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La Grecia può salvare l’Europa?

02/03/2015

Chi pensava che l’euro non avrebbe potuto sopravvivere si è sbagliato. Ma i critici hanno ragione su una cosa: o ci sarà l'Europa politica - gli Stati uniti d'Europa - o non ci sarà l'euro. Un articolo del premio Nobel per l'economia, in collaborazione con Mauro Gallegati

Secondo i dati economici più recenti, sia gli Stati Uniti che l’Europa stanno mostrando segnali di ripresa, anche se è presto per dichiarare la fine dalla crisi. Tuttavia, nella maggior parte dei Paesi dell’Unione Europea, il Pil pro capite è ancora inferiore al periodo precedente la crisi: un intero decennio perduto. Dietro alle fredde statistiche, ci sono vite rovinate, sogni svaniti e famiglie andate a pezzi (o mai formatesi), un futuro quanto mai precario per le generazioni più giovani, mentre la stagnazione – in Grecia la depressione – avanza anno dopo anno.

L’Ue vanta persone di talento e con un alto grado di istruzione. I suoi Paesi membri contano su forti quadri giuridici e società ben funzionanti. Prima della crisi, la maggior parte aveva persino economie ben funzionanti. In alcuni Paesi, la produttività oraria – o il suo tasso di crescita – era tra le più alte del mondo.

Ma l’Europa non è una vittima di errori altrui, come spesso si legge. Certo, l’America ha mal gestito la propria economia, ma il malessere dell’Ue è in massima parte auto-inflitto, a causa di una lunga serie di pessime decisioni di politica economica, a partire dalla creazione dell’euro. Sebbene l’intento sia stato quello di unire l’Europa, alla fine l’euro l’ha divisa: i Paesi più deboli (quelli che già nel 1980 in un lavoro per l’Ocse, Fuà individuava nei Paesi europei di più recente sviluppo – tutti con alta inflazione, dualismo territoriale, deficit della bilancia dei pagamenti e di bilancio pubblico, alta disoccupazione e notevole quota di economia sommersa - e che ora sono con malcelata arroganza indentificati come Piigs) sono riusciti, per ora, a rimanere nell’euro a prezzo di disoccupazione e deflazione salariale, crollo della domanda interna e aumento del “sommerso”. In assenza della volontà politica di creare istituzioni in grado di far funzionare una moneta unica - innanzi tutto una politica fiscale unica - nuovi danni si aggiungeranno ai danni già prodotti. Gli squilibri in Europa sono aggravati dalla divergenza nelle esportazioni nette, e solo una politica fiscale comune può far in modo che i flussi commerciali del Portogallo verso l’Olanda diventino simili a quelli dell’Oregon verso il Missouri o del Brandeburgo verso la Baviera.

La Grande Recessione deriva in parte dalla convinzione che il liberismo di mercato avrebbe riportato le economie su di un sentiero di crescita “adeguato”. Tali speranze si sono rivelate sbagliate non perché i Paesi dell’Ue non siano riusciti a realizzare le politiche prescritte, ma perché i modelli su cui hanno poggiato quelle politiche sono gravemente viziati. In Grecia, ad esempio, le misure intese a ridurre il peso debitorio hanno di fatto lasciato il Paese più indebitato di quanto non fosse nel 2010: il rapporto debito-Pil è aumentato a causa dello schiacciante impatto dell’austerità fiscale sulla produzione. Il Fondo monetario internazionale ha ammesso questi fallimenti politici e intellettuali. Verrà anche quel tempo per la Troika. Speriamo non, come si dice in Italia, “a babbo morto”.

I leader europei restano convinti che la priorità debba essere la riforma strutturale. Ma i problemi che menzionano erano evidenti negli anni precedenti la crisi, e non avevano fermato la crescita allora. All’Europa serve più che una riforma strutturale all’interno dei Paesi membri. All’Europa serve una riforma della struttura dell’eurozona stessa, e l’inversione delle politiche di austerity, che non sono riuscite a riaccendere la crescita economica.

Condividere una moneta unica costituisce ovviamente un problema poiché così facendo si rinuncia a due dei meccanismi di aggiustamento: i tassi di interesse e il cambio. Se si aderisce a una moneta unica, la rinuncia ad alcuni strumenti di politica economica può essere compensata sostituendoli però con qualcosa d'altro, come una politica fiscale comune e condivisione dei debiti, mentre ad oggi l'Europa non ha messo in campo altro che il fiscal compact. Serve un cambiamento strutturale dell'Eurozona se si vuole che l'euro possa sopravvivere: o ci sarà l'Europa politica (Stati Uniti d'Europa) o non ci sarà l'euro. Coloro che pensavano che l’euro non avrebbe potuto sopravvivere si sono ripetutamente sbagliati. Ma i critici hanno ragione su una cosa: a meno che non venga riformata la struttura dell’Eurozona, e fermata l’austerity, l’Europa non si riprenderà.

