La politica industriale italiana non esiste. Un vuoto che ha affiancato il declino economico. 46 economisti propongono di ricostruirla, appuntamento a Roma il 10 dicembre
La politica industriale italiana non esiste: crisi di idee e crisi di strumenti (oltre alla crisi finanziaria) rendono difficile parlarne e, ancor di più, essere presenti sui principali media. L’affermazione prevalente viene riassunta in una espressione: “la migliore politica industriale è quella che non c’è”.
Si tratta di una espressione tanto gradita in alcuni ambienti intellettuali (e facilmente divulgabile sui mezzi di comunicazione di massa), quanto del tutto infondata nella realtà. Lo scenario internazionale non vede – e non ha visto in epoca moderna – nessun paese al mondo (con poche e trascurabili eccezioni) disinteressato alle sorti della propria struttura produttiva e dei suoi comparti più qualificanti. Tutti (dagli USA alla Cina, dalla Germania alla Francia, dal Giappone al Brasile, dall’India alla Gran Bretagna) intervengono con risorse finanziarie, con servizi di accompagnamento, con sostegni alla ricerca, con domanda pubblica e con ogni strumento possibile fino al limite consentito dalle regole e dagli accordi internazionali.
Contrapporre a questa realtà mondiale un’Italia in cui la capacità di rimuovere qualche freno istituzionale possa divenire l’unica funzione dello Stato per riportare il paese su un sentiero sostenuto di crescita, appare riduttivo e fuorviante. La specificità storica del sistema produttivo italiano, costituita, da un lato, dalla presenza nel Sud di una vasta area con significative debolezze del contesto socioeconomico e, dall’altra, dalla marcata caratterizzazione territoriale dei sistemi di imprese (così come della vasta platea di PMI dinamiche), richiede risposte adeguate.
Confinare il legittimo intervento della policy solo ad alcune tra le aree in cui si manifestano i “fallimenti del mercato” (in un mondo che vede pochi esempi di corretti funzionamenti degli stessi mercati) non consente di ragionare diffusamente sui reali problemi di policy. Questi ultimi riguardano, in primo luogo, la costruzione di un disegno strategico di ampio respiro. declinato in obiettivi dettagliati, concreti, verificabili; e, in secondo luogo, la necessità di approfondire i “fallimenti dello Stato” intesi non come l’impossibilità congenita dei Governi a funzionare, ma piuttosto come gli effetti di politiche mal disegnate e mal gestite del passato che devono essere corrette, identificate e ben amministrate.
L’accezione delle politiche industriali come inevitabilmente inefficienti è frutto di una visione ideologica che condanna tout court ogni misura di intervento pubblico per le imprese. Il quadro analitico e valutativo presenta evidenze di segno diverso. La fragilità della base informativa e la capacità spesso ridotta di fornire informazioni utili ai policy maker richiedono approfondimenti e non possono costituire un supporto sufficiente per decretare la cancellazione di ogni politica.
Esiste uno spazio rilevante per l’intervento pubblico aggregabile intorno alla definizione di Politica Industriale nel contesto europeo. La capacità di indirizzo delle attività private (in forma individuale o associata) da parte dei governi si realizza principalmente attraverso tre vie: l’erogazione di premi monetari o di riduzione del rischio per i soggetti che sviluppano azioni ritenute meritorie; la gestione attiva della spesa pubblica; la regolazione e l’indirizzo in senso stretto. È tempo di riflettere su questi aspetti e di intervenire su tutti i fronti. Gli interventi devono tenere nella debita considerazione le disponibilità di finanza pubblica (dobbiamo parlare, nella migliore delle ipotesi, di politiche a risorse date) e l’efficienza amministrativa.
Il modo in cui gli interventi possono essere declinati deve essere oggetto di grande cura: come sempre, saranno i dettagli che definiranno la qualità delle politiche. Non è questa la sede per approfondirli, tuttavia si possono individuare alcune precondizioni che sono alla base di un necessario cambiamento di operatività.
