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Rio+20, la crisi è qui

21/06/2012

La crisi di cui si discute a Rio+20 non è lontana, ma connessa, a quella di cui si parla al G20: frutto di un modello insostenibile da un punto di vista economico, finanziario, sociale e ambientale. Serve un nuovo paradigma economico basato sulla sostenibilità

A distanza di 20 anni dal Earth Summit di Rio del 1992, il mondo economico e politico è tornato a incontrarsi nella stessa città per una nuova conferenza mondiale sullo Sviluppo Sostenibile, denominata Rio+20, con l'intento di rilanciare la lotta al cambiamento climatico e cercare nuove strategie per il perseguimento di uno sviluppo sostenibile a livello globale. Il concetto di sviluppo sostenibile, troppo spesso interpretato in un'accezione esclusivamente ambientale, suggerisce una prospettiva di lungo periodo che ha indotto i policy-makers a non ritenerlo una priorità assoluta nell'agenda politica, bensì un obiettivo che -seppur importante- è in qualche misura procrastinabile a fronte di problemi economici più pressanti. L'attuale recessione mostra, al contrario, che la sostenibilità dello sviluppo costituisce ormai un problema anche di breve periodo che incide in maniera preponderante sulla salute del sistema economico globale.

La crisi in corso è, infatti, l’esito inevitabile di un modello di sviluppo insostenibile dal punto di vista economico, finanziario, sociale e ambientale. Questo modello si è affermato progressivamente a partire dagli anni ’70 del secolo scorso in conseguenza del rapido diffondersi di una nuova strategia di politica economica e sociale basata sui principi neoliberisti.

La flessibilizzazione del mercato del lavoro e lo smantellamento del welfare state hanno accentuato considerevolmente la diseguaglianza nella distribuzione del reddito e della ricchezza, mettendo a repentaglio la coesione sociale e riducendo al contempo il potere d'acquisto delle classi medio-basse (insostenibilità sociale). Ciò ha provocato una riduzione tendenziale della domanda aggregata ed un conseguente rallentamento del tasso di crescita dell’economia nei paesi industrializzati (insostenibilità economica). La riduzione tendenziale della domanda aggregata è stata in parte compensata dal crescente indebitamento delle famiglie e da un impetuoso processo di finanziarizzazione che ha accresciuto progressivamente il contributo del settore FIRE (Finance, Insurance and Real Estate) alla formazione del reddito. Queste controtendenze non sono riuscite a mantenere il tasso di crescita tendenziale dei paesi industrializzati al livello del periodo di Bretton Woods (1945-1971), dominato da una politica economico-sociale di tipo Keynesiano, ed hanno messo a repentaglio la stabilità finanziaria del sistema. Le crisi finanziarie, del tutto assenti nel periodo di Bretton Woods, si ripresentano negli anni ’70 e incrementano progressivamente la loro frequenza, intensità e ambito spaziale fino a diventare globali nel primo decennio del millennio (insostenibilità finanziaria). Le politiche monetarie accomodanti perseguite dalla Federal Reserve con il governatore Greenspan (1987-2006) ed il suo successore Bernanke, presto imitate dalle altre banche centrali, sono riuscite a moderare gli effetti dell’instabilità finanziaria nel breve periodo favorendo però il diffondersi di bolle speculative sempre più significative e incontrollabili e trasferendo nel futuro i rischi connessi con la crescente fragilità finanziaria fino allo scoppio dell’ultima crisi di dimensioni epocali.

La gravissima e persistente turbolenza finanziaria innescata dalla crisi dei mutui subprime, e la conseguente recessione dell’economia reale, sono dunque l’effetto dell’interazione perversa dei diversi fattori di insostenibilità. A sua volta la crisi finanziaria ha deteriorato considerevolmente gli indici di sostenibilità sociale ed economica in un circolo vizioso che rischia di propagarsi per un lungo periodo di tempo. Ma la crisi non sarebbe forse neppure iniziata ed avrebbe comunque assunto modalità più moderate e controllabili se non fosse intervenuta in modo cruciale l’insostenibilità ambientale del modello di sviluppo. Quando la bolla speculativa immobiliare ha cominciato a sgonfiarsi nel 2006 negli Stati Uniti l’esito previsto dagli esperti era un “atterraggio morbido” con effetti limitati e controllabili, non fosse che nello stesso periodo si è verificato un forte incremento del prezzo del petrolio che da meno di 50 dollari al barile nel 2005 ha raggiunto il prezzo record di 145 dollari al barile nel luglio del 2008. Ciò ha provocato incrementi nel prezzo di produzione di tutti i beni, ed in particolare del cibo, generando un’inflazione da costi a cui le banche centrali hanno reagito con un significativo incremento del tasso di sconto. Il conseguente incremento nel tasso di interesse sui mutui ha messo a repentaglio la capacità di molti mutuatari di pagare le rate in scadenza provocando un processo precipitoso di vendite forzate che hanno fatto crollare i valori immobiliari e il prezzo dei derivati basati sui mutui (mortgage-based), innescando così il processo di contagio a tutto il sistema finanziario globalizzato.

