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Sulle spese militari, il governo dà i numeri

27/04/2012

Il governo Monti sostiene che in Italia la spesa per la Difesa è la più bassa d'Europa. Diverse fonti lo smentiscono: continuiamo a spendere ancora troppo per la guerra

“[....] Il potere si trova sempre in mano di coloro che
comandano l’esercito, e sempre tutti i capi del potere [...]
si preoccupano dell’esercito più che di ogni altra cosa,
e non piaggiano ch’esso solo, sapendo che se esso è
con loro, il loro potere è assicurato [.....]”.

Leone Tolstoj, Il regno di Dio è in voi

Nel documento sui cento giorni del governo Monti si sostiene che la spesa per la Difesa in Italia, in rapporto al Pil, è la più bassa d’Europa. Da un governo fatto di tecnici e professori ci si aspetterebbe, almeno, che sappiano “far di conto”. Invece in questo caso, come sul costo dei caccia-bombardieri F35 e sulle ricadute occupazionali del programma, stanno “dando i numeri”. Con un’operazione contabile che ricorda molto la “finanza creativa” con la quale si è portato il nostro debito pubblico al 120 per cento del Pil, nel documento si afferma – con “bocconiana” altezzosità – che le spese militari in Italia sarebbero solo lo 0,90 per cento del Pil contro una media Ue del 1,61 per cento.

Quale sia la fonte e il modello comparativo adottato non è dato saperlo. Possiamo, però, intuirlo e dare una “picconata” alla presunta serietà di questo governo, almeno in faccende militari. Questo numero magico (lo 0,9 per cento) non è nuovo. Lo stesso ammiraglio Di Paola, passato in tutta fretta dal comando della Nato al ruolo di ministro della Difesa, lo aveva usato in precedenti occasioni, per cercare che la scure del rigore non si abbattesse pesantemente sulle “alte uniformi” e sugli approvvigionamenti militari.

Peccato che sia proprio la Nato (e non Anonymous) a smentire quel numero. La Nato nel suo report, “Financial and Economic Data Relating to NATO Defence” pubblicato il 10 marzo 2011 e accessibile a chiunque, confronta la spesa militare dei paesi che partecipano all’Alleanza Atlantica dal 1990 al 2010. Ovviamente lo fa riclassificando i criteri contabili e gestionali di ciascun paese in modo che le voci di spesa incluse nell’analisi comparativa siano le stesse. Non c’è bisogno di avere un dottorato in Economia alla Bocconi per sapere che non si possono comparare “mele con pere”. La Nato per dare maggiore attendibilità al confronto tra i paesi, oltre a calcolare il peso delle spese militari sul Pil su base annuale, fa una comparazione dei valori medi in un arco temporale di cinque anni (vedere il grafico 1).

Che cosa è evidente dai dati forniti dalla Nato?

• La spesa militare in Italia in rapporto al Pil (a prezzi correnti) non è la più bassa dell’Unione Europea, come scritto nel documento ufficiale della Presidenza del Consiglio, “Governo Monti: attività dei primi cento giorni”. Non solo è maggiore del “magico” 0,9%, ma è superiore al dato di Germania e Spagna (per restare ai paesi territorialmente comparabili al nostro). È vero che Francia e Regno Unito spendono di più dell’Italia, ma non possiamo dimenticare che questi paesi, oltre ad essere membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, hanno propri arsenali nucleari i cui costi di semplice mantenimento e messa in sicurezza sono enormemente alti. Rimane la Grecia, il paese più spendaccione – in campo militare – dell’intera Ue in rapporto al proprio Pil. Non mi sembra, però, un caso virtuoso da prendere ad esempio per riformare il sistema di Difesa in Italia e ridurre il debito pubblico.

• Anche i dati per l’anno 2010 (i più recenti in ambito Nato) confermano che la spesa militare in Italia in rapporto al Pil (a prezzi correnti), pur escludendo la quota destinata all’Arma dei Carabinieri, non è la più bassa dell’Ue. L’Italia è al 1,4%, come la Germania e più della Spagna (1,1%), mentre la media Nato dei paesi europei è al 1,7% di poco superiore a quella italiana.

• Infine, se compariamo non i valori statici, ma il trend – cioè la variazione nel tempo – l’Italia è uno dei paesi europei che meno hanno ridotto il peso delle spese militari in rapporto al Pil nell’arco di venti anni: in Francia questo rapporto si è ridotto del 30%, in Germania del 38%, in Grecia del 28%, nel Regno Unito del 32%, in Spagna del 25%, mentre in Italia solo del 20%.

