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Alta velocità, quanto ci costa il nodo fiorentino

23/04/2009

Due tunnel sotto Firenze per far passare i treni veloci: come si è arrivati a scegliere la soluzione più costosa e meno conveniente dal punto di vista ambientale. Con appalti miliardari, a carico della collettività

Nel sistema nazionale dei treni ad Alta velocità uno dei nodi irrisolti è quello dell'attraversamento di Firenze, città collegata a Roma con la direttissima sin dagli anni '70 (fu la prima tratta veloce d'Europa), e che nei prossimi mesi vedrà inaugurare il tratto Alta velocità tra Bologna e l'immediata periferia nord (Castello). Nell'affrontare la progettazione del nodo fiorentino il problema da risolvere era trovare le modalità di attraversamento della città da parte dei treni veloci senza che questo incidesse sulla funzionalità complessiva della rete locale e passante.
Si è scelta la soluzione più costosa, più lunga da realizzare, con enormi impatti ambientali e molti rischi: due tunnel paralleli a binario unico, lunghi circa 7 km tra Campo di Marte e Castello, in buona parte situati sotto il tessuto urbano, con la necessità di realizzare una nuova stazione sotterranea. Una soluzione di cui il ministero dell’Ambiente nel parere di Valutazione di Impatto Ambientale del 1998 dice: “da un punto di vista funzionale si presta a diversi ordini di perplessità, in particolare per quanto concerne il bilancio fra risorse e tempi necessari alla realizzazione da un lato, e l’esiguità degli effetti attesi in termini di capacità ed efficienza dell’intero sistema ferroviario dall’altro”.
Alternative? C'erano, e ci sono tutt’ora: studi successivi (prof. M. Massa Università di Firenze, ing. V. Abruzzo pubblicato nella rivista Ingegneria Ferroviaria, per ultimo il Gruppo Tecnico formatosi presso il Dipartimento di Urbanistica dell’Università fiorentina) hanno dimostrato che in fregio al fascio di binari esistente in superficie c'è lo spazio fisico per aggiungere i due binari, con difficoltà limitate, e poca spesa. L’impatto sarebbe infinitamente minore, i cantieri molto più brevi e limitati alle aree ferroviarie, il rumore trascurabile per la bassa velocità. Inoltre ci sono 5 stazioni già presenti fra cui scegliere in base alla funzionalità e alla logistica. Ipotesi però mai valutata, perché nessun amministratore l’ha mai voluta prendere nella minima considerazione.
Ma torniamo al progetto di sottoattraversamento: quanto costa? Un appalto di 915 milioni, offerta vincente di un consorzio di cooperative (capofila Coopsette di Reggio Emilia, già partecipante al sistema tangentizio per la metropolitana milanese negli anni ‘90) con un ribasso del 24% (!), aggiudicato quindi a circa 700 MLN. Però l’amministratore delegato di Ferrovie, Moretti, già parla di 1,7 miliardi. Ma conoscendo il “sistema Tav” italiano è prevedibile con ragionevole certezza che neanche questa cifra sarà sufficiente. Risorse ingenti, sottratte a necessari interventi di ammodernamento e messa in sicurezza di tante parti della rete toscana e alla messa in opera dei dispositivi di sicurezza tutt’ora assenti su molte linee.
