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Con il cappio del Fiscal Compact

22/10/2013

Per mettere in discussione il Fiscal Compact serve un patto di sindacato tra tutti i paesi svantaggiati dall’euro, per affiancargli altri patti per la cooperazione e per la convergenza

Dalla lettura del fiscal compact si evince che esso si preoccupa essenzialmente e, si potrebbe aggiungere, ossessivamente del problema dei disavanzi dei bilanci pubblici dei paesi Euro. In esso si riflette pienamente la concezione neo-classica marginalista di un sistema economico “ad arco” ossia in cui ogni operatore economico fronteggia, o ogni azione economica si esplica, verso una controparte senza alcuna retroazione sull’operatore stesso. Ad essa si contrappone una visione economica “a circolo” in cui si prevedono effetti di retroazione complessi.

Nel fiscal compact si pone rigidamente l’obbiettivo del consolidamento fiscale senza prendere in considerazione le altre variabili economiche ad esso correlate. Vi sono pochissimi e generici accenni alla crescita e forse ancor meno all’occupazione senza far menzione dei legami economici tra queste macro-variabili economiche. L’unica politica economica prevista è quella della riduzione del debito e quindi non si considerano gli effetti di feed-back sulle altri variabili economiche che possono produrre risultati controproducenti anche ai fini del target di riduzione del debito.

Il fiscal compact pone una vera e propria camicia di forza sulle politiche economiche (fiscali e di spesa) dei paesi europei istituendo e rafforzando norme e “punizioni” per i paesi che mantengono e pensano di attuare politiche di spesa espansive o anche un attenuazione del consolidamento fiscale (nessuna economia importante dell’Eurozona ha un rapporto debito/Pil inferiore al 60 per cento). Si istituzionalizza, inoltre, il concetto di debito come nuovo impero del male introducendo nelle Costituzioni l’obbligo di pareggio di bilancio.

I vincoli di spesa pubblica vengono, pertanto, ribaditi: limite del 3% nel rapporto deficit su Pil del 60% nel rapporto tra debito e Pil. Vengono però corredati da una serie di controlli e punizioni automatiche: procedure di deficit eccessivo, piano draconiano di rientro ventennale che per l’Italia significa una serie infinita di manovre pari a 40-50 miliardi di euro annui, cui si deve aggiunge l’obbligo parallelo di concorrere ai fondi salva-stati ai quali l’Italia contribuisce pesantemente dichiarando però di non volersene (o non potersene) mai servire.

L’unica via di fuga si prospetta nell’art. 3 comma3b dove si parla di situazioni “eccezionali” come ad esempio gravi recessioni, l’Italia potrebbe avvalersi di quanto lì disposto per notificare la situazione di grave recessione e allentare i vincoli imposti (soprattutto la cadenza ventennale imposta per il rientro dal debito).

La questione del consolidamento fiscale va, pertanto, posta correttamente nel contesto della reale situazione economica del paese in relazione alle altre variabili macroeconomiche e soprattutto alla crescita.

In Italia ci sono diversi squilibri che devono essere corretti: l’eccessivo debito pubblico, il deficit di partite correnti e il gap di produttività rispetto agli altri Paesi.

Il processo di consolidamento fiscale può potenzialmente influenzare la velocità e il percorso di aggiustamento di questi squilibri tramite diversi meccanismi di trasmissione. Quello più importante è l’impatto del consolidamento fiscale sulla crescita. Il fiscal compact influenzerebbe negativamente la crescita nel breve periodo, il che complicherebbe lo scenario di bassa crescita a medio termine associato alla correzione degli squilibri e complicare la correzione di questi ultimi.

Insieme ad un alto debito pubblico e privato, i paesi dell’Europa meridionale hanno un problema di competitività, il quale deve essere risolto tramite un aggiustamento dei prezzi che muova risorse dai settori non aperti all’esterno verso i settori aperti all’esterno e che causi un deprezzamento del tasso di cambio reale. Ovviamente, questi aggiustamenti sono meno costosi più è alta la crescita della produttività e l’incremento nella domanda estera (che dovrebbe essere principalmente tedesca-nord europea dato il nostro saldo commerciale negativo verso quest’area).

