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Il sondaggio telematico, rischio per i movimenti

04/01/2013

Per i movimenti, la politica in rete corre più veloce, ma può inciampare in meccanismi di decisione non partecipati: tutti i pericoli del sondaggio sul web come metodo per decidere

C'è qualche ricerca e molto dibattito sui vantaggi e gli svantaggi delle nuove tecnologie per i movimenti sociali. Certamente per attori poveri di risorse materiali, Internet ha rappresentato un consistentissimo vantaggio in termini di comunicazione, sia interna che esterna. Le mailing list facilitano gli scambi di idee e la logistica della mobilitazione. Lo stesso fanno i siti web, che permettono anche un’azione di (contro)informazione efficace, sviluppando una logica di rete. Con i media sociali di Web 2.0 si è estesa la capacità dei singoli attivisti e dei cittadini in genere di passare da consumatori a produttori di notizie e pensiero. Facebook, Twitter e blogs – con tutti i loro limiti e le loro differenze – hanno contribuito ad aggregare persone e idee. Non esistono Twitter o Facebook revolutions, ma essi sono strumenti rilevanti di comunicazione e, quindi, mobilitazione.

Gli strumenti di comunicazione e decisione offerti da Internet sono vari, e alcuni di essi di uso rischioso per i movimenti sociali. Il sondaggio telematico è uno di questi. Facile da utilizzare, talvolta pomposamente nobilitato con la definizione di referendum, esso viene sempre più spesso usato da movimenti sociali, partiti o liste elettorali come strumento di decisione considerata come democraticamente legittimata (perché vince la maggioranza) ed efficace (perché di rapida utilizzazione). Un problema particolarmente rilevante per le organizzazioni di movimento sociale è però che la concezione maggioritaria e non partecipata di democrazia che il sondaggio telematico riflette non è coerente con le concezioni di democrazia diffuse fra gli attivisti, rendendo quindi quelle decisioni né legittime né efficaci.

In primo luogo, il sondaggio telematico riflette una concezione di democrazia – maggioritaria appunto – dove chi ha la metà più uno vince, e chi ha la metà meno uno perde. Ma vince e perde cosa? Dato che i movimenti non hanno incentivi materiali da offrire ai loro attivisti, l’impegno è mantenuto solo se e in quanto si è d’accordo su un certo cammino. Viceversa, chi è insoddisfatto dell’esito e del processo, se ne va, e a chi vince resta una scatola (semi)vuota. La storia dei movimenti degli anni settanta è piena di esempi di questo tipo, e proprio dalla consapevolezza di quegli errori i movimenti che sono seguiti – in particolare il movimento per la pace negli anni ottanta – sono partiti per sperimentare diversi processi decisionali. La democrazia del consenso, elaborata nei social forum, si basa su un principio profondamente diverso rispetto a quello maggioritario: l’idea che la democrazia non sta nel contare le preferenze esistenti, ma nel trovare forme e luoghi per dialogare, capirsi, pensare nuove soluzioni. Certamente, la democrazia del consenso non è facile da realizzare: non solo richiede tempo, ma non elimina le fonti di potere di alcuni su altri. Per i movimenti, la ricerca stessa di comprensione reciproca, ascolto, rispetto paga però più del principio della maggioranza vince, in termini sia di legittimità che di efficacia del processo. Il sondaggio telematico è rapido nell’utilizzo, ma ben poco deliberativo, se si intende con deliberazione un processo di condivisione di ragioni e ragionamenti. Tutti si esprimono con un click su un quesito pre-scritto, ma non vengono scambiate proposte, né si costruisce una base di comprensione reciproca. Se la democrazia è comunicazione, il sondaggio telematico tronca quel processo, proclamando vincitori e vinti. Conta preferenze preesistenti, ma non aiuta a formare nuove idee, solidarietà, identità.

Se i limiti di una “democrazia del conteggio” erano già emersi nelle riflessioni autocritiche sulla democrazia assembleare degli anni settanta, il sondaggio telematico – soprattutto se condotto fra sottoscrittori on-line – rappresenta una degenerazione degli stessi strumenti assembleari. Mentre nelle assemblee, con gradi diversi di empatia, ci si conosce e riconosce, nel sondaggio telematico l’autenticità della partecipazione resta opaca. Non solo il click è anonimo e deresponsabilizzante, ma le liste sono facilmente infiltrabili da avversari di vario tipo, o comunque da soggetti collettivi altri, che vogliano farne un uso strumentale, a fini altri. Per attivisti di movimenti sociali, che credono nell’impegno, decisioni prese in pochi secondi – e non si sa da chi – hanno livelli di legittimità decisamente bassi, distruggendo quelle basi di fiducia necessarie alla costruzione di un processo comune di cui i movimenti hanno grande bisogno.

