Il documento del governo sulla riforma del lavoro lascia irrisolte le questioni principali: flessibilità e precariato, livello salariale, produttività delle imprese, mancanza di una politica industriale
La bozza di documento del governo sulla riforma del mercato del lavoro e sugli ammortizzatori sociali delinea una riforma strutturale degli ammortizzatori sociali, con un impatto sociale ed economico sostanzialmente incerto, e una piccola correzione della flessibilità in entrata legata al costo-opportunità dell’utilizzo degli attuali modelli di inserimento del mercato del lavoro, senza nessuna vera riforma delle tipologie contrattuali, mentre per la flessibilità in uscita si tende a una monetizzazione, via giudice, di alcune fattispecie dell’articolo 18 sulla reintegra.
Al netto della modifica dell’articolo 18, il governo dei tecnici non interviene sul mercato del lavoro: lo corregge solo in misura contenuta. Da tempo il dibattito economico e politico si interroga sull’eccesso della flessibilità in entrata del mercato del lavoro. In altre parole, 46 modelli di contratti di assunzione sono invero eccessivi, e vanno ben oltre la necessaria flessibilità del lavoro. Infatti, l’eccesso di flessibilità in entrata, che fa il paio con la flessibilità in uscita degli stessi soggetti coinvolti, non ha prodotto nessun miglioramento del mercato del lavoro e più in particolare della struttura produttiva. In qualche misura l’eccesso di flessibilità del lavoro ha ridotto la flessibilità del tessuto produttivo di spostarsi da un settore produttivo maturo a un settore emergente. È proprio la manutenzione proposta dal governo di alcune fattispecie di contratti che formalizza la dissociazione tra mercato del lavoro e politica industriale. Infatti, la flessibilità non è brutta o cattiva, ma dipende dal risultato che si vuole perseguire. Quindi il dualismo nel mercato del lavoro è solo sfiorato in ragione dell’aumento del costo del lavoro a chiamata, a tempo determinato, con delle positive limitazioni per l’uso del tempo parziale, soprattutto se consideriamo il costo complessivo del lavoro italiano rispetto ai principali competitor europei; è del tutto evidente che l’aggravio dei costi e l’aumento del numero delle pratiche amministrative difficilmente inibirà il loro utilizzo. Infatti, la libertà di “licenziamento” dei precari costituisce un vantaggio comparato a cui difficilmente le imprese rinunceranno. Le imprese denunciano l’aggravio amministrativo, ma questo “aggravio” non è così tanto diverso da quello che già oggi le stesse imprese devono svolgere per gestire gli oltre 46 modelli di inserimento del mercato del lavoro. Se l’aumento dei costi nell’utilizzo di certe fattispecie di lavoro fosse così “condizionante”, perché non eliminarli? Evidentemente l’obiettivo non è quello di ri-allineare il mercato del lavoro e la politica industriale, piuttosto quello di “intercettare”, surrettiziamente, un malessere che coinvolge in primis i giovani e le donne, con dei percorsi formativi che travalicano il target della domanda di lavoro delle imprese. Alla fine non di riforma del mercato del lavoro si discute, che presuppone un minimo di politica industriale, ma di mero aggiustamento residuale delle più evidenti storture del modello “Biagi”. Nella bozza del documento sono rintracciabili anche importanti aggiustamenti, ma nulla di più e nulla di meno. Il nodo vero è un altro: il problema del precariato e della flessibilità (in entrata), del mercato del lavoro duale, per non parlare del livello salariale e delle produttività delle imprese, rimane ancora da risolvere. In altre parole: tutti qui il sapere del governo dei tecnici?
Diversamente dal mercato del lavoro, la riforma degli ammortizzatori sociali è paradigmatica, senza che vi sia una precisazione sull’impatto complessivo economico-finanziario, sulla natura giuridica degli stessi (lavoristico-universalistico), e sulla sostenibilità. Si modifica l’indennità di disoccupazione e la mobilità con l’ASpI (Assicurazione sociale per l’impiego); la cassa integrazione ordinaria e straordinaria con l’istituzione dei fondi di solidarietà; le nuove prestazioni per i lavoratori anziani esodati (un anticipo di 4 anni dell’età pensionabile). La riforma è “intuitivamente” enorme, ma l’impatto economico, la solidità e la sostenibilità non sono per nulla chiari. Inoltre, proprio perché si punta a “rafforzare i legami tra strumenti di sostegno al reddito e le politiche attive”, servirebbe una migliore coerenza tra la riforma degli ammortizzatori sociali e la delega fiscale che rimodulerà qualcosa come 160 mld di euro, più in particolare le deduzioni e detrazioni fiscali, famigliari a carico, ecc. In altre parole, non è possibile riformare strutturalmente gli ammortizzatori sociali senza definire il quadro di politica industriale e il quadro delle politiche fiscali, soprattutto se consideriamo il “trattato sulla stabilità", sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria (primi di marzo del 2012) che impone il pareggio di bilancio e la riduzione del debito eccedente il 60% del pil di un ventesimo ogni anno.