È chiaro che lo sforzo necessario a raggiungere gli obbiettivi fiscali dettati dal fiscal compact è maggiore in una cornice di correzione degli squilibri macro come ora in Italia, dato che l’economia è caratterizzata da una bassa crescita economica e da una diminuzione dei consumi con un basso accesso al credito.

C’è chi propone come soluzione una diminuzione dei salari che aumenterebbe l’occupazione e, data la concomitante svalutazione reale dei beni interni sosterrebbe l’aumento (magari accompagnata da altre misure per favorirlo) di competitività con un ulteriore miglioramento dell’output e quindi dell’occupazione e finalmente del debito pubblico via maggiori entrate fiscali.

Il deprezzamento del tasso di cambio reale tramite una svalutazione interna effettuata attraverso una riduzione dei salari nominali non è, comunque, efficace poiché questa farebbe aumentare il peso del debito privato, abbasserebbe le entrate fiscali e, quindi, peggiorerebbe la dinamica del debito pubblico.

Dall’analisi dei dati sembrerebbe, peraltro, poco praticabile (in Italia e nei Paesi del Sud Europa) una politica di deprezzamento del cambio reale via diminuzione dei salari, in figura 1 viene presentato l’andamento del costo unitario del lavoro nell’ultimo decennio.

Figura 1 – Costi unitari del lavoro 2003 – 2012 – (Numero indice; base=2003)

Fonte: Ocse

I dati evidenziano uno scollamento tra il costo del lavoro nell’area Sud rispetto a quello dell’aera Nord con un riavvicinamento a partire dagli anni post-crisi. La soluzione andrebbe ricercata in un aumento dei salari in Germania e Paesi limitrofi, che negli anni dell’euro sono cresciuti molto meno, contribuendo a mantenere bassa l’inflazione in quei paesi e causando una svalutazione reale dei beni lì prodotti rispetto ai paesi del Sud rendendoli, quindi, ancora più competitivi. L’andamento recente delle retribuzioni orarie in Italia (figura 2) conferma la sostanziale stagnazione delle retribuzioni orarie nominali. Quindi non sembrano esserci ulteriori margini per una diminuzione dei salari nominali.

Figura 2. Retribuzioni lorde medie per ora lavorata nelle grandi imprese. Serie destagionalizzate (indici in base 2010=100)

Fonte: Istat

La politica di “svalutazione fiscale” via riduzione dei costi del lavoro non legati alla retribuzione può avere un impatto significativo nel breve periodo, nei margini in cui essa può essere praticabile. Infatti nei Paesi dove le basi finanziarie del sistema pensionistico sono ancora sotto stress, un cambiamento significativo del sistema di contribuzioni sociali potrà avere risultati migliori se accompagnato da un chiaro piano di riforma delle pensioni.

In figura 3 vengono mostrati i differenziali dell’inflazione all’interno dell’area euro, i differenziali tedeschi sono sempre negativi mentre per i paesi del Sud sono positivi e sempre superiori nel periodo 2002-2008 mentre nel periodo 2008-2012 si assiste ad un riavvicinamento relativo dei differenziali.

Figura 3 - Deviazione dell’inflazione dalla media dell’area dell’euro(=2.1 2002-2008; =1.3 2008-2012)

Fonti: Commissione europea, Eurostat ed elaborazioni della BCE.

Dal momento che il consolidamento ha un effetto negativo di breve periodo sull’output facendo diminuire ulteriormente i salari e i prezzi, il peso reale del debito aumenta rendendo ancora più difficile per il settore privato la riduzione del proprio debito e per il settore pubblico raggiungere gli obbiettivi di consolidamento.

Da ultimo il consolidamento può avere anche un effetto sulle partite correnti influenzando il necessario aggiustamento di questo squilibrio. In termini generali una contrazione fiscale potrebbe portare ad un deprezzamento del tasso di cambio reale e accompagnare la diminuzione del deficit delle partite correnti questo tuttavia avverrebbe in prima battuta tramite la diminuzione delle importazioni, dovute al minore reddito disponibile e alla minore domanda, e successivamente ad un miglioramento della bilancia commerciale via deprezzamento del cambio reale. Gli effetti finali sull’output e sulla crescita sono pertanto dubbi.

