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Un accordo di pochi che colpisce tutti

19/12/2009

Copenhagen, ultimo atto. Quello che ha chiuso il vertice non è un accordo, ma una truffa. Scritto in sedi ristrette, il testo finale non prevede impegni quantificati, dà pochi spiccioli e nasconde giochi poco chiari sui finanziamenti. Il pianeta può attendere

“Non è quello che tutti speravamo” ma “abbiamo un accordo che avrà comunque un effetto operativo”. Dev’essere persona ottimista, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, considerate le sue dichiarazioni davanti al non-accordo di Copenhagen. Per una persona che, come lui, diversi mesi fa s’è persino spostata alle Isole Svalbard, in pieno Oceano artico, per denunciare la realtà del cambiamento climatico, non dev’essere semplice arrampicarsi sugli specchi.

Perché questo non è un accordo. E’ una truffa. Deciso da pochi, in un incontro con tanti esclusi giusto la notte prima, e con molti esclusi a partire da quei Paesi africani e quegli Stati insulari che hanno chiesto interventi urgenti per evitare il disastro ambientale, che si trasformerà in disastro economico e sociale. Un gentleman agreement che ha visto la presa d’atto dei membri della Conferenza, ma non una sua approvazione visto che non c’e n’erano le condizioni, talmente tanti e diffusi erano i dissensi.

Sul testo conclusivo non esistono impegni quantificati di taglio da parte dei Paesi industrializzati, si continua a parlare di 2°C di aumento della temperatura media, senza tenere in considerazione gli appelli a diminuire questo “tetto” a 1,5°C, se non in una possibile ed eventuale revisione dell’accordo nel 2015.

Altro scandalo. I finanziamenti. Si parla di due tranche, una di breve medio termine, di 30 miliardi di dollari all’anno per il triennio 2010-2012 per sostenere interventi di mitigazione ed adattamento in Paesi terzi. Meno di un decimo di quello richiesto dai Paesi del G77 solo che alcuni giorni fa. Con la nascita di un nuovo gruppo di Paesi, quello dei Paesi in via di sviluppo più vulnerabili, di cui non se ne capisce quali siano i confini e le caratteristiche.

 

Negli stanziamenti di lungo termine, i Paesi industrializzati si impegnano a mobilizzare 100 miliardi di dollari nel 2020 provenienti dalle più disparate fonti: pubbliche, private e, perché no, di finanza creativa.

 

Secondo il coordinamento Climate Justice Now! però le cifre proposte nasconderebbero manipolazioni, visto che una parte delle risorse potrebbero provenire dalla riallocazione di stanziamenti per l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (quindi soldi già esistenti e non nuovi), dai meccanismi di Carbon trading di cui abbiamo potuto osservare la relativa inefficacia nell’abbattere le emissioni di gas serra. E da crediti concessi sotto forma di prestito.

E i precedenti certamente non aiutano, se pensiamo al fondo su Aids, Tubercolosi e Malaria promosso nell’indimenticabile G8 del 2001 o gli impegni costantemente disattesi sul famoso ed irraggiungibile 0.7% di APS. Per non parlare degli Obiettivi del Millennio, oramai una favola.

A Copenhagen si è quindi consumato un brutto atto della commedia COP15, in cui si sono viste dinamiche molto più simili a quelle notate all’Organizzazione Mondiale del Commercio, come i gruppi informali di pochi che decidono a nome di tutti, che non in un ambito Nazioni Unite. O come i Paesi industrializzati che prendono impegni che puntualmente disattendono.

Nel momento in cui il non accordo veniva sostanzialmente sdoganato, il Congresso degli Stati Uniti approvava lo stanziamento di 626 miliardi di dollari per il Pentagono, 128 dei quali per finanziare le guerra ancora in atto, Iraq e Afghanistan e 2,5 miliardi per acquistare 10 nuovi Boeing C17 per il trasporto truppe, richiesti dal Pentagono.

 

* In diretta da Copenhagen www.faircoop.net/faircoop

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