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Il diritto al dissenso in tempi di grande coalizione

02/05/2013

Quattro ragioni per difendere il diritto di critica del Movimento Cinque Stelle di fronte a una politica chiusa in se stessa. È l’assenza di dissenso politico, non la sua presenza, a portare a gesti di disperazione individuale

Dopo il ferimento di due carabinieri davanti a Palazzo Chigi, è partito un violento e multilaterale tentativo di criminalizzazione del Movimento 5 Stelle. Se questo attacco è certamente prevedibile da parte di esponenti del centrodestra, fa specie eticamente, e appare molto poco lungimirante strategicamente, quando l’accusa di avere fomentato il clima di rabbia viene rivolto a un Movimento del tutto pacifico da parte di esponenti del centrosinistra, direttamente e attraverso i loro, sempre più partigiani, organi di informazione, da TG3 a Repubblica.

Ci sono infatti almeno quattro buone ragioni per le quali la sinistra e, persino il centro sinistra, dovrebbero difendere con grande vigore il diritto al dissenso non violento del movimento.

In primo luogo, come scriveva Rosa Luxemburg, la libertà e sempre la libertà di chi pensa diversamente. In un momento di governo di grande coalizione, quando domina un pensiero unico, arrogante e intollerante rispetto a ogni voce dissenziente, è ancora più importante difendere il diritto al dissenso. Come dimostrano i (per fortuna lontani) anni di piombo, una repressione indiscriminata, una chiusura degli spazi di critica portano infatti a un’escalation dei conflitti.

In secondo luogo, è proprio la presenza di un’opposizione politica, quale i 5 stelle sono, a scoraggiare le proteste individuali autodistruttive e, quelle sì, anti politiche. Come aveva ben capito, ad esempio, il comandante della polizia islandese che, in una intervista, mi ha detto: "meno male che quando scoppiò la grande crisi del 2008 ci furono le proteste politiche, invece che gli sfoghi individuali e violenti che temevamo". È l’assenza di dissenso politico, non la sua presenza, a portare ai gesti anomici di disperazione.

Il terzo luogo, gli esponenti del movimento 5 stelle hanno detto una verità – scomoda, ma pur sempre verità – quando hanno osservato che il grande problema del momento attuale è segnalato da una reazione diffusa a quei ferimenti: non un sostegno al gesto violento, ma un'attribuzione di responsabilità per esso alle istituzioni della democrazia rappresentativa, che appaiono avvitate in una spirale di auto-delegittimazione. Chiunque sia passato da un luogo di incontro pubblico in questi giorni avrà sentito, commenti come quello sentito da me, in un bar della rossa Firenze: “Fanno pena i carabinieri feriti, ma cosa vogliono i politici: la gente è disoccupata e loro fanno gli inciuci". Nel momento in cui quei partiti, che in campagna elettorale avevano fatto appello alla società civile, ora si rinchiudono sprezzantemente nel palazzo, il tentativo di scaricare le colpe del loro isolamento su chi quell'isolamento denuncia equivale a accusare di comportamento sovversivo il bambino che dice “il re è nudo”.

In quarto luogo, a sinistra (incluso centrosinistra) la difesa del movimento 5 stelle dagli attacchi di chi li addita come responsabili del gesto di un individuo a loro del tutto estraneo dovrebbe ricordare i tempi non lontani in cui Sergio Cofferati e la Cgil venivano denunciati dalla destra come mandanti morale dell’omicidio del giuslavorista Biagi. E dovrebbe ricordare anche le tante volte in cui leggi restrittive dei diritti democratici al dissenso sono state inizialmente giustificate come dirette a controllare i gruppi meno popolari, come gli anarchici o gli ultras del calcio, ma poi rapidamente utilizzate nella repressione di movimenti di massa (Val di Susa docet), incluse le proteste dei lavoratori.

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