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Il modello ignorato delle cooperative

25/01/2013

2012, anno della cooperazione, ma non se ne è accorto nessuno. Eppure le imprese cooperative hanno tenuto meglio nella crisi e presentano vantaggi nelle forme di proprietà delle imprese e nelle strategie aziendali. Un’agenda su cui lavorare

Le Nazioni Unite avevano proclamato il 2012 come Anno Internazionale delle Cooperative. Il 2012 è passato e, tranne pochi addetti ai lavori, nessuno se ne è accorto!

Eppure l’attuale crisi è una grande occasione (ci si scusi il cinismo) perché il Movimento Cooperativo organizzi una forte campagna informativa sui vantaggi che la proprietà cooperativa presenta e sui risultati, specie in termine di occupazione, che le cooperative stanno ottenendo.

A livello nazionale le iniziative si sono esaurite in due soli eventi; a livello locale gli eventi realizzati sono stati principalmente di carattere commemorativo: poco, veramente troppo poco.

Il primo evento nazionale si è svolto a Venezia a metà marzo, promosso dall’Alleanza Internazionale delle Cooperative ed Euricse. Il convegno ha visto la partecipazione di un folto gruppo di studiosi internazionali del fenomeno cooperativo.

Un ampio riassunto del convegno è stato curato da C. Borzaga e G. Galera, ora disponibile in italiano sul sito di Euricse.

Dagli interventi e dalle ricerche presentate emerge il forte scarto, in tutti i paesi, fra la scarsa attenzione riservata al fenomeno cooperativo rispetto ai risultati, positivi, ottenuti.

Il pensiero mainstream continua a sottovalutare tutte le forme imprenditoriali diverse dalle imprese for-profit. “Di conseguenza – scrivono Borzaga e Galera – le cooperative sono state considerate degli ‘incidenti’, o delle eccezioni o, al più, delle organizzazioni transitorie destinate a scomparire a seguito della piena affermazione del mercato”. Eppure non mancano indicatori, in Italia come in altri paesi, che dimostrano come le cooperative presentino forti capacità di resilienza, come abbiamo cercato di dimostrare anche noi in precedenti interventi su questo sito.

Il secondo evento si è svolto a novembre con la presentazione del Primo Rapporto sullaCooperazione Italiana, a cura del Censis e promosso dall’Alleanza delle Cooperative Italiane, che raggruppa le tre centrali storiche in cui è organizzata la cooperazione italiana, Legacoop, Confcooperative e Agci.

Il documento è ora disponibile on-line sul sito di Legacoop. Il rapporto è ponderoso, ma, a nostro avviso, deludente. Più che una indagine sulle dimensione del fenomeno cooperativo in Italia (impresa statisticamente complessa) è una valutazione su cosa le cooperative pensano di se stesse, per cui vi è un eccesso di retorica ed una scarsa illustrazione delle best practice che le cooperative avrebbero introdotto in questi anni difficili per sopravvivere. Soprattutto non vien apportato alcun contributo originale a supporto della tesi sulla maggiore capacità di resilienza delle cooperative rispetto alle imprese for-profit. Emerge comunque un dato estremamente importante: l’occupazione nel settore cooperativo sarebbe aumentata da 1.213.276 unità nel 2007 a 1.310.388 unità nel 2011! Si tratta di un risultato eccezionale che avrebbe meritato maggiore diffusione nell’opinione pubblica.

Come possiamo spiegare la capacità di resilienza delle cooperative?

Questi risultati sono però spesso sostenuti ipotizzando che dipendano dal diverso sistema valoriale delle cooperative, con una enfasi (eccessivamente) retorica. Più semplicemente riteniamo che le cooperative (specie di lavoro) usino in tempi di difficoltà il patrimonio accumulato in precedenza per sostenere il livello occupazionale il più a lungo possibile. In sintesi, sono portate a licenziare molto meno delle altre imprese. Lo strumento centrale di questa prassi è la ‘Riserva Indivisibile’, istituto che continua ad avere un ruolo centrale nella gestione cooperativa. Spesso viene interpretato come una manifestazione di altruismo, con cui una generazione di soci cooperatori rinuncia a distribuirsi gli utili maturati per lasciarlo in eredità alle generazioni successive (mutualità intergenerazionale, come è stata definita).