Il dramma dell’Europa è ben lungi dall’essere concluso. Uno dei punti forza dell’Ue è la vitalità delle sue democrazie. Ma l’euro ha lasciato i cittadini – soprattutto nei Paesi in crisi – senza voce in capitolo sul destino delle loro economie. Gli elettori hanno ripetutamente mandato a casa i politici al potere, scontenti della direzione dell’economia – ma alla fine il nuovo governo continua sullo stesso percorso dettato da Bruxelles, Francoforte e Berlino.

Ma per quanto tempo può durare questa situazione? E come reagiranno gli elettori? In tutta Europa, abbiamo assistito a un’allarmante crescita di partiti nazionalistici estremi, mentre in alcuni Paesi sono in ascesa forti movimenti separatisti. E potranno le economie dei paesi periferici sopravvivere ad una unione monetaria incompleta e asimmetrica?

Ora la Grecia sta ponendo un altro test all’Europa. Il calo del Pil greco dal 2010 è un fattore ben più grave di quello registrato dall’America durante la Grande Depressione degli anni ‘30. La disoccupazione giovanile è oltre il 50%. Il governo del primo ministro Alexis Tsipras ha ottenuto che venga abbandonato l’insano obiettivo – assunto dal precedente governo Samaras – di triplicare l’avanzo primario, anche recuperando parte dell’evasione fiscale. Forse Syriza aveva acceso aspettative diverse sul piano interno. Ma l’Europa tutta deve ora cogliere l’occasione greca per completare il disegno dell’euro.

Il problema non è la Grecia. È l’Europa. Se l’Europa non cambia – se non riforma l’Eurozona e continua con l’austerity – una forte reazione sarà inevitabile. Forse la Grecia ce la farà questa volta. Ma questa follia economica non potrà continuare per sempre. La democrazia non lo permetterà. Ma quanta altra sofferenza dovrà sopportare l’Europa prima che torni a parlare la ragione?

(in collaborazione con Mauro Gallegati)

 

Parziale copyright Project Syndicate, traduzione di Simona Polverino

 

 

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Commenti

Una amara riflessione

Rispondendo al Sig. Ferrero, mi chiedo: ma siamo poi così sicuri che i "prolet" (cit.1984 di Orwell) vogliano la "democrazia"?
Io penso che se gran parte dei cittadini europei, di sicuro gli itailiani, potessero davvero essere visti e trattati come consumatori, e non come lavoratori/senza minimi diritti a salari bassissimi (schiavi moderni), con panem et circenses a disposizione, lascierebbero volentieri ad altri il compito di "fare le scelte" (in Italia già ora votano solo le clientele dei partiti, e gli arrabbiati).
Insomma è sempre attuale il vecchio adagio "Franza o Spagna, basta che si magna".

L'Europa può salvare la democrazia?

"Ma questa follia economica non potrà continuare per sempre. La democrazia non lo permetterà." Stiglitz è ottimista. E Francesco Scacciati ha ragione: la prossima vittima del Capitalismo supercarburato dal liberismo selvaggio sarà proprio la democrazia. Perché perdere tempo? Meglio la "governace" degli esperti al posto del governo dei cittadini, ormai ridotti - e costretti a essere - semplici consumatori. In fondo in Cina funziona...

viceversa

"Ma questa follia economica non potrà continuare per sempre. La democrazia non lo permetterà. " Stiglitz è ottimista. Questa follia economica non permetterà la democrazia: lo ha già fatto e continua a farlo.

Risposta a joseph halevi

@joseph halevi
Citazione: “E' vero pero' che, come sostiene Stiglitz, un sistema monetario senza un quadro nazionale - cioe' un quadro in cui il rapporto tra Banca Centrale e Tesoro e' del tipo Fed-Treasury negli USA ... non si regge da solo e fa danni”.

Quali sarebbero queste differenze statutarie tra BCE e FED? Attualmente, in deflazione o quasi, non ce n’è, tranne quella che la BCE, a differenza della FED, ha 19 interlocutori ed uno di questi – la Germania – è più uguale degli altri.

PS: Stiglitz è uno di quelli che non conosce bene lo statuto della BCE (cfr. il testo della sua audizione alla Camera dei Deputati, riportato quasi integralmente da Sbilanciamoci e allegato in “Chi non conosce lo statuto della BCE (elenco in divenire)”, col mio commento http://vincesko.ilcannocchiale.it/post/2825230.html ).

