Il rapporto dell'Ilo conferma gli scenari prossimi di una ripresa senza occupazione. E i paesi dell'area europea sono quelli con i risultati peggiori
Secondo il World Economic Outlook del FMI, nel 2013 il reddito nei paesi sviluppati e nell’Unione Europea (UE) è cresciuto dell’1%, il 50% in meno dell’anno precedente; tuttavia mentre in quelli non europei, tra cui Stati Uniti e Giappone, si ha crescita modesta ma sopra l’1,5%, i paesi europei hanno crescita zero e l’eurozona crescita addirittura negativa (-0,5%), con l’Italia quasi fanalino di coda (-1,9%). La crescita dell’occupazione è stata modesta in questi paesi, in Europa negativa e nell’eurozona ancora peggiore.
Ciò ha portato ad innalzare ciò che l’International Labour Office chiama il “gap occupazionale”: la perdita cumulata di posti di lavoro rispetto alla situazione pre-crisi. Dalla crisi del 2008, soprattutto i paesi europei sono stati investiti dalla double dip recession dopo la debole ripresa del 2010, aggravata dalle politiche fiscali restrittive adottate, che ha accresciuto la distanza tra reddito prodotto e reddito potenziale, deteriorando anche quest’ultimo dopo sei anni di depressione. Con la crisi, i paesi europei hanno perso circa 2,5 punti percentuali di reddito, e 3 quelli dell’eurozona; più pesante di 1 punto è stata la perdita occupazionale. La disoccupazione è arrivata alla soglia dei 27 milioni nell’UE nel 2013, di cui poco più di 19 milioni sono attribuiti agli effetti della crisi (EC, 2014, pp.34-36).
Le previsioni per i prossimi anni così non sono favorevoli, il gap occupazionale è dato in crescita: da 62 milioni di persone del 2013 ad 81 nel 2018 a livello globale. Stima l’ILO nel suo ultimo Global Employment Trend 2014 che il tasso di disoccupazione non si ridurrà ed i disoccupati aumenteranno, globalmente di 15 milioni nello scenario più favorevole, generando una differenza di circa 45 milioni rispetto all’anno pre-crisi 2007. Nello scenario peggiore, di minor crescita del reddito, il gap aumenta a 50 milioni di disoccupati, con effetti concentrati nei paesi sviluppati e nell’UE.
È in questa area che si ha il peggio: il tasso di disoccupazione raggiunge oggi l’8,6%, contro il 5,8% del 2007. Ma sono i paesi europei che soffrono di più, con un tasso dell’11%, 4 punti percentuali sopra il livello del 2007 (EC, 2014). Al contempo è elevata ed in crescita la persistenza della disoccupazione: la quota di persone con oltre 12 mesi di disoccupazione alle spalle è circa il 40% in Europa, il 30% negli Stati Uniti, ma supera il 50% in Italia, e ciò riduce la probabilità di trovare lavoro, abbassa la propensione a rimanere sul mercato, distrugge abilità e competenze, creando la trappola della disoccupazione, chi ci entra non ne esce. La Germania ha invece ridotto tale quota nella crisi, dal 55% al 45% circa. La crisi appare poi aver grandemente colpito i giovani sul mercato del lavoro. Nei paesi sviluppati ed in Europa il tasso di disoccupazione giovanile (15-24 anni) è arrivato al 20%, a cui occorre aggiungere i Neets che mostrano una crescita analoga, con l’Italia, dopo la Spagna, nella peggior posizione europea, con una quota di Neets del 24% tra i giovani 15-29 anni. Tra i giovani 15-24 anni presenti sul mercato del lavoro nel 2013 la disoccupazione in Italia ha superato il 40%, contro una media nell’eurozona (e nella UE) di poco meno del 25% circa; rispetto al 2007 il tasso italiano è raddoppiato, quello dell’eurozona e dell’UE salito di 10 punti percentuali. Gli altri paesi non hanno dinamiche molto differenti, alcune molto peggiori, Spagna e Grecia, ma solo la Germania si distingue negli ultimi anni per un andamento opposto, mentre la sua situazione era molto peggio prima della crisi, dal 12% è scesa al 7,5%. Dinamiche divergenti quindi tra i paesi dell’eurozona, esito anche delle politiche adottate: prima della crisi la Germania non ha rispettato i vincoli europei sostenendo la crescita con deficit ben superiori al 3% del Pil, dopo la crisi gli altri paesi sono stati vincolati all’austerità espansiva. Le divergenze riguardano l’area del sud Europa distinta da quella del nord, nell’eurozona: il tasso di disoccupazione è al 17% al sud, 7% al nord; il tasso di disoccupazione è attorno al 35% al sud, 15% al nord; la quota dei Neets è sopra il 20% al sud, attorno al 10% al nord. Questi gap non erano così consistenti prima del 2008 (EC, 2014, pp.22-23).
