L’altissima progressività fiscale per i redditi medio bassi agisce come una trappola della povertà, in cui ogni piccolo incremento di reddito viene subito colpito con tassazioni progressive. Il nostro sistema fiscale andrebbe riformato, con aliquote elevate per i redditi alti, sul modello francese e un incremento della tassazione sulle rendite fondiarie e finanziarie
La progressività dell’imposta sui redditi è sempre stato un punto fermo delle economie moderne per redistribuire le risorse che il mercato tende a concentrare in poche mani. La globalizzazione ha agito in senso opposto creando una sorta di competizione fra stati per attrarre ricchezza tramite una sorta di “tax dumping”. In Italia le ultime due riforme dell’imposta sui redditi hanno diminuito l’aliquota massima e hanno creato un sistema fiscale basato su aliquote progressive e detrazioni regressive. Con il tempo l’inflazione ha minato la progressività dagli scaglioni di reddito, che non vengono più rivisti dal 2000. Proprio la mancata riduzione del drenaggio fiscale è il fattore principale che ha contribuito all’erosione del reddito reale delle classi meno abbienti.
Nel modello di politica economica degli anni settanta e ottanta, basato sulla vecchia “scala mobile” il recupero del drenaggio fiscale era la pratica comune di ogni governo e avveniva quasi automaticamente per tutelare il potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti. Oggi il nostro sistema di tassazione dei redditi presenta una progressività altissima per i redditi medio bassi, causa l’azione congiunta di detrazioni per lavoro dipendente, delle aliquote progressive “ravvicinate” e delle addizionali locali. Invece i redditi alti beneficiano di una aliquota contenuta (43%) oltre a vantaggi evidenti per quanto riguarda la parte di redditi provenienti dalla rendita fondiaria (cedolare secca) e da quella finanziaria (tassazione del capital gain).
Nella Legge di Stabilità il governo Letta introduce un piccolo incremento delle detrazioni per lavoro dipendente che scende all’aumentare del reddito. Tale accorgimento non risolve i problemi relativi alla progressività dell’imposta sui redditi, troppo accentuata sui primi scaglioni, non restituisce il drenaggio fiscale ai lavoratori e lascia intatti i problemi dovuti all’introduzione delle addizionali locali che, quando dovute, colpiscono il contribuente fin dal primo euro di reddito, con effetti negativi per i redditi meno bassi. L’altissima progressività per i redditi medio bassi dell’imposta sui redditi agisce come una trappola della povertà, in cui ogni piccolo incremento di reddito viene subito colpito con tassazioni progressive. Invece di introdurre aliquote elevate per i redditi alti, sul modello francese, incrementare la tassazione sulle rendite fondiarie e finanziarie, il governo Letta ha preferito dare un contentino ai redditi medio bassi e non riformare profonda- mente il sistema fiscale. Il governo Letta con questa Legge di Stabilità non risolve i problemi più importanti e non inasprisce la tassazione sulle rendite, non introduce una forma di patrimoniale con un’ampia base imponibile e anche sul versante dell’evasione non presenta provvedimenti rilevanti. Proprio l’evasione è l’altro punto decisivo per la redistribuzione del reddito e per diminuire il carico fiscale dei singoli individui. Oggi in Italia su oltre 60 milioni di residenti, 40 milioni presentano i modelli fiscali e solo 30 milioni di individui pagano almeno un euro di Irpef. In pratica la metà della popolazione si fa carico di pagare le tasse per l’altra metà nonostante il numero di minori (che difficilmente possono disporre di un reddito) sia di appena 9 milioni di persone.
L’evasione, in molti casi totale, rende ancor più problematiche le politiche di redistribuzione sia per la minore disponibilità di risorse, sia per il numero elevato di “falsi” poveri che rendono inefficaci e inique le pratiche di erogazione di servizi pubblici sulla base dei redditi e patrimoni come nel caso del modello Isee.
