delle sue finalità principali è infatti il sostegno finanziario agli Stati in difficoltà, tradizionalmente concesso proprio a condizione che essi realizzino riforme neoliberiste: le stesse che l’Europa impone ora agli Stati colpiti dalla crisi del debito sovrano. Sinora il Fondo era intervenuto prevalentemente per assistere i cosiddetti Paesi in via di sviluppo, ma negli ultimi tempi la cose sono cambiate: ha recentemente fornito aiuti prima all’Ungheria, poi all’Islanda, alla Grecia, all’Irlanda e al Portogallo. Da più parti si specula sulla Spagna e sull’Italia come prossimi assistiti dal Fondo, ma nessuno dovrebbe sentirsi escluso: anche i tedeschi, ora tanto spavaldi, possono rapidamente cadere vittime della speculazione internazionale, se solo i mercati ritenessero di arricchirsi in questo modo.
Le condizioni imposte dal Fondo monetario internazionale ai Paesi europei per il suo intervento hanno tutte ricalcato un medesimo schema. Occorre ridurre le uscite attraverso tagli alla spesa sociale, quella pensionistica in testa, agli organici della pubblica amministrazione, e agli stipendi dei pubblici dipendenti. Si devono poi aumentare le entrate attraverso programmi di svendita del patrimonio pubblico, di privatizzazione dei servizi e di liberalizzazione delle professioni. Il mercato del lavoro va riformato, incrementando la collaborazione tra imprese e lavoratori, anche legando l’entità della loro retribuzione alla produttività. Infine, quanto alle relazioni industriali, la contrattazione a livello aziendale deve prevalere su quella nazionale, per ridimensionare così il ruolo dei sindacati.
È più o meno la stessa agenda contenuta nella famosa lettera della Banca centrale europea che provocò la caduta del Divino Silvio, e l’avvento di Re Giorgio e Super Mario. La lettera divenuta la vera e propria Costituzione italiana, chiamata a sovvertire la Costituzione nata dalla Resistenza. E a ispirare l’azione di un governo tecnico, incaricato di attuare i diktat politici dei mercati e di degradare il parlamento a pallida testimonianza di post-democrazia.
Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. I tagli alla spesa sociale e le riforme del mercato del lavoro sono di portata tale da ridimensionare, se non azzerare, i diritti su cui si fonda l’obbligo di intervento dei pubblici poteri, chiamati a rimuovere gli ostacoli alla realizzazione dell’uguaglianza tra le persone: in particolare i diritti al lavoro, all’istruzione, alla sanità e alla pensione. Il tutto per poi destinare le entrate fiscali alla copertura degli interessi sul debito pubblico, dunque per sostenere lo stesso sistema bancario e finanziario internazionale che ha provocato la crisi. Una crisi oltretutto senza sbocco: i Paesi indebitati cadono in recessione, distruggono così il loro sistema di sicurezza sociale, sacrificando intere generazioni di giovani e vanificando ogni possibilità di ripresa sostenibile.
È evidente che in questo modo, per sostenere il mercato e assecondare le sue regole, si sacrifica la democrazia, rendendo la politica una mera amministrazione dell’esistente, incapace di pensare un futuro altro da quello immaginato e imposto dall’economia. E, quel che è peggio, i più fanno finta di non accorgersene, oppure minimizzano: come accaduto in occasione del tradimento bipartisan del referendum sull’acqua bene comune, sacrificato sull’altare della ragion di mercato.
Assistiamo invece a una trasformazione epocale, alla cancellazione delle forme di redistribuzione della ricchezza a favore dei più deboli, alla base del patto fondativo della convivenza sociale. Una cancellazione di matrice autoritaria e per di più irreversibile: non potrà essere contrastata con il metodo democratico, stante l’impossibilità dei parlamenti nazionali, quale che sia la maggioranza eletta, di realizzare politiche non gradite alla Banca centrale europea e al Fondo monetario internazionale. Il tutto rafforzato dall’introduzione, a livello costituzionale, dell’obbligo di chiudere i bilanci statali in pareggio, così come richiesto dal cosiddetto Fiscal compact.
Insomma, l’Europa avrà forse trovato il mondo di risolvere la crisi del debito sovrano, ma alla fine si troverà più fredda e più autoritaria di quanto già non fosse. E non sarebbe la prima volta: anche la crisi del 1929 venne risolta, ma produsse il fascismo, di cui non a caso si segnalano nuovi tifosi proprio nei Paesi europei assistiti dal Fondo monetario internazionale.
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