L'europa politica

"Europa politica" è un'espressione abusata che di fatto non significa nulla. Non solo dal trattato di Roma in poi tutta la costruzione continentale evita e anzi respinge qualsiasi idea concreta di federalismo, ma è del tutto evidente che in ogni caso è un obiettivo a lunghissimo termine che paradossalmente l'euro ha ulteriormente allontanato piuttosto che favorire. Bisognerebbe anche chiedersi se l' europa politica che oggi sarebbe in mano alle banche e al direttorato tedesco, sia auspicabile e non rischi di profilarsi come un sacro romano impero dei principi finanzieri. Detto questo è evidente che presentare le due alternative - euro o europa politica - è semplicemente fuorviante poiché il primo corno del dilemma è attingibile a breve termine e tecnicamente definibile, mentre il secondo prevede tempi talmente lunghi e modalità così complesse da essere del tutto aleatorio. Dopo aver ingerito il veleno dell'euro, con tutto il suo portato politico, non m i sembra una buona soluzione sostituire la lavanda gastrica con l'attesa di un antidoto non ancora prodotto e ideato.

Correzione errore materiale

Mi scuso. Sono Sergio Bruno e sono l'autore del commento delle 9,09.24 appena apparso a firma Stiglitz. Svista di battitura

La Grecia può salvare l’Europa?

Concordo con articolo ma soprattutto con i commenti. L'inerzia nella condotta politica europea conduce ad un'Europa nella quale, ammesso che possa funzionare e ammesso che con la paura si contengano le spinte conflittuali più pericolose, non mi interessa vivere e far vivere figli ed amici più giovani. Una ammissione dura per chi ad un'Europa sensata aveva creduto e per la quale aveva operato. Alle opzioni delineate se ne può aggiungere, per discuterne, una ulteriore: quella di lavorare ad indurre una secessione pilotata dei paesi mediterranei. Si tratta di una possibilità che vede un ostacolo nella arroganza francese, che per qualche pseudo-culturale ragione si sente diversa e ancora in competizione di leadership con la Germania. Per quanto? Se la destra razzista e xenofoba prendesse la maggioranza in Francia le opzioni di secessione che si aprirebbero dischiuderebbero scenari ben peggiori. Ma forse è troppo chiedere di ragionare su questi tipi di opzioni e fare riflessioni di questo tipo agli strateghi politici europei che ci hanno condotto alla crisi ucraina.

Stiglitz e l'Europa

Sono d'accordo anch'io che gli Stati Uniti d'Europa non possono essere un'evoluzione degli attuali Trattati. Aggiungo di più: non si potranno mai (almeno in tempi storici) fare con tutti i membri dell'UE. Ma non per questo ritengo che si tratti di una chimera. Basta pensare di costituirli al di fuori dei Trattati UE e con chi ci sta. Forse all'inizio potrebbero non coincidere con l'Eurozona, ma cambierebbero gli equilibri al suo interno e dentro l'UE.

Stiglitz e l'Europa

La formazione di un' Europa federale e' una chimera. Se si studiassero i trattati "europei" ci si accorgerebbe che la strada federale viene regolarmente e sistematicamente bloccata. Si rimane sempre nelle nebbie di cio' che le leadership francesi, nei cui confronti tutta la sinistra italiana e' tossico-dipendente, chiamano in maniera volutamente fuorviante "la construction europeenne" (tastiera inglese senza accenti, scusate). Non e' un caso che il federalismo europeo, quello di Spinelli in testa, e' stato sempre molto marginale ed usato solo strumentalmente. Quindi parlare di Stati Uniti d' Europa e' una mistificazione. E' vero pero' che, come sostiene Stiglitz, un sistema monetario senza un quadro nazionale - cioe' un quadro in cui il rapporto tra Banca Centrale e Tesoro e' del tipo Fed-Treasury negli USA o anche come la Reserve Bank e Treasury in Australia o in Canada - non si regge da solo e fa danni mentre percorre la sua traiettoria verso la disintegrazione. Dato pero' che tale configurazione federale e' strutturalmente inattuabile, un sistema monetario europeo non ha ragion d'essere. La cosa migliore sarebbe di prendere atto di questa realta' e di mettersi d'accordo per (a) sciogliere l'UME, (b) formare una specie di Bretton Woods europeo che dovrebbe includere anche Svizzera e Norvegia che costituiscono elementi importanti nei conti correnti e di capitale in Europa. Non accadra' perche' in quasi 40 anni di "Europa" (pongo l'inizio della traiettoria del missile monetario fuori controllo dal 1979, anno dello SME) si sono venute formando delle gerarchie tra paesi e degli interessi di gruppi economici e forze politiche tali da sclerotizzarea completamente i rapporti intraeuropei impedendo qualsiasi dicussione genuina. La crisi finanziaria iniziata nel 2008, contrariamente a quanto accadeva nelle grandi crisi economiche, ha ulteriormente ossificato la situazione.

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