Il picco nel prezzo del petrolio del luglio 2008 non dovrebbe essere interpretato come un fenomeno casuale, ma come l’indice di un sistema energetico insostenibile basato sull’uso dei combustibili fossili che hanno vincoli di scarsità stringenti e sono i principali responsabili dell’inquinamento atmosferico e del conseguente cambiamento climatico. Inoltre, anche tenendo conto delle fonti di petrolio non convenzionali, la maggior parte degli studi esistenti prevedono che l'offerta di petrolio sia destinata a raggiungere negli anni a venire il picco della cosiddetta curva di Hubbert per poi cominciare a decrescere nel tempo. In assenza di provvedimenti urgenti e massicci che accelerino la transizione ad un sistema energetico alternativo basato sulle fonti di energia rinnovabile, il prezzo del petrolio sarà presumibilmente un ostacolo insormontabile alla sostenibilità della ripresa economica in quanto il suo incremento tendenziale immediatamente accelererebbe a seguito dell’incremento di domanda effettivo e atteso; la conseguente inflazione da costi metterebbe a repentaglio la ripresa.

Non si può dunque pensare di uscire dalla crisi ed iniziare un nuovo ciclo di sviluppo senza modificarne radicalmente il modello in una direzione più sostenibile. Ciò richiede tra l’altro:

- un rafforzamento della sostenibilità sociale tramite politiche redistributive che riducano la disuguaglianza del reddito e la povertà

- un rafforzamento della sostenibilità finanziaria attraverso opportune misure di controllo e regolamentazione volte a ridurne la vulnerabilità e ridimensionare l'eccessiva influenza della finanza sulle decisioni economiche e sociali

- un rafforzamento della sostenibilità ambientale in tutte le sue dimensioni, con particolare attenzione all'accelerazione del processo di transizione verso un sistema energetico alternativo basato sull’uso di fonti di energia rinnovabili.

- un rafforzamento della sostenibilità economica abbandonando il feticismo della crescita del PIL e puntando alla crescita di indici di benessere più affidabili.

Questi obiettivi si possono ottenere con una strategia che favorisca una ripresa degli investimenti pubblici e privati in una direzione radicalmente diversa da quella che ha caratterizzato il modello di crescita senza sviluppo degli ultimi trent’anni.

È, dunque, necessario acquisire la consapevolezza che l'uscita dalla crisi richiede una profonda revisione del modello di sviluppo volta a rafforzarne la sostenibilità. Una consapevolezza che appare ancor più importante in questo momento, a pochi giorni dall'inizio della conferenza mondiale sulla sostenibilità di Rio+20 che è destinata a segnare (nel bene o nel male) un passaggio fondamentale a distanza di due decenni dall'Earth Summit del 1992. Tale consapevolezza è emersa anche dalla recente conferenza su “Happiness and Wellbeing: Defining A New Economic Paradigm”, tenutasi agli inizi di aprile alle Nazioni Unite per definire le linee guida in vista della conferenza di Rio+20, e nel Workshop preparatorio promosso da Jeffrey Sachs svoltosi il giorno prima alla Columbia University che ha visto la partecipazione di autorevoli studiosi e premi Nobel dell'economia quali Stiglitz, Akerlof e Kahneman. Il documento conclusivo preparato dai delegati presenti all'Onu e consegnato al Segretario generale delle Nazioni Unite, riconoscendo sia la necessità di “un nuovo paradigma economico basato sulla sostenibilità”, sia il crescente divario tra indicatori di crescita e felicità degli individui ed i limiti del Pil come indicatore di benessere, segna una svolta fondamentale nella visione economica globale e nell'impegno delle istituzioni verso la sostenibilità. Una rottura col passato decisa ed autorevole di cui abbiamo bisogno sia dal punto di vista economico, per invertire le previsioni pessimistiche che ostacolano la ripresa dell'economia, sia dal punto di vista politico, per avere il coraggio di cambiare rotta ed uscire da un mare in tempesta che non accennerà altrimenti a placarsi.

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