Le proposte in ballo, le intenzioni del governo Usa, quelle del G20. Le linee di intervento su banche e finanza, a un anno dal grande crollo. In attesa dei fatti concreti
“…non permetteremo che si torni ai giorni dei comportamenti sconsiderati e degli eccessi senza limiti;…serve una riforma energica del sistema della finanza mondiale…" (B. Obama)
“…aspettiamoci dei grandi discorsi sulle paghe (dei manager bancari) e non molto di più dal prossimo incontro del G-20…” (The Economist, a)
“…la nuova regolazione (della finanza) sarà timida…e lascerà il sistema mondiale a rischio…” (T. Francis, P. Coy)
Premessa
Può essere importante cercare di fare il punto sulla potenziale riforma del sistema finanziario: se ne sono occupati in queste ultime settimane il governo americano, i ministri delle finanze del G-20, nonché il comitato di Basilea, mentre il tema dovrebbe essere al centro della riunione di fine settembre dei capi di stato dello stesso G-20. La questione è diventata anche incandescente per alcune dichiarazioni di Lord Turner, presidente dell’autorità britannica di controllo delle banche, nonché, almeno in parte, per quelle di Blankfein, della Goldman Sachs.
I punti principali di una possibile, adeguata, riforma
Da quando è scoppiata la crisi, la discussione a livello internazionale sugli eventuali caratteri di tale riforma è stata molto vivace. Alla fine, il dibattito, centrato soprattutto sul sistema finanziario statunitense e su quello britannico, ha ruotato intorno ad un certo numero di punti; si sono manifestate naturalmente delle divergenze anche molto rilevanti sulle varie questioni, in relazione anche alle diverse visioni del mondo dei molti partecipanti e ai vari interessi in gioco. Comunque, da parte di un importante numero di persone e di organismi che riflettono una linea di orientamento di tipo “keynesiano” o anche “radicale” è stato trovato un sostanziale accordo su molte delle idee in ballo.
Ricordiamo intanto come, in generale, si auspica da parte dello schieramento “riformatore” un ridimensionamento generale del settore finanziario rispetto a quello dell’economia reale, mentre si sottolinea parallelamente la necessità che la politica e la società mettano sotto controllo un settore che pretendeva di governare il mondo in piena libertà.
Per quanto riguarda i punti specifici su cui si è discusso, possiamo cercare di sintetizzarli al massimo, aggregandoli in tre categorie principali:
con riferimento al sistema bancario, una valutazione quasi unanime sottolinea come l’attuale sistema di remunerazione dei banchieri appaia viziato alla radice, con stipendi in genere troppo elevati, nonché con un sistema di incentivi che spinge le banche a prendere dei rischi eccessivi. Un grande consenso si è anche formato sulla necessità che il sistema di cartolarizzazione dei crediti sia rivisto, tra l’altro obbligando chi vuole vendere sul mercato un credito finanziario a trattenere presso di sé una percentuale del rischio relativo. Tutti o quasi sono d’accordo sul fatto che il sistema di regole di Basilea II deve essere cambiato, in particolare obbligando le banche a darsi un più elevato livello di mezzi propri e a mettere inoltre sotto controllo anche la liquidità degli istituti, oltre che la loro solvibilità; in questo ambito, si sottolinea la necessità di mettere a punto dei meccanismi anticiclici, obbligando in particolare le banche ad accrescere il loro capitale nei momenti di boom.