Ma quello economico non sarà il solo costo che dovremo pagare: la VIA conclusa con parere favorevole nel 1998 riguardava il progetto preliminare (diversamente da quanto stabilito dalla legislazione europea, nazionale e regionale in materia) quindi una base conoscitiva incompleta e una definizione progettuale non definita, con conseguente incertezza circa i possibili impatti e le relative mitigazioni: il Gruppo Tecnico formatosi presso l’Università di Firenze ha evidenziato le notevoli carenze, l’approssimazione, l’inadeguatezza degli studi. Del resto i diversi pareri rilasciati in occasione della VIA contengono una impressionante mole di prescrizioni, che costantemente richiedono approfondimenti delle analisi e delle soluzioni progettuali. L’impatto più preoccupante riguarda l’interferenza dell’opera con la falda con conseguente “effetto diga”: per lunghi tratti il manufatto intercetta perpendicolarmente la principale falda sotterranea, impedendone di fatto il naturale movimento (in corrispondenza della stazione si realizza una cortina continua impermeabile lunga circa 800 metri, che parte dal piano di campagna e scende per circa 45 metri, mentre la quota della falda è pochi metri sotto il livello del terreno). Quindi è di cruciale importanza, per evitare conseguenze disastrose, che siano messi in opera dispositivi che consentano alle acque sotterranee di mantenere il loro movimento. Ma “quali” dispositivi? E funzioneranno? Anche in questo caso massima superficialità, se il parere deve prescrivere “che il progetto definitivo sia corredato di uno studio idrogeologico ove sia dimostrata l’efficacia ed il corretto dimensionamento degli interventi di mitigazione previsti (by-pass)”: evidentemente mancava qualcosa di essenziale. Eppure sulla base di quel progetto, approvato in una conferenza dei servizi il 3 marzo '99, con quel livello di approfondimento, si è messa in appalto l’opera.
Illuminante il passaggio successivo: in una nuova Conferenza dei Servizi, il 23 dicembre 2003, si approva, oltre al cosiddetto “scavalco” di Castello, il progetto definitivo della nuova stazione. Si immaginerebbe che, essendo un progetto definitivo, e sulla base delle prescrizioni date, molte delle incertezze e delle lacune evidenziate in precedenza siano state colmate. In realtà non è così, i pareri delle strutture tecniche regionali e dell’ARPAT non lasciano dubbi:
- problematiche idrogeologiche: “si ritiene che i risultati del nuovo modello, per i limiti in generale insiti nella modellazione idrogeologica, ma anche per certe assunzioni sui parametri di input, non possano essere considerati come valori di riferimento (…) Tanto meno possono essere considerati come risposta alla prescrizione regionale di valutazione dell’eventuale escursione delle falde acquifere”; “si rileva che non risulta presente un piano generale organico di monitoraggio della falda che invece era prescritto dal parere regionale. Né è stato presentato, come richiesto dal Ministero dell’Ambiente, un piano di rilievi per il monitoraggio continuo della risposta dei terreni”;
- rumore: “non sembra che il livello di valutazione della componente rumore abbia tenuto conto delle richieste di approfondimento avanzate in fase di pronuncia di compatibilità ambientale dell’opera”;
- considerazioni generali “il progetto presenta gravi carenze di valutazione degli impatti conseguenti alle opere descritte. Tali carenze non consentono una compiuta valutazione della correttezza delle soluzioni progettuali proposte. Qualora si ritenga di dover comunque approvare il progetto presentato si ritiene indispensabile prescrivere un successivo esame dei progetti esecutivi dell’opera e della fase di cantierizzazione (…) Impatto idrogeologico: la diversa assunzione (poco giustificata) riguardo alla permeabilità può condurre ad una sottostima dell’effetto barriera (…) Inquinamento atmosferico: si ritiene di dover per il momento considerare largamente insufficiente l’elaborato (…) Inquinamento acustico: viste le carenze rilevate si ritiene necessaria una progettazione acustica del cantiere”. (Arpat)
Quindi il progetto definitivo è più carente del preliminare! Ma nonostante tutto viene approvato: è la volontà politica di procedere che ha il sopravvento sulle valutazioni tecniche. E’ del tutto evidente che quest’opera si doveva approvare a tutti i costi. Tutte le condizioni e prescrizioni poste, mai affrontate da Rete ferroviaria italiana, vengono ancora rinviate ai progetti esecutivi, che però saranno valutati dall’Osservatorio Ambientale, organismo di nomina politica. Quale autonomia potrà avere, quale potere che non sono riusciti ad esercitare nelle fasi precedenti i settori regionali? Perché i progetti dovrebbero ora rispettare tutte le prescrizioni inutilmente date nel tempo, e quali reali garanzie possono avere i cittadini?
Veniamo alla cantierizzazione, destinata a durare, se tutto va bene, un decennio.