Per risolvere gli squilibri macroeconomici all’interno della Uem è necessario spostare domanda aggregata dalle economie in surplus ai Paesi in deficit insieme a riforme strutturali [1] che migliorino la produttività in questi ultimi per rendere i processi di aggiustamento meno pesanti e soprattutto permanenti.

Un sentiero alternativo di stabilizzazione economica e di reale convergenza delle economie europee deve essere realizzato nella cornice di una diversa e più perequata cooperazione intraeuropea che preveda un forte coinvolgimento della Germania e dei Paesi del Nord. Questi Paesi non possono limitarsi a imporre regole ma devono agire direttamente ed effettivamente al fine di rafforzare le economie del Sud ed in ultima analisi anche per salvare se stessi.

Occorre che i paesi dell’area Nord rilascino la politica fiscale e operino un aumento della domanda anche tramite un aumento dei salari (che come si è visto precedentemente sono cresciuti in misura minore rispetto ai paesi dell’aerea Sud), favorire un aumento dei prezzi con conseguente rivalutazione del cambio reale tedesco e aumento della domanda estera assecondando il riequilibrio delle partite correnti.

È chiaro che questo cambiamento di prospettiva deve essere compiuto adottando una prospettiva politica (e di politica europea per di più) con un patto di sindacato tra tutti i paesi svantaggiati dall’euro finalizzato alla ridiscussione del fiscal compact.

Questa ridiscussione deve avere come fulcro l’affiancamento al fiscal compact, con i suoi desiderata in termini di risanamento di bilancio, anche di altri patti per la cooperazione e per la convergenza delle economie. Citando solo quelli più urgenti e brevemente discussi sopra si tratta di varare: un patto per la convergenza degli squilibri di commercio estero (trade compact) dal momento che non è possibile per un paese (per lo più inserito in un’area di cooperazione economica) avere in continuazione avanzi commerciali verso i propri partner, e un patto per la convergenza dei prezzi anche verso il basso. Infatti se si stabilisce che il tasso di inflazione non possa superare certi limiti (relativamente agli altri partner) verso l’alto, devono essere posti dei limiti anche ai differenziali verso il basso, che, in mancanza della possibilità di riequilibri via tasso di cambio (come nell’area Euro), stabiliscono dei deprezzamenti competitivi del tasso di cambio reale al di fuori della logica dell’unione monetaria e della cooperazione tra partner con uguale dignità.

 

[1] In particolare necessitano riforme strutturali che costruiscano un percorso di trasformazione della UEM in un’area valutaria ottima (OCA).

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Commenti

uscire dall'euro

allora l'autore potrebbe prendersi lo spazio per spiegare che cosa significherebbe secondo lui uscire dall'euro in un prossimo intervento?

FATTI E OPINIONI

Grazie delle precisazioni, dalle quali capisco, che la storia dei 50 miliardi l'anno non era corretta!!!!
Per tutto il resto sono in accordo con lei anche perchè non ho mai sostenuto il contrario!!!!
Cari saluti.

P.S.: mi piacerebbe che i dati di fatto venissero raccontati per quelli che sono senza lasciarli "prendere" dai giudizi di valore!!!

P.S. 2: non sono affiliato a nessuno!!!!

