L’ultimo Eurostar della sera tra Milano e Roma. Divido il tavolino con tre signori molto eleganti, formali, di quelli che ti aspetteresti di trovare in prima classe. I due di fronte a me sono particolarmente interessanti. Il primo è un tipo belloccio, brizzolato, alla Richard Gere: palmare, orologione, fazzoletto bianco nel taschino. Ha un aspetto molto snob, ma in fondo è un romano verace che si prende e si fa prendere in giro per i suoi tre palmari di cui ne funziona mezzo, molto affettuoso con i figli al telefono, con una parlantina sciolta e affabulatrice. Affianco a lui un suo collega più anziano ma senza nemmeno una ruga, ricorda molto Toni Servillo. Invece del palmare, come agendina ha un pezzo di carta su cui si appunta nomi e indirizzi scherzando con l’amico che la batteria (del foglietto) “nun me regge”. La prima frase che attira la mia attenzione, la dice il Bello: “Questo appuntamento me lo segno sull'altro telefono, ché quello aziendale è sotto controllo”. Stanno aprendo una società che farà concorrenza al loro datore, immagino. Stanno contattando un paio di grossi nomi del mondo industriale e sportivo per la consulta economica. Qualcuno ha qualche centinaio di milioni da investire, “certo che 10/20 li potrebbe pure mettere in questa cosa”. Spero che i milioni siano lire, comunque è proprio una società, penso. Hanno assunto dei creativi, gli hanno dato qualche idea su cui ispirarsi e hanno scelto il logo. Dovranno fare una riunione con la consulta e stabilire lo statuto. “Certo si parte dai soliti concetti base, che ne so la famiglia i giovani i pensionati ma poi si vede insomma.” Mi spingo più in là con l’immaginazione: forse sono assicuratori. Ancora non so quanto mi sto sbagliando. Sono loro che stanno molto più avanti di me in quanto ad immaginazione. Iniziano a parlare di Mastella: “è meglio muoversi indipendentemente sai tende a mettere la bocca su tutto. Con i sardi è meglio se ci riparliamo, stavano aspettando che passasse l’onda elettorale”. Certo il Bello è ovviamente disposto a metterci la faccia, “magari anche a organizzargli qualcosa di piazza se me lo chiedono, ma di certo me devono paga’ ”. In fondo si sta facendo pure un mazzo tanto, “mica è una cavolata mettere su ‘sta cosa”. Temo di aver capito. Poco dopo arriva la conferma. Il Bello racconta, a dire il vero anche un po’ scandalizzato, che qualche tempo fa era in un tribunale civile e la sua udienza era veramente l’ultima. Avrebbe finito per fare nottata, se non fosse stato che il suo avvocato, allungando 10 euro alla persona giusta, l’ha fatto passare. “Certo se tutti facessero così sarebbe inutile. Ma basta che ce ne sia anche uno solo che non lo faccia e sei avanti di un posto. Se poi a non farlo è una maggioranza, fai un bel passo avanti. Comunque è tutto così ‘sto paese, e allora che non mi venissero a rompere se per fare qualche soldo metto su un partito”. E capisco. Capisco come e perchè nasce un partito nel mio paese. Capisco che in fondo è un modo come un altro di fare un po’ di soldi. Un investimento tutto sommato pulito che garantisce, se ben condotto, ottimi ritorni. Si mettono un po’ di risorse sul territorio (ovvero comprare un po’ di voti), si tirano fuori un po’ di slogan triti e ritriti a base di famiglia e giovani e se tutto va bene si riesce a piazzare un paio di persone nei posti giusti. Non c’è un progetto politico né idee né proposte per non parlare di lotte o ideologia. Queste persone non sono dei malavitosi o dei criminali, non hanno nemmeno niente di losco, hanno solo fiuto per gli affari. Evidentemente ritengono quello di fondare un partito un affare come un altro e di conseguenza non si fanno scrupoli a parlarne in pubblico anche se con discrezione. Si rendono conto che non è proprio un business civico ma in fondo tutto il paese sembra fregarsene della legalità e della civiltà. Lo fanno tutti, lo faccio anch’io. Certo avendo i contatti giusti si riesce a fare una cosa un po’ più in grande di dare una bustarella per passare avanti ad un’udienza, ma il principio rimane lo stesso.
Potrebbe finire qui, ma c’è di più. Quasi arrivati a Roma parte la conversazione. E quindi ora tocca a me. Immagino che qualcosa abbiano capito: ho parlato al cellulare a lungo della visita di Gheddafi a Roma e dei risultati delle elezioni europee. Lavoro all’Università, semplifico, sono un’economista, me la tiro un po’ e poi passo alla provocazione e gli dico che faccio politica con un’associazione che fa advocacy, ricerca e anche un po’ di lobby. Alla parola lobby il Bello si illumina e così su due piedi: “allora dobbiamo scambiarci i contatti”. Lo guardo perplessa, ammettendo che sì li avevo sentiti parlare di un nuovo partito ma anche di Mastella... “Sì ho capito che tu stai dall’altra parte, ma in fondo? che importa? Non è che non si possano fare delle cose utili per tutti”. Dal suo punto di vista non fa una piega, cosa c’entrano le idee con gli affari? “Immagino tu conosca Civita” mi chiede. “Certo, la fiera del terzo settore di Padova”. Peccato che quella sia Civitas. Ovviamente non era la risposta giusta. Con delicatezza mi spiega che si tratta di una delle lobby più potenti del Paese. Sorrido imbarazzata, intasco il bigliettino da visita e prometto che gli farò avere i miei contatti. “Tuttosommato spesso dagli incontri casuali nascono delle cose interessanti” mi ritrovo a dire senza volerlo.
Ripenso alle parole che capeggiano sull’aula magna di un collegio universitario, decisamente massone, di Pavia. Nulli tacuisse nocet. Tacere non ha mai nociuto a nessuno. Davvero un bel messaggio per un’istituzione impegnata nel diffondere il sapere. E decido di scrivere questo articolo.
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