Abbiamo appreso che anche l’Italia si adeguerà all’Europa, secondo l’indicazione dell’Eurostat, nel considerare nel computo del Prodotto Nazionale Lordo (PIL) le attività illegali come il traffico della droga, il contrabbando, la corruzione e la prostituzione.
Dopo aver già inserito, a suo tempo, la stima dell’attività in nero (sommerso). Il “drogaggio” (è il termine giusto) del PIL ci permetterà di rispettare con meno difficoltà gli impegni presi in Europa. Tanto che la presentazione del DEF (Documento di Economia e Finanzia) è stata spostata ad ottobre, dopo il suddetto ricalcolo.
Naturalmente, anche la scelta europea (come se antecedentemente non esistesse la criminalità e avendo sinora imposto politiche restrittive che si sarebbero evitate se quel riconoscimento fosse avvenuto prima) è probabilmente dettata dalla ipocrisia tecnocratica di concedere una maggiore elasticità rispetto a quei parametri e non ammettere la loro impraticabilità e inconsistenza scientifica, come ormai assodato. Un “pitagorismo” economico politicamente molto utile per pretendere riforme di stampo liberistico e antipopolare imposte dai circoli finanziari e dai politici europei a loro subalterni, responsabili della stagnazione decennale e della recessione in tutta Europa.
Oltre a distrarre l’attenzione dalla causa più profonda dell’attuale crisi, non solo economica, da ricondurre innanzitutto alla “iniqua e arbitraria distribuzione del reddito e della ricchezza” (Cfr. J.M. Keynes).
A suo tempo Bruno De Finetti, un grande matematico che si intendeva anche di economia, parlava di Prodotto Interno Lordo nel senso di “sporco”. Si riferiva al fatto che nel suo computo vengono considerate in modo positivo transazioni socialmente e umanamente dannose per la comunità come le spese in armamenti, quelle causanti l’inquinamento ambientale e territoriale (a cui andrebbe aggiunto quello finanziario, non meno pericoloso, come ricordava il suo amico Federico Caffè).
Ma neppure De Finetti avrebbe immaginato che il “lordo” sarebbe diventato “lordissimo”! E tanto meno il povero Adamo Smith che era, prima che economista, docente di diritto e filosofia morale. Il PIL – come è noto – deve dar conto del valore del flusso annuale di beni e servizi prodotti che vanno ai consumi ed eventualmente ad accrescere la ricchezza di un paese (per la cui definizione non si può evadere da giudizi di valore espressi democraticamente). Ma se si considerasse il degrado ambientale, territoriale e del patrimonio artistico grazie proprio agli speculatori e alle mafie, un conto patrimoniale (che non viene effettuato) constaterebbe che la ricchezza del Paese sarebbe da molti anni in declino.
Non tutti sanno (o ricordano) i limiti di contabilizzazione del Prodotto lordo (che diventa “netto” per gli economisti quando dal “lordo” si sottraggono gli ammortamenti, cioè il consumo del capitale). In realtà questo considera soprattutto le transazioni ufficiali sul mercato, e procede a imputazioni (come nei servizi pubblici imputati al costo e cioè sostanzialmente in base alle retribuzioni dei dipendenti pubblici a prescindere dall’effettiva produttività) e con non semplici stime per le altre (come il “sommerso” e oggi con le attività illegali). Scherzosamente è stato detto che se un economista sposa la sua governante il PIL diminuisce (della sua paga). Ma anche le transazioni ai prezzi di mercato non considerano la loro scarsa significatività per la società considerata come un tutto. A seguito del crescente grado di monopolizzazione, dei fenomeni indotti di psicologia di massa, della già ricordata presenza delle molte esternalità negative. Né vanno dimenticati gli effetti distorsivi dovuti alla stessa iniqua distribuzione del reddito e della ricchezza.
Così che la valutazione del PIL è da effettuare più sull’ordine di grandezza e dei suoi andamenti tendenziali, compresi i suoi principali componenti, che nei decimali di punto. Sono cose note agli esperti ma solitamente dimenticati anche dagli stessi quando (dis)informano il pubblico.
Ma dopo le sofisticate, recenti elaborazioni di Stiglitz, Sen, Fitoussi (nel rapporto Sarkozy) per rendere più significativo il PIL, da implementare anche con altri indicatori sociali, la scelta di cui parliamo è veramente paradossale. Mai come questa volta l’economia si è dissociata ufficialmente dalla morale e dal diritto.
Vale dunque ancora l’avvertimento di Federico Caffè, nel commentare il premio Nobel a Richard Stone, uno dei pionieri moderni della contabilità nazionale, sul “lavoro da compiere per ridurre i divari tra le pluralità (o schizofrenie) delle etiche statistiche” [1].
Ma c’è inoltre ancora un grave danno: quello di gettare discredito nei confronti di un’attività come quella delle rilevazioni statistiche e dei conti nazionali che sono indispensabili per azioni di consapevole politica economica e per una corretta informazione necessaria per l’esercizio democratico del cittadino. Per non parlare ovviamente dell’offesa ai tanti che hanno sacrificato la vita e tuttora la mettono in pericolo per combattere quelle attività e dalla cui sconfitta ci dovremmo avvalere per accreditarci false ricchezze e povertà morali.
Non si era detto che le attività illegali e criminali rappresentano un danno e un inquinamento per l’economia e lo sviluppo (civile)? Ecco perché dovrebbero essere innanzitutto gli economisti e l’ISTAT stesso, che ha una ben diversa tradizione, ad elevare la protesta in sede europea [2].
Sulla stima quantitativa della criminalità c’è già chi si lamenta per un non adeguato riconoscimento della “virtù” patria, che meriterebbe ben più del 2% del PIL che sembra vogliano riconoscerci: solo circa 30 miliardi, un vero affronto alle nostre organizzazioni criminali e quindi benemerite che sono anche – non dimentichiamolo – esportatrici nette (in questo caso al netto delle importazioni di reato) e quindi creatrici di “valore criminale” in Europa e ben oltre.
Questa, dunque, “èlavoltabuona” per “battere i pugni” in Europa!
Tra le condizioni richieste per “contabilizzare” il reato, ci sarebbe però quello della consensualità tra i rei, rimanendo quindi escluse le forme estorsive. Poco male, perché comunque saranno ricomprese le forme di associazione a delinquere (che moltiplicano il business e il PIL), anche se per il diritto penale rappresentano un aggravante.
Spetterà comunque al Presidente del Consiglio risolvere i conflitti di interesse (si spera) tra i suoi ministri dell’Economia dell’Interno e della Giustizia.
Ma, per riprendere il caso dell’economista e della sua governante, perché non considerare allora, in alternativa, le prestazioni delle casalinghe (e dei casalinghi) in aumento anche grazie alla recessione e al declino del lavoro (di mercato) in assenza di proposte più intelligenti?
Sarebbe “lavoltabuona” per cacciare la Troika di torno!
[1] F. Caffè, “Richard Stone, l’economia e l’etica statistica”, il manifesto, 19 ottobre 1984.
[2] Come ad esempio sollecita Luigino Bruni: “Pil ‘nero’, fuori dal bene comune” , Avvenire, 29 maggio 2014 .
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