(F)inal (C)omment

Quindi i commenti confermano sostanzialmente quanto scritto nel contributo e, ossia, che in generale, come scrivevo nella premessa, non si tiene conto degli effetti di feed-back delle politiche economiche sulle quantità prese in esame.
Sono d’accordo che il rapporto debito su PIL debba essere ricalcolato ogni anno, purtroppo nessuno sa quanto e come questo rapporto si modificherà in arco di tempo molto lungo per la congiuntura economica come lo sono 20 anni. Questa pretesa da parte dei redattori del FC di programmare (e prevedere) situazioni a così lunga scansione temporale è uno dei limiti del FC stesso. Tanto è vero che i calcoli venivano svolti su una base del rapporto debito/PIL del 120 per cento mentre ora siamo oltre il 130 per cento proprio grazie a politiche di riduzione del debito molto simili a quelle che si dovrebbero fare per ottemperare al FC stesso. I successi di politiche di questo tipo (si veda Stiglitz “Il prezzo della diseguaglianza”) si sono avuti solo per Paesi molto piccoli con un’apertura al commercio verso Paesi molto grandi (guarda caso). Quindi gli esempi che vengono portati di riduzione progressiva del rapporto al 110 e poi al 100 per cento (diminuendo così il delta da recuperare di anno in anno) mi sembrano, per il momento, wishful thinking.
Un altro (grosso) limite del FC è che esso prevede la stessa politica fiscale per tutti i 26 Paesi firmatari contemporaneamente. A parte la diversità delle economie, che genera anche una diversità molto pronunciata di situazioni, questo implica che, se si deve aspettare una crescita della domanda, questa deve essere generata al di fuori della UE. Dato che una grossa fetta del commercio estero dei Paesi UE è all’interno della stessa UE la domanda generata esternamente dovrà essere particolarmente forte.
L’aumento auspicato del PIL potrebbe in effetti migliorare il rapporto, e, tuttavia, mi sembra difficile allo stesso tempo effettuare tagli di spesa e/o aumentare le tasse a causa del FC ed avere una crescita del PIL sostenuta (finora abbiamo avuto una decrescita del PIL a seguito di politiche fiscali restrittive). E’ sostanzialmente il problema del moltiplicatore, quest’ultimo è sicuramente negativo: si discute se sia più vicino al -0,5 o più al -1,5 ma da studi recenti sembra maggiormente vera la seconda ipotesi. Quindi, l’unica è sperare in una crescita del resto del mondo. Interverrebbero, però, altri fattori per cui non è detto che tutto il reddito aggiuntivo derivante da un incremento di domanda proveniente da Paesi extra-UE si indirizzerebbe su beni nazionali, anzi.
Non è mia abitudine prima di scrivere un contributo in campo economico coordinarmi (soprattutto se non richiesto) con Ferrero, o Brunetta o Renzi anche se immagino ciascuno di essi abbia una rispettabilissima opinione in merito. Detto questo non voglio assolutamente entrare in un dibattito squisitamente politico.
Non voglio, pertanto, neanche discutere, in questa sede, del problema dell’uscita dall’euro poiché un’opinione in merito dovrebbe essere esposta in maniera molto articolata. Vorrei solo sottolineare che preliminarmente a qualsiasi decisione politica occorrerebbe aprire un dibattito per verificare la praticabilità di quanto suggerisco nel contributo, ma questo lo dicono anche coloro i quali, in maniera seria, hanno proposto l’uscita dall’euro.
In ultimo vorrei aggiungere che chi si prendere la libertà di avanzare critiche a livello personale dovrebbe altresì prendersi la libertà di firmarsi con nome e cognome (e possibilmente anche con l’affiliazione).