Se permangono dei dubbi sulle fonti, consiglio di verificare non il sito della Rete Italiana Disarmo, ma quello della Central Intelligence Agency (Cia). Nella sua pubblicazione “The World Factbook”, c’è l’elenco della spesa militare di ciascun paese (non solo Nato) in rapporto al proprio Pil. L’Italia – secondo la Cia – spende l’1,8% del proprio Pil.

Il dato curioso è che, mentre i valori per molti paesi sono aggiornati al 2009, quello dell’Italia è fermo al 2006. Non certo perché la Cia non ha accesso alle tabelle Nato. Più semplicemente perché non ha ritenuto corretto che dal 2007 la Nato non abbia più considerato le spese per l’Arma dei Carabinieri. Scelta alquanto discutibile fintanto che quest’ultima dipenderà dal ministero della Difesa e sarà impiegata in scenari di guerra, come i contingenti di Esercito, Marina e Aeronautica. Dello stesso parere è il Sipri (Stockholm International Peace Research Institute) – il prestigioso istituto svedese indipendente – che nel monitorare le spese militari nel mondo, secondo una metodologia corretta, include o esclude le stesse voci di spesa nei dati di ciascun paese. Nel recente rapporto appena pubblicato sull’andamento delle spese militari, il Sipri certifica che l’Italia ha speso nel 2010 l’1,7% del Pil, mentre la media nel periodo 2005-2009 era del 1,8%. È solo lo 0,2% in più dei dati Nato riportati nel grafico 1 (1,6%), ma un valore doppio rispetto a quello dichiarato dal governo italiano.

Com’è possibile un divario così ampio?

La ragione è semplice. Lo 0,9% è il risultato di una manipolazione contabile che sottrae dal calcolo delle spese militari le voci del bilancio del ministero della Difesa destinate alle pensioni provvisorie, alle funzioni esterne (es. l’impiego dei militari in interventi di protezione civile) e all’Arma dei Carabinieri (in totale più di un terzo del budget).

Bilancio della Difesa in Italia nel 2011 in milioni di euro in % su PIL

Funzione Difesa 14.360,2 0,895
Funzione Sicurezza Pubblica 5.769,9 0,359
Funzione Esterna 100,7 0,006
Trattamento di Ausiliaria 326,1 0,020
Totale 20.556,9 1,280

Fonte: Nota aggiuntiva allo stato di previsione per la Difesa per l’anno 2011

Lo 0,9% corrisponde, quindi, solo alla voce “Funziona Difesa”, cioè alle spese di personale, esercizio e investimento a bilancio del ministero della Difesa. Nel contempo le spese – pur espressamente militari – sostenute da altri dicasteri non sono calcolate. Lo 0,9% è, quindi, il risultato di una duplice operazione arbitraria e contabilmente scorretta: da una parte si sottraggono alcune voci di spesa, dall’altra non si sommano né il fondo per le missioni internazionali (1.640 miliardi di euro nel 2011) ascritto in bilancio al ministero dell’Economia e Finanze (Mfe), né i fondi ascritti al ministero dello Sviluppo Economico (Mse) per finanziare programmi di nuovi sistemi d’arma (2.248 miliardi di euro nel 2011). In realtà, computando correttamente tutte le spese correnti e in conto capitale, secondo la definizione di spesa militare del Sipri (escludendo la difesa civile e le spese correnti per attività militari pregresse come i benefici ai veterani), la percentuale delle spese militari in Italia sul Pil nel 2011 è superiore a 1,5% e non dello 0,9% come sostiene il governo.

 

  in milioni di euro in % su PIL
Funzione Difesa 14.360,2 0,895
Funzione Sicurezza Pubblica 5.769,9 0,359
Funzione Esterna 100,7 0,006
Trattamento di Ausiliaria 326,1 0,020
Totale Bilancio della Difesa (- Funzione Esterna) 20.456,2 1,274
Fondo Missioni Internazionali (MFE) 1.640,0 0,103
Fondo per gli interventi agevolativi alle imprese (MSE) 255,0 0,015
Interventi agevolativi per il settore aeronautico (MSE) 1.483,0 0,093
Programma Fremm (MSE) 510,0 0,032
Totale Spese Militari in Italia nel 2011 24.344,2 1,517

Fonte: Nota aggiuntiva allo stato di previsione per la Difesa per l’anno 2011 + Finanziaria 2011 Legge n° 220/2010

Non si tratta, qui, di discutere sulla necessità di una riclassificazione della spesa militare per arrivare ad una definizione standard comunemente accettata a livello internazionale. Ciò che non si può accettare è l’operazione strumentale con cui il governo italiano, mentre arbitrariamente esclude dal calcolo delle spese militari la voce pensioni e non include i fondi delle missioni internazionali, lo fa solo per l’Italia e non per gli altri paesi, finendo per comparare “mele con pere”.

Grafico 1

 

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