Un’altra questione molto importante, forse decisiva, fa riferimento al fatto che molte banche sono diventate troppo grandi come dimensione e che, con la loro stessa mole, esse potrebbero creare danni enormi in caso di difficoltà, difficoltà tanto più probabili in quanto tali giganti appaiono a molti di per sé ingovernabili, oltre che incontrollabili; si discute quindi della possibili modalità di riduzione delle loro dimensioni. In tale ambito, da più parti si sottolinea la necessità che i grandi istituti programmino sin da ora le azioni da mettere in campo in caso di difficoltà finanziarie gravi. Parallelamente, si avanza comunque l’esigenza di porre delle barriere tra i vari settori dell’intermediazione finanziaria, ad esempio con il ripristino negli Stati Uniti del Glass-Steagall Act, oppure creando delle cosiddette narrow bank, che svolgano soltanto le attività finanziarie tradizionali, abbandonando quelle più rischiose. Alcuni insistono, ma si tratta di voci relativamente isolate, per considerare il settore finanziario come un servizio primario di pubblica utilità, con la conseguente necessità di una sua nazionalizzazione, mentre altri sottolineano la necessità di rivedere il paradigma dell’indipendenza delle banche centrali dal governo, che ha prodotto in realtà come conseguenza la dipendenza degli stessi organismi dal mercato finanziario. Tutti infine chiedono una maggiore trasparenza informativa da parte del settore. Per quanto riguarda poi alcune strutture particolari, quali gli hedge fund e i fondi di private equity, alcuni auspicano, oltre che un loro maggiore controllo, anche un marcato ridimensionamento delle loro operazioni.
Rispetto a questo vasto programma di riforma, si può dire che, almeno sino ad oggi, le realizzazioni concrete sono state molto ridotte e questo nonostante che sino a non molti mesi fa tutti, a partire dalle stesse banche sotto accusa, si aspettassero invece dei interventi radicali. Più pudicamente, D. Strauss-Khan, direttore del FMI, ha affermato di recente che il ritmo con cui si stanno portando avanti i cambiamenti necessari appare “troppo lento” (Faujas, 2009).
Che invece ci sia necessità di forti riforme è confermato molto di recente anche dai già accennati interventi di Lord Turner e di Blankfein. Il primo ha dichiarato che il settore finanziario è diventato troppo grande per la società, che le sue dimensioni sono cresciute sino ad un livello che va al di là di quanto appare socialmente accettabile e che esso è ormai un fattore destabilizzante per l’economia del paese. Blankfein ha attaccato alcune pratiche retributive e i sistemi contabili delle banche, mentre ha affermato più in generale che Wall Street ha permesso che si mettesse in piedi un sistema nel quale la crescita e la complessità dei nuovi strumenti finanziari superano di gran lunga la loro utilità economica e sociale (The Economist, 2009, b).
Le recenti proposte ufficiali di intervento
A livello operativo, dopo mesi di sostanziale blocco decisionale, ufficialmente giustificato con la necessità impellente di “spegnere le fiamme”, sembra che ora si voglia metter mano almeno ad alcune azioni di riforma:
a) ha dato la linea il governo americano. A parte il discorso di Obama di metà settembre fatto davanti al Congresso, in estrema sintesi si può dire che, in documenti e dichiarazioni recenti, i rappresentanti Usa hanno intanto sostenuto che le imprese finanziarie dovrebbero mantenere in generale un più alto livello di capitale di quello attuale; inoltre, che i livelli di mezzi propri di ogni istituto dovrebbero essere ancora più elevati di quelli standard in relazione a quattro criteri: le dimensioni delle stesse banche, il livello del rischio sostenuto, la quantità dei legami con altre istituzioni finanziarie, il tipo di fonti di approvvigionamento del denaro cui esse fanno ricorso. Viene affermata anche la necessità di guardare alla liquidità delle banche, oltre che alla loro solvibilità.