La bozza del governo non approfondisce nessuno di questi oggetti. Infatti, non ci sono modelli o proiezioni. Non sappiamo quanti e come saranno coinvolti i lavoratori, in quale misura, mentre la tempistica suggerita sembra quella di un paese che si trova in “piena occupazione”. Una riforma di questa portata deve essere studiata e verificata in tutte le sue implicazioni, non perché il paese e l’Europa si preparano a un double dip, ma perché il fiscal compact europeo, firmato proprio da Monti, impone un piano di rientro fiscale che non è inferire a 30 mld cada anno da qui al 2020.
Altra considerazione: perché non è stata coinvolta la Ragioneria generale dello Stato per le opportune verifiche e proiezioni? Avremo anche dei tecnici al governo, ma sono possono essere persone onniscienti.
Gli obiettivi in calce alla piattaforma sono quelli di rendere più dinamico il mercato del lavoro via regolamentazione della flessibilità in entrata che è attraversata da evidenti distorsioni; via nuova regolamentazione della flessibilità in uscita, cioè limitazioni della disciplina dei licenziamenti individuali, in particolare quelli per motivi economici [1].
I principali istituti contrattuali soggetti a modifiche sono:
1. L’apprendistato diventerà il canale privilegiato di accesso dei giovano nel mercato del lavoro, con delle condizioni minime, come quella di prevedere una durata minima, la presenza obbligatoria del tutore;
2. Disincentivo all’uso del contratto a tempo determinato tramite aumento del costo contributivo, al netto di quei contratti a tempo determinato per sostituzione. Qualora ci fosse successivamente l’assunzione a tempo indeterminato, la maggiore contribuzione può essere recuperata come premio di stabilizzazione; è previsto un allungamento dell’intervallo di tempo tra una scadenza e un rinnovo di contratto, assieme alla possibilità di impugnare giudiziale del contratto oltre i 60 giorni dalla scadenza per evitare il non ricorso al giudice per paura del non rinnovo del contratto. In caso di illegittimità del contratto a tempo determinato è riconosciuta al lavoratore una indennità tra 2,5 e 12 mensilità;
3. Per i contratti a tempo parziale, al fine di scongiurare gli abusi, è istituito l’obbligo di comunicazione amministrativa contestuale al preavviso da dare al lavoratore;
4. Per evitare di coprire lavoro irregolare, il contratto di lavoro a chiamata o intermittente è soggetto a comunicazione amministrativa;
5. Le collaborazioni a progetto hanno spesso mascherato situazioni di palese subordinazione. Per evitare l’abuso sono introdotti alcuni interventi di tipo normativo e contributivo. Il contratto di progetto non può consistere nella ragione sociale dell’impresa ed è abolita la preposizione di programma nella determinazione dei contratti a progetto. Inoltre, il contratto a progetto non deve essere equivalente a una funzione che un dipendente può svolgere. Sono anche eliminate delle clausole individuali che permettevano il recesso del committente. È introdotta nel regime sanzionatorio la presunzione assoluta di subordinazione. Ci sarà un innalzamento delle aliquote contributive per la gestione separata dell’inps (ormai sempre più vicina a quella del lavoro a tempo indeterminato);
6. Negli ultimi anni c’è stato un abuso di collaborazioni professionali con partite IVA. Sono introdotte norme tese a far presumere il carattere coordinato e continuativo della collaborazione tutte le volte che essa duri più di 6 mesi e che da essa ricavi più del 75% dei corrispettivi (anche se fatturati a più soggetti, ma pur sempre riferibili a un unico soggetto-proprietario). Si tratta in modo “elegante” di tratteggiare la nozione di lavoro subordinato e la dipendenza economica;
7. Ci sarà una modifica dell’associazione in partecipazione con apporto di lavoro tramite la limitazione del numero massimi degli associati. Un istituto assai diffuso e abusato che ha distorto il mercato in misura significativa. Anche per questi è prevista una maggiorazione dell’aliquota contributiva, sempre la gestione separata dell’inps;
8. Ci sarà una limitazione del lavoro accessorio con una limitazione dei campi di applicazione.
Le grandi linee di riorganizzazione degli ammortizzatori sociali sono tese a:
Sono tre le aree di intervento:
Questo strumento sostituisce:
Sono interessati tutti i lavoratori dipendenti privati e pubblici. Quest’ultimi sono quelli con contratto non a tempo indeterminato. La misura interessa agli apprendisti e agli artisti.
Per accedere all’ASpI occorrono almeno 2 anni di anzianità assicurativa e almeno 52 settimane nell’ultimo biennio.
La durata dell’ASpI è pari a:
L’assegno è dato da:
L’applicazione della rivalutazione avviene fino al 70% per le retribuzioni fino a 1.250 euro, e del 30% per la parte eccedente. Inoltre, ci sarà una riduzione dell’indennità ASpI del 15% dopo i primi 6 mesi, e ancora del 15% nei successivi 6 mesi. Sono inserite alcune clausole per favorire l’occupazione, cioè i periodi di lavoro inferiore ai 6 mesi è sospeso il trattamento, con la ripresa appena finito il lavoro, mentre per i periodi superiori ai 6 mesi di lavoro faranno ripartire il trattamento.
