Il forum della Fondazione Verde Europea e di Sbilanciamoci «Uscire dalla crisi con un'altra Europa» per una discussione su un fronte democratico per cambiare l’Europa
Il terzo appuntamento della Fondazione Verde Europea e di Sbilanciamoci che si è svolto a Roma («Uscire dalla crisi con un'altra Europa») si lega in modo diretto all'Appello «un'altra strada per l'Europa» e al Forum del 28 giugno di Bruxelles, che ha riunito 150 rappresentanti di organizzazioni e deputati europei intorno a 5 proposte (finanza, ribaltamento della logica dell'austerità, «new deal» verde, democrazia) da portare avanti, appunto, in Italia in Europa. Per noi, Italia ed Europa sono per forza legate: non solo perché le elezioni sono vicine. Ma perché se si rompe l'Europa come ideale e come spazio di democrazia e coesione sociale, anche l'Italia cadrà ancora più in basso.
Noi siamo convinti invece che esistano le condizioni per un'alternativa, rappresentata da coloro che credono per esempio che per uscire dalla crisi ci sia bisogno di lasciar perdere infrastrutture pesanti, centrali a carbone e le trivellazioni di petrolio, puntando su un vero e proprio «piano Marshall» per l'efficienza energetica e le rinnovabili, finanziato per esempio con i 130 miliardi di euro di cui si è parlato al Consiglio europeo del 28 giugno; che ritengono che sia perfettamente possibile e assai «riformista» abbandonare gli F35 e magari usare quei denari per restaurare e rilanciare il nostro patrimonio culturale e turistico. O che sono convinti che uscire dalla crisi sia anche risanare il nostro territorio, arrestarne il saccheggio, ricostruire l'Aquila o le zone terremotate, scegliere una volta per tutte altre forme di finanziamento dei comuni che gli oneri di urbanizzazione. L'«alternativa» sono donne e gli uomini che hanno capito che più che conservare l'esistente, per «produrre lavoro» sia necessario promuovere altre «attività economiche», magari valorizzando i vincoli climatici e la scarsità delle risorse;che «osano» pensare che forse l'auto non è un'industria del futuro e che uscire progressivamente dalla vecchia industria pesante ed energivora, profondamente maschile e verticale nella sua struttura e organizzazione - sia una sfida attraente e non una sconfitta. Insomma, sono i portatori e le portatrici di una visione profondamente «rivoluzionaria» e insieme perfettamente realista.
Ma ridefinire l'economia non è possibile senza cambiare il quadro politico, a livello italiano ed europeo.
È ormai evidente a tutti che le forme della partecipazione e della decisione democratica si trovano oggi sottoposte a una forte pressione e che non è sufficiente avere ottime e ragionevoli proposte per avere spazio e voce nel dibattito pubblico.
Per cultura e per una diversa esperienza delle istituzioni europee, non concordo con Rossana Rossanda e con una visione che fa del «capitale» l'unico motore dell'attuale processo d'integrazione europea e che dimentica il grande progresso che in anni non lontani e per molte politiche, dall'ambiente, allo stato di diritto, alla libera circolazione e i diritti civili e sociali, alla coesione territoriale, ha rappresentato l'azione dell'Ue e le battaglie meritorie per rendere il Parlamento europeo co-legislatore sull'80% delle norme «made in EU»; ma sono perfettamente d'accordo con lei nel ritenere che la «democrazia reale» in Europa è questione ben più vasta che la «lubrificazione» di alcuni meccanismi elettivi o istituzionali e che sia indispensabile riprendersi in mano la politica se si vuole domare l'economia.
L'incrocio dei poteri economici e mediatici falsano infatti l'esercizio del potere quasi più delle leggi e delle regole elettorali; la mancanza di competenza e di credibilità a tutti i livelli apre la strada a soluzioni populiste, nazionaliste, semplici da comunicare, ma assolutamente inadeguate e parziali. D'altra parte, i media sociali riflettono una voglia di partecipazione e di decisione che può produrre semplificazione e populismo e non solo consapevolezza e trasparenza.
In Italia, solo il fatto che ancora non si conoscano le regole elettorali delle prossime elezioni e che comunque chi le può cambiare ha in testa di garantire se stesso e non allargare gli spazi di rappresentanza e l'efficienza delle decisioni, è di per sé un serio limite per l'organizzazione dell'alternativa. Mentre a livello europeo, la resistenza ancora maggioritaria rispetto alla creazione di liste transnazionali per le elezioni al Parlamento di Strasburgo, limita di molto la possibilità di una battaglia vera sulle alternative in campo, relega la scelta tutta politica su chi governerà le istituzioni comunitarie (a partire dal presidente della Commissione) a un mercanteggiamento fra i governi; chiude quella grande conquista di rappresentanza sovranazionale dentro gli stretti limiti delle burocrazie di partito e dei rapporti di forza nazionali.
Detto questo, non possiamo cadere nella facile tentazione di stare insieme nella nostra isoletta a parlare di come sarebbe bello il mondo se tutti fossero come noi.
Non si può costruire un mondo diverso se non «occupando» e cambiando dal di dentro quello che oggi esiste ... Perché non siamo ancora maggioranza; anzi. Merkel è il politico più popolare in Germania. In Spagna, Rajoy ha la maggioranza assoluta; in Italia, Monti può contare su larga parte di stampa e parlamento; in Olanda le prossime elezioni si annunciano un successo per forze decisamente euro-scettiche, di destra e di sinistra. Questo è il dato di fatto che dobbiamo cambiare. Sul come, ci sono naturalmente mille discussioni e mille iniziative, nella politica e nell'associazionismo, in Italia e anche in Europa. Ma pochissimi luoghi di riflessione e azione comune, poiché ognuno coltiva il suo.
Il punto non è, o non è solo, la creazione di nuovi soggetti politici o contenitori. Anzi, il problema è che ce ne sono anche troppi. Bisogna invece nelle prossime settimane e mesi organizzare meglio e rendere visibile un lavoro comune e di reciproca «contaminazione» di quell'ampio fronte di forze politiche, settori dell'associazionismo e cittadini più o meno organizzati che sono portatori di contenuti «alternativi» rispetto al pigro conformismo del dibattito politico italiano ed europeo: consolidare insomma un «fronte democratico» capace di aggregare e costruire un rapporto di forza con il mainstream ideologico, che dal crollo della Lehman Brothers non ha perso spazio e potere e che, anzi, come dimostrano le ultime dichiarazioni di Monti su Squinzi e lo spread, paradossalmente schiacciano non solo il dissenso, ma pretendono di non essere disturbati nemmeno da parte dei famosi «poteri forti»..
La prospettiva di una grosse Koalition basata su falsi slogan riformisti e sulla vera continuazione del potere della finanza, dell'economia insostenibile, del precariato del lavoro è oggi estremamente reale in Italia e in Europa: e noi la dobbiamo assolutamente contrastare, creando un rapporto di forza visibile e «rumoroso»: un «fronte democratico», appunto, capace di farsi valere a prescindere dalle regole elettorali che verranno imposte, vecchie o nuove che siano.
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