Rumore, emissioni in atmosfera, polveri fini, vibrazioni: l’impatto sul tessuto urbano circostante sarà pesantissimo, e tutt’ora sconosciuto o sottostimato. La enorme mole di materiale di scavo (3.200.000 mc) e di materie prime da far giungere in cantiere (1.700.000 mc di inerti, 340.000 t di cemento, 100.000 t di acciaio) doveva essere movimentata, secondo il progetto autorizzato dalla VIA, esclusivamente per ferrovia. Invece veniamo a conoscenza direttamente da RFI che è previsto un intenso traffico pesante in entrata e in uscita dai cantieri, tutto su viabilità ordinaria con centinaia di camion giornalieri, che interesserà l’intera città, con conseguenze gravissime sul traffico e sull’ambiente. Tale programma risulta approvato dal Comune e dall’Osservatorio Ambientale, in palese contrasto con il progetto che a suo tempo è stato sottoposto a VIA. Come a dire che RFI, Comune e Osservatorio hanno compiuto atti illegittimi.
Nessuna lezione è stata evidentemente tratta dal disastro provocato dal passaggio dell’Alta velocità in Mugello: per parlare solo dell’impatto sulla risorsa idrica, 57 km di fiumi completamente inariditi, altri 24 km con diminuzione sensibile della portata, la scomparsa di 67 sorgenti, 37 pozzi e 5 acquedotti privati. E’ stato calcolato che dall’inizio dei lavori di scavo delle gallerie è andata persa dalle falde, anche profonde, una quantità di acqua pari a tre volte la capacità dell’invaso di Bilancino. Tutto questo in una zona di pregio ambientale, caratterizzata da una attività agricola di alta qualità. E il tutto, come emerso dal processo appena concluso con numerose condanne, preoccupantemente simile alla vicenda fiorentina: conferenze dei servizi, protocolli di intesa, alla fine è sempre la volontà politica che prevale sulle considerazioni tecniche. E’ sconcertante il dato di fondo, lo scenario che si intravede: le procedure dell’Ente pubblico, le verifiche tecniche, che dovrebbero essere supporto alla decisione amministrativa, vengono piegate e forzate a giustificare a posteriori (anche quando proprio emerge il contrario) la decisione, che a questo punto appare per niente trasparente ed evidentemente motivata da fattori che non sono conosciuti e sono estranei al “normale” processo istituzionale e democratico. Perché si è tollerato che in Mugello si aprissero gallerie senza alcuna garanzia, con pareri tecnici che testimoniavano la superficialità degli studi, e neanche di fronte al puntuale e precoce presentarsi di eventi disastrosi si è pensato di rivedere gli assunti progettuali, ma si è pervicacemente andati avanti? Perché, quando tutti gli studi e tutti i pareri dicono di grandi criticità e rischi, non è mai stato messo in dubbio il passaggio in sotterranea sotto la città di Firenze?
A questo dobbiamo aggiungere lo scarso grado di diffusione e di informazione che accompagna questi progetti. Nessuna discussione pubblica, coinvolgimento dei cittadini, neanche elementare informazione. Evidentemente quando si parla di Grandi Opere, il dato tecnico e la partecipazione dei cittadini sono visti come impedimenti fastidiosi. E’ il tributo al progresso e allo sviluppo, qualsiasi cosa stia dietro queste parole ormai vuote, troppo spesso coincidenti unicamente con gli ingenti interessi ora di Impregilo, ora della Coopsette o della CMC, ora di altri grandi operatori.
Possiamo concludere con le parole della requisitoria del pubblico ministero Tei al processo per i disastri del Mugello: “ Qui il vetero ambientalismo non c’entra niente. Quest’opera è stata approvata con una logica vecchia: si fa quel che si deve fare e poi i costi ricadranno chissà su chi e chissà quando, e chissà per quanto; andiamo avanti comunque. Decisa la compatibilità politica ed economica della tratta Firenze – Bologna, è un dato di fatto che il livello di attenzione ai diritti di ciascun privato e della collettività è stato pari a zero.”

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