I tre criteri guida devono essere: selettività, informazione/conoscenza, responsabilità.
Con vincoli di bilancio stringenti si è obbligati a selezionare, con estrema cura, obiettivi coerenti con le risorse disponibili e con gli strumenti. Sia pure con problematiche diverse, la selezione va operata nel campo degli interventi diretti, dei servizi e in quello dell’orientamento della spesa.
L’informazione corretta è premessa indispensabile di ogni politica (e anche della selezione), ad essa sono dedicate attenzioni troppo modeste, mentre, con una certa disinvoltura, si “pubblicano” cifre prive di rigore e di attendibilità. Gli stessi numeri sbagliati possono tramutarsi facilmente in verità “acclarate” e orientare in modo distorto il dibattito politico ed economico. Una parte non marginale di tale informazione riguarda la necessità di rispettare criteri sostanziali di trasparenza delle amministrazioni, si tratta di predisporre database pienamente informativi, accessibili a tutti e che consentano anche esercizi indipendenti di analisi e valutazione.
Infine, la responsabilità degli amministratori costituisce un tema ineludibile. Per molti anni si è cercato di definire meccanismi e regole alla ricerca di modelli di intervento neutrali ed efficienti seguendo procedure meccanicamente riprodotte a tutti i livelli di governo e cercando di sottrarre intelligenza agli operatori pubblici. La responsabilizzazione dei dirigenti pubblici è un fattore determinante per il recupero di una qualità amministrativa standard ed essenziale per qualsiasi politica efficiente. Non si tratta di attribuire responsabilità legali (che già esistono in abbondanza), ma di fondarsi sulla ricerca di competenze e meriti che devono potersi esprimere e operare.
Riteniamo che esistano spazi per una Politica Industriale efficiente ed efficace seguendo un disegno accurato e coerente che tenga conto dei vincoli esistenti, valorizzi gli strumenti potenzialmente a disposizione, impari dalle esperienze positive, nazionali e internazionali.
I promotori
Adriana Agrimi, Alessandro Arrighetti, Giovanni Barbieri, Elisa Barbieri, Marco Bellandi, Silvano Bertini, Paolo Bonaretti, Raffaele Brancati, Massimo Bressan, Albino Caporale, Domenico Cersosimo, Francesco Crespi, Alfredo Del Monte, Amedeo Di Maio, Antonio Di Majo, Marco Di Tommaso, Sergio Ferrari, Massimo Florio, Francesca Gambarotto, Adriano Giannola, Andrea Ginzburg, Anna Giunta, Claudio Gnesutta, Gian Maria Gros-Pietro, Donato Iacobucci, Sandrine Labory, Pietro Masina, Pietro Modiano, Augusto Ninni, Riccardo Padovani, Daniela Palma, Mario Pianta, Gustavo Piga, Stefano Prezioso, Pietro Rostirolla, Lauretta Rubini, Margherita Russo, Domenico Scalera, Marina Schenkel, Roberto Schiattarella, Grazia Servidio, Alberto Silvani, Stefano Solari, Alessandro Sterlacchini, Gianfranco Viesti, Alberto Zazzaro, Alberto Zuliani.
Per aderire, inviate una email a Raffaele Brancati, r.brancati@met-economia.it, nell’oggetto scrivere riportando il proprio riferimento di posta elettronica (e se si ritiene anche altri recapiti) e “Aderisco al MANIFESTO PER LA POLITICA INDUSTRIALE”.
Su questi temi – per parlarne e per avviare una definizione di strategie – si terrà un incontro il 10 dicembre 2012 a Roma, ore 9,30 (Università di Roma3, Facoltà di Economia “Federico Caffè”, Via Silvio D’Amico 77, Roma). Siete caldamente invitati a partecipare.
Per discussioni e informazioni rivolgersi a: Raffaele Brancati, r.brancati@met-economia.it; Anna Giunta, agiunta@uniroma3.it; Antonio Di Majo, dimajo@uniroma3.it
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