per Alberto Capece da parte del cialtrone

Una regola del fiscal compact dice che deve esserci pareggio di bilancio strutturale; un'altra dice che il rapporto debito/pil deve raggiungere il 60% attraverso un riavvicinamento di 1/20 l'anno!!!!
Lasciamo stare i giudizi di valore (se vuole comunque saperlo per me la 1^ regola è una sciocchezza perché non è condizione né necessaria né sufficiente per ridurre il rapporto deficit/pil - ammesso che sia auspicabile ed io non credo proprio – ma tant’è … dobbiamo tenercela ... ed in più è stata da noi pure costituzionalizzata!) e parliamo della la 2^ regola.
La leggenda metropolitana narra che, siccome quando fu introdotta la 2^ regola il debito pubblico era il 120% del pil, al 60% ne mancavano altri 60% che diviso 20 faceva il 3% di Pil e quindi qualche solone ha pensato che ogni anno dovessimo dissanguarci di c.ca 45miliardi (con il Pil dell’epoca)!!!!
Così non è (e sono stupito che la leggenda sia alimentata anche da economisti) perché:
1 - il 20 esimo si ricalcola ogni anno e man mano che si va avanti l’impatto sul pil si riduce di volta in volta (quando staremo al 100%, avremo 40% diviso 20 che fa 2% e quindi pur facendo il calcolo strampalato – vedi punto 2 – dopo qualche anno avremmo comunque un impatto da 30 miliardi e non + 45 e così via a sciemare!!!!);
2 – già la 1^ regola fissa il numeratore del rapporto debito pil che rimane costante e basta che cresca il denominatore per raggiungere il sentiero virtuoso senza ulteriori manovre lacrime e sangue aggiuntive rispetto a quelle, comunque pesanti, necessarie per la 1^ regola!!!
Si dirà: ma noi non cresciamo affatto! Vero; peccato, però, che il denominatore si calcoli a prezzi nominali e da semplici conticini si vede che basterebbe una crescita dell’1% reale l’anno per raggiungere l’obiettivo (magari creando più inflazione, come dice Krugman e non Giavazzi tanto per capirci!!!) addirittura per avvicinarci prima del dovuto!!! Ora considerato che anche un paese bislacco, come il nostro, è cresciuto dal 2000 al 2007 del 3-3,5% l’anno in termini nominali, si capisce che la missione non è impossibile!!! Che poi è assurdo, come detto in premessa, e come sostiene Krugman, porci questi paletti …………….. è tutta un’altra storia ma non c’entra nulla col descrivere il Fiscal compact come il mostro di Loch Ness!!!!
Aspetto che lei, così tanto alfabetizzato, dica a noi poveri analfabeti intellettuali che così non è. Saluti!!!!!

La cialtroneria

La cosa curiosa della discussione è che chi trova poco soddisfacente l'intervento non ci pensa nemmeno a portare delle ragioni e dei dati per contestarla: come se il fatto stesso che essi egli sia di un'altra opinione dovrebbe trovare asseverazione dalla semplice presenza della loro voce virtuale. E a parte il ridicolo di chi si lagna che l'autore usurpa il titolo di economista, mentre chi ha visto il vangelo secondo Gabanelli conosce la verità, ma non la rivela, dimostra l'umiliante grado di analfabetismo intellettuale di questo Paese e la completa assenza di una educazione del discorso. Oltretutto pensare che via via (ma magari quelli che lo ritengono sono persone che non risentono della crisi, con culi belli al caldo) che si aggredisce il debito la "rata" annuale subisca una significativa riduzione è come calcolare l'accelerazione di gravità senza curarsi della resistenza dell'aria. Non si tiene conto dell'inflazione o del Pi che costituisce l'altro elemento del rapporto e nemmeno del fatto che per parecchi anni continueremo grosso modo a pagare gli interessi sul livello di debito precedente. Oltretutto dimenticando che l'Fmi per primo ha calcolato che per ogni punto di bilancio risparmiato si rischia di perderne uno e mezzo di Pil in termini reali e non nominali.

Fiscal Compact

Il passaggio di report è molto breve, dice che non è vero che sarebbero 45-50 mld annui perché mano a mano che il debito scende la cfra ricalcolata sarebbe inferiore. Se però il PIL scende proporzionalmente al debito per esempio, allora rimarrebbe com'era. A me pare che sia una eventualità da prendere in considerazione, dato che una sovrattassa di quel genere assieme al pareggio di bilancio obbligherà a fare tagli e/o aumentare la tassazione, il che potrebbe deprimere l'economia e diminuire proporzionalmente il prelievo fiscale. Se si vuol mandare il messaggio che il FC è una passeggiata mi sembra si stia semplificando troppo, aldo.

Domani ci dirà perchè oggi non è accaduto quanto aveva detto ieri!!!!!

La grandezza di un economista sta nel fatto di spiegare in modo semplice cose complesse (le dice niente Samuelson?) e non di snocciolare numeri incomprensibili ai più e poi dire autentiche "panzane" come quella che racconta sul Fiscal Compact!!! Se invece di fare sarcasmo, fosse entrato nel merito, ne avremmo guadagnato tutti!!! Auguri per la sua filgida carriera da economista!!!!!
P.S.: l'intervento su Report non era della Gabanelli ma del prof. Pisauro!!!! Ohps, scusi lo so che non lo conosce!!!!!