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Commenti

La bolla speculativa della e-partecipation

Evidenzierei un passaggio chiave dell'articolo: il web come strumento e non come entità. Purtroppo non sempre è così. Se ai primordi della democrazia elettronica i movimenti hanno saputo giovarsi della rete, utilizzandola come ulteriore collante della loro natura, appunto, reticolare, col tempo lo scenario è mutato. Ci si è resi conto che la facilità della e-partecipation poteva assicurare grandi numeri e, laddove power in number, si è sfruttato il mezzo. In una sorta di bolla speculativa virtuale, si sono spacciati click, feed e tweet per partecipanti ma, come scrive Donatella Della Porta, l'attivismo è un'altra cosa. Tornare indietro sarà difficile, perché oggi "vendere" come successo un'assemblea di cento persone è pressoché impossibile e per i movimenti il risalto sui mass media è importante, anche e forse soprattutto nei momenti di latenza del conflitto, quando le piazze si svuotano. Riguardo poi il principio maggioritario nella sintesi delle preferenze, la vedo una questione secondaria in questo ambito, riguardando la strategia decisionale che comunque, web o no, piccoli o grandi numeri, dovrebbe essere scelta per evitare che l'eccesso di pluralismo crei uno stallo.

E' il divario digitale la chiave di volta!

Ho partecipato alla genesi di un movimento come "Cambiare si può" e quello che viene detto in questo articolo è in gran parte condivisibile. L'aspetto che viene trascurato, ma che rappresenta la linfa vitale di tutte quelle realtà politiche che nascono in rete è che, tornando al caso di "Cambiare si può": il movimento stando ai promotori (L. Gallino sociologo del lavoro è il primo in elenco di essi) si dovrebbe rivolgere alla società reale: disoccupati, immigrati, pensionati, ecc.; ma di fatto quella persone (che rappresentano la maggioranza della base elettorale) hanno poso accesso alla rete! Quindi la preoccupazione prima sarebbe quella di garantire e verificare la rappresentatività dei soggetti politici on line; risultato parte un cammino slegato dalla realtà che non porta da nessuna parte! La percezione però dei promotori (L. Gallino chissà poi perchè è stato dimenticato strada facendo!) è di essere rappresentativi nonostante l'efftiivo distacco dalla realtà! Questo è riconducibile in parte a quello che in questo articolo viene descritto come la mancanza diell' "... idea che la democrazia non sta nel contare le preferenze esistenti, ma nel trovare forme e luoghi per dialogare, capirsi, pensare nuove soluzioni ..." ma sopratutto al disinteresse verso tutti coloro che non hanno accesso alla rete e che sono la maggioranza degli elettori!

cos'è il voto?

In astratto, in un movimento la votazione non dovrebbe essere necessaria. Nei movimenti non esiste "la linea" come nei partiti e in essi le varietà possibili di scelta dovrebbero trovare l'unanimità mediante una formulazione inclusiva di tutte le ottiche espresse. Nella realtà le difficoltà dovute alla strettezza dei tempi di decisione, alla lontananza delle persone aderenti e alla variegata chiarezza delle posizioni (diversa sia per la capacità differente di chi le esprime sia per il diverso modo di intendere di chi le ascolta) rendono a volte necessario anche lo strumento del voto (a volte, sostengo, mentre spesso è considerato lo strumento principe della democrazia di movimento). Qualunque sia lo strumento tecnologico utilizzato i problemi che ho esposto sopra restano, per quanto con maggiore o minore enfasi. In sostanza, a mio giudizio la democrazia non sarà mai raggiunta ma andrà sempre ricercata. Distillerei quindi l'articolo e il commento precedente dal sapore di definitività che si portano addosso, e considero che i loro contributi sarebbero meglio utili se fossero dubitativi.

chiarimenti...

Mi chiedo se l'autore dell'articolo abbia sperimentato empiricamente l'oggetto di analisi. A mio avviso no, credo che la sua conoscenza dei mezzi sia limitata a Facebook e Twitter. Invito l'autore ad informarsi meglio al riguardo e a testare il REALE metodo di utilizzo di certi strumenti. Le suggerisco le piattaforme Meetup e Liquid Feedback, ma lo invito anche ad analizzare attentamente qual'è il metodo decisionale applicato da vari gruppi. È facile generalizzare e giudicare dal pulpito.

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