A nostro avviso l’interpretazione è più semplice: l’accantonamento a Riserva Indivisibile è il premio assicurativo che i soci sono disposti a pagare per dare maggiore stabilità e continuità allo scambio mutualistico (che in una cooperativa di lavoro significa rafforzare la stabilità e la sicurezza del posto di lavoro).

In questo caso la difesa dell’occupazione che le cooperative praticano dipende dalla loro disponibilità a sacrificare il patrimonio accumulato in passato. In situazioni di difficoltà l’impresa for-profit per salvaguardare il capitale sacrifica il lavoro, mentre la cooperativa sacrifica il capitale per salvaguardare il lavoro. È chiaro che nel medio periodo questa situazione non può durare, ma l’impatto immediato è positivo. Diversamente la teoria economica ritiene la prima scelta economicamente razionale e la seconda uno spreco. In questo caso è difficile dire dove arriva il giudizio scientifico e dove quello ideologico.

Che fine hanno fatto i Fondi mutualistici?

Nel 2012 ricorreva un altro avvenimento da ricordare: il ventennale dell’approvazione della L. 59/92 che prevedeva l’istituzione dei Fondi mutualistici, ai quali le cooperative devono versare il 3% degli utili annui per promuovere la cooperazione. Secondo nostre valutazioni i tre maggiori Fondi hanno accumulato non meno di 800 milioni di euro. Rendicontare l’uso di questi fondi sarebbe stato molto importante per promuovere la cooperazione. Per Coopfond (Legacoop) molte informazioni sugli investimenti realizzati sono disponibili on-line, mentre per gli altri Fondi si conosce ben poco.

Di questo anniversario se ne è ricordato Giacomo Bosi (università di Trento) in un agile volumetto edito da Il Mulino: Fondi Mutualistici. Una analisi giuridica ed economica. Il sottotitolo è accattivante, ma l’autore dedica poco spazio all’analisi economica, anche per via delle poche informazioni disponibili. L’autore non manca però di sottolineare come i Fondi più che alla promozione hanno cercato di imitare il ruolo di merchant bank (giudizio condivisibile).

Anche in questo caso si è persa una occasione (ma si può rimediare se ci sarà la volontà).

Una agenda per le cooperative

Di fronte a questo quadro è difficile capire perché l’Alleanza delle Cooperative Italiane non abbia cercato di avere una maggiore presenza. Indubbiamente i tre movimenti storici della cooperazione italiana hanno fatto un grosso passo in avanti dandosi una rappresentanza unica in sede istituzionale, ma ora dovrebbero cercare di proporre una agenda da sottoporre alle istanze politiche nel contesto dell’attuale confronto elettorale.

In ogni caso si dovrebbe insistere molto di più sul problema della capacità di resilienza delle cooperative.

Uno dei punti centrali emerso nel dibattito sulla crisi economica è l’accentuarsi delle diseguaglianze economiche, direttamente legato alla distribuzione dei diritti di proprietà. Una diversa distribuzione dei diritti di proprietà contribuirebbe ad una distribuzione più equa dei redditi.

In genere le ricette distributive proposte fanno riferimento pressoché esclusivamente alla redistribuzione per via fiscale, la quale incide però sul reddito, ma non sulla ricchezza.

In Italia la questione della proprietà dei lavoratori non ha mai acceso grandi dibattiti e non è mai andata oltre alla forma cooperativa, diversamente da quanto succede in altri paese, per esempio, con i piani di proprietà azionaria dei lavoratori (ESOP), incentivata anche fiscalmente.

Se non ricordiamo male, neanche durante la stagione delle privatizzazioni sono state avanzate proposte che andassero in questa direzione.

Nella passata legislatura furono avanzate diverse proposte in materia, poi riassunte in un unico documento preparato da P. Ichino, ma di cui si è perso traccia. Un timido accenno al tema è stato proposto nel recente accordo sulla produttività, ma in questa fase negativa dell’economia sembra poco credibile, al limite della provocazione.

Il problema però per noi è ancora tutto da esplorare per cui continuiamo a chiederci: perché la partecipazione dei lavoratori alla proprietà dell’impresa (non solo nella forma cooperativa) non fa parte dell’agenda di alcuna forza politica o sociale?

 

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