Ultimi articoli nella sezione

08/12/2015
COP21, secondo round
di Lorenzo Ciccarese
03/12/2015
Lavoro, la fotografia impietosa dell'Istat
di Marta Fana
01/12/2015
La crisi dell’università italiana
di Francesco Sinopoli
01/12/2015
Parigi, una guerra a pezzi
di Emilio Molinari
01/12/2015
Non ho l'età
di Loris Campetti
30/11/2015
La sfida del clima
di Gianni Silvestrini
30/11/2015
Il governo Renzi "salva" quattro istituti di credito
di Vincenzo Comito
alter
capitali
italie
globi

Contro il razzismo, torniamo umani

17/12/2011

I fatti di Firenze nascono da una cultura diffusa, che legittima atti discriminatori e razzisti. Serve una reazione pubblica chiara e un nuovo modello di cittadinanza

Scrivere dopo ciò che è successo a Firenze a soli sei giorni dai fatti Torino non è semplice. L’emotività non è di solito una buona compagna per chi cerca di leggere con lucidità ciò che accade in questo paese, martoriato da venti anni di egemonia berlusconiana e di retoriche leghiste e travolto da una crisi economica e sociale alla quale il governo cosiddetto tecnico non sembra fornire risposte capaci di rispondere ai bisogni sociali della maggioranza della popolazione. Torneremo dunque a riflettere con più calma su ciò che è accaduto.

Ma a Firenze il 13 dicembre è successo un fatto senza precedenti, che chiede una reazione pubblica, diffusa, immediata, chiara, non ambigua: nel cuore della Toscana rossa un uomo di idee dichiaratamente fasciste ha ucciso Mor Diop e Samb Modou e ferito altre tre persone, Moustapha Dieng, Sougou Mor, Mbenghe Cheike. I dettagli che man mano i quotidiani ci forniscono e le testimonianze raccolte ci dicono che la strage è stata preparata con cura. Una persona che uccide in questo modo non può che essere (anche) folle. Ma non sta qui il punto. Né la questione può essere ridotta al problema, assolutamente rilevante e prioritario, di far sì che trovino finalmente applicazione le norme previste dalla legge Mancino che puniscono il reato di istigazione all’odio e l’apologia del fascismo.

È dal 2007 che l’associazione Lunaria, insieme a molti attivisti e intellettuali antirazzisti, sta denunciando il processo di legittimazione culturale, sociale ma soprattutto istituzionale del razzismo nel nostro paese, documentandolo rigorosamente. Gli attori politici responsabili di questo processo non sono (purtroppo) semplicisticamente riconducibili solo alle forze politiche di destra.

Non stiamo qui a soffermarci per l’ennesima volta su quel che è successo a partire dalla primavera del 2007 con la pubblicazione in prima pagina su uno dei principali quotidiani di una lettera dal titolo Sono di sinistra, ma sto diventando razzista, la reazione istituzionale all’omicidio Reggiani, quando ancora il governo era di centro-sinistra, le dichiarazioni irresponsabili di un ben noto sindaco democratico sulla propensione “naturale” alla devianza che avrebbe caratterizzato uno dei gruppi più numerosi di migranti presenti nel nostro paese, quello rumeno, e così via.

Per lungo tempo il discorso egemone in materia di immigrazione è stato quasi esclusivamente quello sicuritario. La formula dei Patti per la sicurezza e dei cosiddetti “campi di solidarietà”, definizione truffaldina per denominare i campi rom, non sono opera della destra.

Dunque, come minimo, la cultura più o meno esplicita di stigmatizzazione dei migranti e delle minoranze rom ha interessato trasversalmente tutte le forze politiche. E chi, all’interno dei partiti democratici, ha cercato davvero di correggere il tiro è rimasto sino ad oggi in minoranza. I media mainstream non hanno certo aiutato a invertire la rotta. Tant’è che sulle pagine di un quotidiano nazionale, il Corriere della sera, ha potuto trovare spazio un “commento” sui fatti di Firenze che non possiamo che definire indecente. Il commento firmato da Pietro Grossi il 14 dicembre sulle pagine fiorentine del quotidiano, risuscita tesi che conosciamo bene. La principale è quella del caso isolato. Grossi si affatica a dimostrare che “l’Italia non è un paese razzista”.

L’affermazione è priva di significato in sé: che cosa dovremmo intendere per “Italia”? i 60 milioni di cittadini italiani? Gli 8100 comuni che ne fanno parte? Affermazioni di questo tipo, in quanto generalizzate, non hanno senso. Ciò non toglie che sia indubbio e facilmente dimostrabile che il fatto di Firenze non è un caso isolato ma segue e si accompagna a centinaia di atti, comportamenti, violenze discriminatorie e razziste, alcune gravissime, che abbiamo documentato in questi anni.

Torniamo a ripeterlo: vi è stata una progressiva legittimazione di comportamenti intolleranti e razzisti, la destra ha costruito la propria fortuna elettorale sulla xenofobia, ma hanno speculato troppo spesso anche molti amministratori locali di sinistra.

Oggi, nel contesto di una crisi economica e sociale senza precedenti, il rischio che a pagare i tagli delle risorse pubbliche destinate alle politiche di welfare e inclusione sociale colpisca innanzitutto i migranti e le comunità rom è altissimo. Gli attori istituzionali hanno una responsabilità enorme nell’evitare che la competizione tra nativi e migranti nell’accesso ai diritti sociali di cittadinanza e nel mercato del lavoro si aggravi ulteriormente portando, in casi estremi, a fatti come quelli di Opera (2007), Ponticelli (2008), Rosarno (2010) e infine Torino e Firenze oggi.

La priorità è quella di tornare a parlare di diritti, di rimodellare il modello di cittadinanza, mettendolo al passo con la realtà di una società già da tempo meticcia, riconoscendo i cinque milioni di persone nate altrove che vi risiedono come proprie cittadine. Vi sono due proposte di legge di iniziativa popolare per la riforma della legge sulla cittadinanza e per l’introduzione del diritto di voto sulle quali la campagna “L’Italia sono anch’io” sta raccogliendo migliaia di firme: che il Governo e il Parlamento le facciano proprie, subito.

Vi è una legge, la Mancino, che punisce la propaganda razzista e l’apologia del fascismo: il Ministero dell’Interno si adoperi per favorirne l’applicazione, indagando sui movimenti, le organizzazioni, le associazioni, i siti internet che diffondono messaggi di odio, che propagandano la xenofobia e il razzismo.

Vi è un codice deontologico che gli operatori dell’informazione dovrebbero rispettare: l’ordine dei giornalisti ne imponga l’applicazione.

Vi è una responsabilità nostra, del movimento antirazzista: di fronte a fatti gravi come quelli di Firenze e di Torino, nessuno può tirarsi indietro e rinunciare a un’azione coordinata di denuncia e prevenzione delle violenze razziste, attivando vie legali e facendo ogni sforzo affinché la società italiana democratica e antirazzista diventi più visibile e incida sulle scelte istituzionali.

La città di Firenze, le sue istituzioni, i suoi cittadini hanno mostrato in questi giorni che gli anticorpi per rendere il nostro paese e le nostre città più umani ci sono. Partecipiamo in tante e in tanti alla manifestazione di oggi a Firenze, facciamo sì che questi anticorpi si estendano a tutte le altre città italiane.

La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui

Commenti

eZ Publish™ copyright © 1999-2015 eZ Systems AS