Ricordiamo che già da qualche mese lo stesso governo ha presentato un progetto di riforma che prevede, tra l’altro, la nomina di un controllore del rischio sistemico del settore, maggiori poteri alla Fed per la supervisione delle entità di più grandi dimensioni, la creazione di un’agenzia di difesa dei consumatori, delle regole più restrittive per quanto riguarda i derivati. Va sottolineato che anche a livello di Unione Europea si sono messi a punto, negli ultimi mesi, dei progetti di riforma, che riguardano ad esempio i derivati e gli hedge fund, nonché il sistema degli incentivi per i manager bancari;
b) la riunione recente del G-20 a livello di ministri delle finanze ha confermato sostanzialmente la linea statunitense relativa alla necessità dell’aumento dei livelli di capitale delle istituzioni finanziarie, provvedimento che dovrebbe riguardare anche le attività fuori bilancio delle stesse banche; il progetto dovrebbe essere pronto operativamente per la fine del prossimo anno e dovrebbe comunque trovare la sua applicazione solo una volta passata la crisi, per non limitare in questo momento di difficoltà le capacità di sostegno del sistema bancario a quello produttivo. Inoltre, vengono previsti dei limiti alla distribuzione di dividendi agli azionisti delle stesse banche e anche al riacquisto di azioni proprie da parte degli stessi istituti. Va considerato comunque che americani ed europei non si trovano d’accordo sul metodo con cui applicare i nuovi principi e che comunque i rappresentanti del nostro continente appaiono in ogni caso più esitanti sulla questione. Vengono anche indicati dei principi per gli incentivi al management, ma il progetto appare comunque nettamente più blando di quello che avevano proposto la Francia e la Germania; in ogni caso, viene delegato all’innocuo Financial Stability Forum il compito di fissare le regole operative in proposito. Sono inoltre previsti dei limiti alle operazioni di cartolarizzazione anche se, anche in questo caso, non è ancora chiaro quali essi dovrebbero essere. Infine, si prevede che le grandi banche apprestino un piano che preveda cosa fare in caso di possibile chiusura di qualcuna di tali istituzioni per difficoltà sopravvenute;
c) per mancanza di spazio non analizziamo le decisioni del comitato di Basilea, riunitosi praticamente negli stessi giorni del G-20; ricordiamo soltanto che esso si trova nella sostanza allineato con le indicazioni del governo Usa e con quelle del G-20 sopra indicate.
Osservazioni finali
Che dire alla fine in merito a quanto sta avvenendo?
Possiamo intanto affermare in generale che le misure cui si sta pensando, senza essere irrilevanti, sono comunque abbastanza parziali rispetto a quanto sarebbe necessario. Si pensi soltanto come manca nella sostanza un adeguato riferimento al problema delle banche too big to fail o come le norme previste sui derivati appaiono in realtà molto blande.
Poi c’è il problema del passaggio dalle parole ai fatti. La gran parte delle misure entreranno in vigore, se mai lo faranno, soltanto tra qualche anno. Bisogna anche considerare le possibili resistenze dei parlamenti; negli Stati Uniti, nonostante l’apparente volontà di Obama, delle ipotesi di riforma presentate qualche mese fa non si discute ancora al Congresso, dove molti umori, anche in campo democratico, sono molto agitati; la strada appare tutta in salita.
Tra l’altro, le grandi banche hanno rialzato la testa e stanno cercando, con un certo successo, di spegnere o almeno di moderare le eventuali velleità politiche che mirino a disturbare il loro attuale modus operandi.
Per altro verso, come sottolinea ad esempio un articolo dell’Economist (The Economist, 2009, a) non è affatto chiaro quanto i provvedimenti saranno veramente restrittivi, con diversi soggetti che danno interpretazioni molto variabili delle singole norme previste. Per quanto riguarda poi in specifico i livelli dei mezzi propri delle banche, a seconda di come le regole contabili per la valutazione delle attività di bilancio saranno configurate, il livello di capitale degli istituti potrà variare enormemente. C’è poi, ovviamente, la possibilità che le banche, richieste di alzare il livello dei mezzi propri, tenderanno a prendersi maggiori rischi per mantenere certi livelli di redditività, o che cercheranno di evadere le regole. Apparirà necessario quindi mettere in campo una elevata volontà regolatoria ed esercitare poi efficaci controlli, cose di difficile realizzazione nella attuale situazione.
Alla fine sembra plausibile che i risultati ottenuti nel giro di qualche anno saranno modesti e che il sistema bancario occidentale si ritroverà con la gran parte dei problemi posti dalla crisi ancora non risolti, anzi per alcuni aspetti aggravati.
Testi citati nell’articolo
- Faujas A., Qui remplacera le consommateur américain pour tirer la crossance?, Le Monde, 12 settembre 2009
- Francis Th., Coy P., No big fix for global finance, Business Week, 21 settembre 2009
- The Economist, What next?, 10 settembre 2009, a
- The Economist, Rearranging the towers of gold, 10 settembre 2009, b
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