Ci sarà anche un ASpI ridotta (del tipo indennità di disoccupazione ridotta). Questa sarà concessa alla sola condizione che la persona sia effettivamente disoccupata.
Il requisito per accedervi è di aver almeno lavorato per 13 settimane negli ultimi 12 mesi (mobili), mentre la durata massima sarà pari alla metà delle settimane di contribuzione nell’ultimo biennio.
La contribuzione è estesa a tutti lavoratori interessati dalla misura, ma con una differenzazione[2]:
1. Aliquota contributiva per il lavoro a tempo indeterminato pari all’1,3%;
2. Aliquota aggiuntiva per il lavoro a tempo non indeterminato pari all’1,4%.
Qualora si verificasse la trasformazione del lavoro in tempo indeterminato, l’aliquota aggiuntiva dell’1,4%, pari ad un massimo di 6 mensilità, ci sarà una restituzione. È una misura automatica di stabilizzazione.
Rimanendo sempre all’interno dell’ASpI è modificata la cassa integrazione straordinaria che non permette la conservazione del posto di lavoro.
La finalità è quella di estendere le tutele anche ai settori oggi non coperti in materia di integrazione salariale (cassa integrazione ordinaria e straordinaria) in costanza di lavoro, al netto di specifici settori. A tale scopo sono istituiti presso l’inps i Fondi di solidarietà, che garantiranno l’integrazione salariale per i casi di riduzione o sospensione dell’attività lavorativa.
I fondi di solidarietà saranno istituiti con decreto di natura non regolamentare dal ministero dell’economia e delle politiche sociali, sulla base di accordi collettivi delle organizzazioni più rappresentative con valore erga omnes. L’accordo determinerà l’ambito di applicazione del fondo, con riferimento alla classe di ampiezza dei datori di lavoro (riferita alla media del semestre precedente). Se in alcuni settori non fossero istituiti i fondi di solidarietà, via decreto interministeriale è istituito un fondo residuale che stabilisce una prestazione pari all’integrazionesalariale e il contributo a carico del datore di lavoro.
Questi fondi hanno l’obbligo dell’attivo di bilancio, mentre il comitato agirà in ordine alle aliquote contributive, anche in corso d’anno, e la contribuzione è a carico del datore di lavoro.
I Fondi di solidarietà sono obbligatori per tutte le società sopra i 15 dipendenti e per tutti i settori.
Sempre nell’ambito dei fondi di solidarietà, in specie negli accordi tra le organizzazioni più rappresentativi, i Fondi interprofessionali per la formazione continua possono contribuire al fondo di solidarietà, con l’obbligo della formazione continua durante i periodi di sospensione lavorativa.
La Cassa integrazione per l’industria, ovvero la gestione separata all’interno del bilancio inps della cassa integrazione ordinaria e straordinaria, con l’obbligo del pareggio di bilancio entro il 2015. Confluirà anche il settore del trasporto aereo e del sistema aeroportuale.
Si definisce una cornice giuridica per gli esodi con costi a carico dei datori di lavoro, con la possibilità, via accordi con i sindacati, di incentivare l’esodo del dei lavoratori anziani.
Per accedere a tale misura, occorre che i lavoratori raggiungono i requisiti di pensionamento nei successivi 4 anni, e occorre una idonea garanzia da parte dell’azienda (fidejussione), mentre la domanda deve essere presentata all’inps. C’è l’obbligo da parte dell’impresa di versare mensilmente (all’inps) la provvista per la prestazione e la contribuzione figurativa, mentre la prestazione sarà pari al trattamento pensionistico che spetterebbe al lavoratore.
Transizione: per gli esodi fino al 2017 sono coperti via indennità di mobilità.
Riforma mobilità e simili con ASpI | |||||||
attuale regime | transizione riforma e quadro finale | ||||||
centro nord |
lavoratori | mesi di mobilità | lavoratori | mesi di integrazione anno 2013 | mesi di integrazione anno 2014 | mesi di integrazione anno 2015 | mesi di integrazione anno 2016 a regime |
fino a 39 anni | 12 | fino a 39 anni | 12 | 12 | 12 | 12 | |
da 40 a 49 anni | 24 | da 40 a 49 anni | 18 | 12 | 12 | 12 | |
oltre 50 anni | 36 | da 50 a 54 anni | 30 | 24 | 18 | 12 | |
|
oltre 55 anni | 30 | 24 | 18 | 18 | ||
sud e isole |
lavoratori | mesi di mobilità | transizione riforma e quadro finale | ||||
fino a 39 anni | 24 | fino a 39 anni | 18 | 12 | 12 | 12 | |
da 40 a 49 anni | 36 | da 40 a 49 anni | 30 | 24 | 18 | 12 | |
oltre 50 anni | 48 | da 50 a 54 anni | 40 | 32 | 24 | 12 | |
oltre 55 anni | 40 | 32 | 24 | 18 |
[1] È espressamente indicata la cancellazione delle dimissioni in bianco.
[2] Sono abolite-sostituite le aliquote per la disoccupazione involontaria (1,31%); l’aliquota aggiuntiva per il settore edile (0,80%); la mobilità (0,30%).
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