La buona educazione/Non si garantiscono gli investimenti necessari a livello centrale e si lega tutto alla capacità di ogni singola scuola di rendersi appetibile agli interessi dei privati
In questi ultimi mesi il Premier Matteo Renzi ha girato il Paese evocando la rivoluzione che il Governo avrebbe operato sulla scuola. Chi ha provato a porre delle critiche alle linee guida è stato celermente tacciato come conservatore, “squadrista”, ancorato ad una vecchia idea di scuola prigioniera delle corporazioni. Di primo acchito le piazze studentesche autunnali e poi quelle primaverili, come quella del 12 marzo, sembrava non fossero riuscite ad ampliare l'arco del dissenso. Poi è arrivato il Ddl, ben peggiore delle 136 pagine di proposte in carta patinata messe a consultazione. Un ddl scritto male, tutto improntato ad una riorganizzazione in chiave competitiva e premiale. Le piazze e l'adesione massiccia allo sciopero generale del 5 maggio hanno palesato finalmente la riuscita di un difficile processo di disvelamento del progetto neoliberale che ha guidato le intenzioni del Governo. Quest'ultimo ha subito provato ad aprire alle modifiche al ddl, ma leggendo gli ultimi emendamenti approvati in VII commissione si rimane sbalorditi di fronte al tentativo dei parlamentari PD di depotenziare il dissenso con degli emendamenti di forma e poco o nulla di sostanza. Permane un impianto fondato sulla valutazione e sul merito utilizzati come strumenti di feroce selezione, un potenziamento del ruolo manageriale su più fronti del Dirigente favorendo di fatto i clientelismi, la centralità del territorio e dei redditi delle famiglie nella determinazione della qualità di ogni singola scuola. Non si garantiscono gli investimenti necessari a livello centrale e si lega tutto alla capacità di ogni singola scuola di rendersi appetibile agli interessi dei privati e alle esigenze delle aziende della porta accanto. Sarà legittimato pienamente un sistema binario diviso tra scuole di qualità e scuole “parcheggio” o di serie B. Sul fronte lavorativo si supera definitivamente ogni margine di contrattazione a favore della chiamata diretta, mentre sul fronte della democrazia interna si rischia l’annientamento di ogni forma di potere, anche consultivo, di tutte le componenti della scuola. Evidentemente lo sciopero del 5 maggio non è bastato e risulta stucchevole la falsa apertura messa in campo dal Pd in queste ultime ore. La strategia ancora una volta si conferma quella di dividere il fronte dell'opposizione, ascoltando magari qualche rivendicazione studentesca sull'alternanza scuola lavoro e sul diritto allo studio, procedendo però con forza sul mantenimento dei poteri dei dirigenti a sfavore della dignità del corpo docente. Dopo la contestazione colorata dell'UdS, della Rete della Conoscenza e di Link di fronte alla sede nazionale del Pd, in tanti si sono affrettati a rimarcare la sostanziale apertura del processo. “Diteci quali emendamenti inserire per dar voce alle vostre rivendicazioni”, così ha esordito il Pd nel corso dell'incontro con le associazioni studentesche nel giorno successivo allo sciopero generale. Fortunatamente in pochi oggi si son dimenticati della pessima gestione democratica della riforma messa in campo negli ultimi mesi. Non si può ragionare su qualche “aggiustamento”, non si può legittimare la visione corporativista che si accontenta del dito senza scorgere la luna. O si blocca il ddl, riaprendo il dibattito democratico attorno ai nodi cruciali, o pensare che il movimento studentesco si possa arrestare in cambio di qualche briciola risulta l'errore più grave che ora si potrebbe compiere. Il 12 maggio studenti e docenti bloccheranno nuovamente le scuole per boicottare gli Invalsi e costruire una nuova giornata di dissenso e proposta alternativa a partire dalle proposte contenute ne l'Altra Scuola.
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