Sull’evasione la Legge di Stabilità non aggiunge nessuna misura, prediligendo un modello di moderazione del carico fiscale per categorie a rischio (ad esempio i proprietari di barche o i proprietari delle case in affitto) per incentivare il pagamento delle imposte.
Nel complesso la Legge di Stabilità sembra più una politica contro i redditi (bassi) che una misura tesa alla coesione sociale, decantata nel programma di governo. La natura politica del governo Letta e l’ampiezza della coalizione che lo sostiene hanno determinato l’abolizione della misura più impopolare del governo Monti: l’Imu sulla prima abitazione. Con un decreto è stato prima congelato il pagamento della rata di giugno e poi abolita la tassazione causando minori introiti per l’erario per 2,4 miliardi di euro. Nello stesso provvedimento è stata ridotta l’aliquota della cedolare secca sugli affitti per canoni concordati per 15-30 milioni in meno di gettito.
L’attenzione ai proprietari di abitazioni, aldilà della popolarità presunta, ha creato un problema nel bilancio dello stato per i minori introiti da risolvere con altri provvedimenti per maggiori entrate. Anche l’aumento dell’Iva di ottobre 2013 scaturisce dalla mancanza di risorse utilizzate per l’Imu. L’azione di governo non si è limitata alla sola abolizione dell’Imu sull’abitazione principale e con la Legge di Stabilità è andata oltre, con una riduzione dell’Imu anche sulle abitazioni secondarie grazie all’introduzione della Trise, la tassa sui servizi indivisibili comunali e sulla nettezza urbana. L’obiettivo del governo reso esplicito nell’aggiornamento del Def di settembre 2013: far pagare direttamente agli utenti il costo intero dei servizi indivisibili comunali (tradizionalmente finanziati parzialmente dalla fiscalità generale) in luogo di una riduzione del peso dell’Imu dei proprietari di case in affitto. Il mancato gettito destinato ai comuni viene rimpiazzato dalla Trise che include una componente specifica sulla nettezza urbana (Tari) e una sugli altri servizi (Tasi). L’aspetto rilevante è lo spostamento dell’onere dal proprietario, come nel caso dell’Imu, al possessore dell’alloggio (inquilino) che dovrà accollarsi l’onere intero del costo dei servizi indivisibili secondo il principio “chi inquina paga”. La strumentalità della misura e del principio è evidente: si colpiscono i ceti meno abbienti ma anche e soprattutto i giovani precari e gli studenti fuori-sede, ossia le classi maggiormente sfruttate dal mercato degli affitti.
Nel futuro avremo Equitalia che andrà a bussare alle porta degli individui più indigente per reclamare il pagamento dei servizi comunali e magari pignorando qualche vecchio elettrodomestico mentre i proprietari di casa potranno godere degli sgravi fiscali reali ottenuti in questi anni a cominciare dalla cedolare secca.
Grazie alla Trise in Italia aumenterà la diseguaglianza dei redditi (cedolare secca) e dei patrimoni (abolizione Imu), con individui che grazie a un’imponibile di 50mila euro, se provenienti da affitti, pagheranno solo 10mila euro di tasse e altri che lavorando come dipendenti sullo stesso imponibile pagheranno oltre 20mila euro. Lo spostamento di una patrimoniale verso i servizi pubblici segue il modello degli ultimi anni: le classi meno abbienti, prevalentemente lavoratori e pensionati, e con minori patrimoni devono accollarsi l’onere del debito pubblico, mentre le classi più ricche composte di rentier e “imprenditori” devono essere premiate per incentivarle ad aumentare la ricchezza del paese. La Legge di Stabilità per possedere un effetto ridistributivo dovrebbe prevedere l’abolizione della Trise e delle cedolari secche e l’introduzione di una tassa patrimoniale progressiva non limitata alle abitazioni ma sul complesso della ricchezza.
Il testo pubblicato costituisce un estratto dal XV Rapporto annuale di Sbilanciamoci!, “Come usare la spesa pubblica per i diritti, la pace, l’ambiente”
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