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Grecia, la scommessa di Tsipras

19/09/2015

Il Memorandum firmato da Alexis Tsipras è stata una capitolazione del governo alle richieste della Troika o, come ha detto il premier greco, "era il migliore accordo che si poteva avere"?

Nel suo discorso in cui annuncia elezioni anticipate, Alexis Tsipras dice “Voglio essere assolutamente sincero con voi. Non abbiamo avuto l’accordo che volevamo prima delle elezioni di gennaio. Non abbiamo affrontato però nemmeno la reazione che ci aspettavamo. In questa battaglia abbiamo fatto concessioni. Ma abbiamo portato un accordo che date le circostanze prevalentemente negative in Europa e dato che abbiamo ereditato dal governo precedente l’assoluto aggancio del paese alle condizioni dei memorandum, era il migliore che si poteva avere.”

Pensiamo che quello che ha dichiarato il premier greco uscente sia vero. Senza dubbio il memorandum è un brutto accordo, non solo per chi abbia una prospettiva progressista, ma semplicemente per chi ha a cuore la soluzione della crisi greca e il ritorno della crescita. Ma migliore di quello che hanno ottenuto in passato i governi greci.

Ovviamente la questione è “di quanto è migliore”?

L’aspetto più noto è l’apertura ottenuta dal governo Tsipras sulla rinegoziazione del debito. Si tratta di una vittoria politica. Secondo un documento del FMI pubblicato dal Wall Street Journal a fine 2013, già al momento delle discussioni sul bailout del 2010, lo staff del FMI aveva espresso dubbi sulla sostenibilità del debito greco, e alcuni Paesi in sede di board meeting del Fondo, avevano sostenuto la necessità di una ristrutturazione. Insomma, gli elementi c’erano, ma all’epoca il vertice del Fondo aveva scelto ben altra strada.

Un buon risultato, che ha ricevuto invece poca visibilità, è quello sul surplus fiscale, che è il principale parametro da cui si misura quanta austerità verrà inflitta. Si tratta della differenza tra le entrate e le uscite dello Stato, al netto del pagamento del servizio del debito, ovvero –in soldoni- quanto le imposte superano la spesa pubblica. Per aumentarlo, è necessario aumentare le tasse o ridurre la spesa, ovvero applicare politiche restrittive, che comprimono la domanda e quindi l’occupazione.

Il memorandum del 2012 chiedeva il 4,5% del Pil nel 2016, con aumenti di 1,5% ogni anno a partire dal 2012. Secondo un Occasional Paper della Commissione Europea, addirittura il surplus fiscale avrebbe dovuto essere del 4,5% nel 2014, per poi “essere mantenuto ad un livello così alto per numerosi anni”

Oggi, il memorandum prevede che “le autorità [greche, nda] perseguiranno un nuovo cammino fiscale che raggiunga un obbiettivo di surplus primario rispettivamente di -0.25, 0.5, 1.75, 3.5 percento del PIL per gli anni 2015, 2016, 2017 e 2018 e oltre.” Il triennio 2015-2017 vede delle richieste ragionevoli, concedendo per l’anno in corso una piccola spesa in deficit. L’effetto di questo dovrebbe essere una sensibile riduzione delle politiche di austerità. Il 3,5% nel 2018 è molto alto e, come giustamente commenta Varoufakis nella sua versione annotata del Memorandum, ha l’effetto di peggiorare le aspettative degli attori economici greci con ricadute negative sulla crescita stessa. Ma è comunque una prospettiva migliore della precedente.

Oltre al fatto che tra l’obiettivo finale del surplus è ridotto rispetto a quello precedentemente richiesto, la stretta sulla politica fiscale è rimandata al 2018. E’ meglio? Difficile dirlo, ovviamente. L’accordo è stato firmato in una situazione di emergenza per la Grecia, di fuga di capitali dovuta allo sbandieramento della prospettiva del Grexit, e di crisi di liquidità causata dalla chiusura dei rubinetti da parte della BCE; in un tale frangente, ogni misura di austerità affievolita o rimandata può essere a giusto titolo considerata un traguardo. Nella speranza, ovviamente, che le condizioni in futuro cambino e che la Grecia non sia più sotto la spada di Damocle in cui si è trovata oggi.

I maggiori cedimenti del governo greco –più che sul fronte austerità- sono stati su altri due versanti: quello del processo decisionale, che garantirà nuovamente alla Trojka un sostanziale potere di veto; e quello delle deregolamentazioni e delle privatizzazioni. Questo è soprattutto indice di quanto il memorandum di quest’estate abbia esplicitamente un carattere ideologico e punitivo, anziché essere orientato a una (per quanto sbagliata) strategia di rigore macroeconomico volta ad affrontare il problema del debito.

 

 

 

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