Per Erika

Il costo del lavoro è semplicemente l'ammontare del salario lordo (quindi incluso tutto quello che al lavoratore non arriva, tasse, trattenute, salario differito...)

Non è un termine del dogma liberista, anzi, è semplicemente la constatazione che il capitale acquista forza lavoro mentre il lavoratore la vende. Nel linguaggio corrente invece il processo viene invertito con le espressioni "datore di lavoro" e "cercare/trovare lavoro" per cui sembra che sia il capitale, gentilmente e generosamente, a offrire lavoro quindi ricchezza...

fortuna che c'è Aldo e Report...

Fortuna che c'è Aldo che ha visto Report e adesso sa perfettamente e meglio di ogni economista come funziona il Fiscal Compact.
Poi è ovvio, essendo Ferrero un politico e per di più un retrogrado comunista non può che avere torto mentre la Ragione, la Luca e la Vertità non possono che stare dalla parte di Sua Intoccabilità Gabanelli.

Fuori dall'euro

Articolo largamente condivisibile nell'analisi, ma debolissimo nelle conclusioni. Come anche qualche altro commentatore le ha fatto osservare, egregio dottor Zeli, come pensa di imporre alla Germania ed ai suoi satelliti di adottare politiche fiscali espansive e l'aumento dei salari nominali quando è proprio sull'esatto contrario di tali misure che si basa il loro (relativo) successo? Pensa che al grande capitale della Germania e dei suoi satelliti interessi dar respiro al loro principale concorrente industriale, ovvero l'Italia? O non pensa che abbiano piuttosto interesse a distruggere definitivamente il potenziale economico del nostro paese?
V'è una sola soluzione: uscire dall'euro. Tutto il resto (per parafrasare una celebre canzonetta) è fuffa

no euro

Articolo molto lungo ma con scarse conclusioni realistiche, premesso che 9 economisti su 10 confermano che fare 'lEuro come è stato fatto e' un idiozia e che i parametri del 3% e del 60% non hanno alcun fondamento scientifico , e visto che i paesi del sud non sono stati capaci di far cambiare rotta alla Germania finora non vedo come questa possa aumentare la domanda e contenere i surplus , quindi prima che svendiamo anche il resto del paese non rimane che un uscita concordata e controllata dall'euro a quel punto avremmo qualche chance in più di ripartire

INCREDIBILE

Ma come fa un economista ad avallare la fesseria dei 40-50 miliardi l'anno per raggiungere il rapporto Debito/Pil? Fin quando lo dice Ferrero di Rifondazione comunista, lo posso anche capire ma da uno studioso, assolutamente NO!!!!
Consiglio all'autore dell'articolo di guardarsi i 5 minuti di Report del 14/10/2013 in cui si parla di Fiscal Compact per avre le idee più chiare!!!!

costo del lavoro

Io non capisco cos'è il COSTO DEL LAVORO, cpotete spiegare se è il salario medio di un dipendente o cos'altro? E da quando il lavoro è un costo, anzichè una fonte di ricchezza? Non mi spiego l'utilizzo di questi termini del DOGMA neoliberale in un'articolo che appare su un sito come sbilanciamoci; Costo del lavoro è estremamente fuorviante. In ogni caso mi piacerebbe anche legger un articolo che parla del COSTO del CAPITALE. Con be chiare le cifre, almeno per cio' che riguarda l'italia, della percentuale di PIL che dai salari ora va agli azionisti rispetto a, per esempio, gli inizi degli anni ottanta.

OCA

A parte che non si capisce quale sia lo strumento cogente con cui imporre ai tedeschi di aumentare i salari, cosa che stanno facendo per altro con il "salario minimo" a 850 Euro senza che l'Italia ne benefici in alcun modo significativamente. Quando lo capirete che la crisi Italiana è un problema italiano. E che l'Italia avrebbe tute le risorse per risolverla se solo si decidesse a darsi una politica su energia, trasporti, edilizia e riqualificazione (e non riduzione) della spesa pubblica.
Fate pace con il cervello una buona volta e sforzatevi di scrivere di politica economica e non libri dei sogni !


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