Le previsioni dell’ILO al 2018 sono pessime per l’occupazione. La crescita del reddito è stimata nel periodo 2014-18 nei paesi sviluppati ed in Europa al 2,5% annuo, ma l’occupazione cresce solo dello 0,5%. Essa si concentra soprattutto nella fascia adulta della popolazione, mentre i giovani rimangono esclusi anche a seguito della crescita del mismatch tra le competenze offerte e domandate (ILO, 2014, pp.34-36). Quindi una ripresa senza occupazione. E che discrimina tra generazioni. Sulla disoccupazione l’ILO stima che mentre i paesi industriali non europei riducano la disoccupazione, quelli europei l’aumentino ed il tasso di disoccupazione non migliori. Anzi, per alcuni paesi peggiora, in particolare l’Italia lo fa crescere al 2016 sino al 13% circa, dal 6,1% del 2007. D’altra parte la stessa Banca d’Italia ha previsto per il 2015, con una crescita del reddito dell’1% (la metà di quanto prevede la Legge di Stabilità del governo Letta), un tasso del 12,9% nel suo ultimo Bollettino Economico (gennaio 2014). Anche la florida Germania non riduce la disoccupazione, mentre la Francia la peggiora con un tasso che si avvicina all’11%.
Le ultime previsioni dell’Oecd al 2015 non risultano meno sfavorevoli per l’Europa (tab.1). Mentre il reddito cresce nei paesi Oecd nel biennio 2014-15 al 2,5% annuo, per i paesi europei dell’eurozona la crescita è all’1,3%, con l’Italia nel gruppo di coda. Peggio va per l’occupazione, 1% annuo per paesi Oecd, 0,2% per l’eurozona, e l’Italia sempre nel gruppo di coda con crescita nulla. Quindi l’Oecd prevede per l’Europa dell’euro debole ripresa, senza occupazione. Sul fronte disoccupazione le cose non vanno meglio. Mentre per i paesi Oecd la media 2014-2015 del tasso di disoccupazione è al 7,5%, l’eurozona sta al 12% circa, con l’Italia che, solo dietro a Grecia e Spagna, è fanalino di coda assieme a Irlanda e Portogallo. Se invece guardiamo all’inflazione, come indicatore della pressione della domanda aggregata, si ha che nell’eurozona Italia e Francia mostrano un processo inflazionistico medio annuale previsto nel biennio 2014-15 dell’1,16% superiore solo a Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda, e sotto la media dei UME15 (+1,24%), mentre gli Stati Uniti segnano un 1,86% ed il Regno Unito un 2,39%, segno evidente che in Eurolandia la crescita ristagna, in particolare nei paesi mediterranei. Come sentenzia l’ILO (2014, p.32), siamo in presenza di una “lacklustre nature of the recovery […] caused, in part, by the continued pursuit of fiscal consolidation policy in the region”.
La crisi economica e le politiche fiscali adottate producono quindi cambiamenti nelle stesse prospettive della ripresa. Oltre a ciò crisi e politiche fiscali hanno avuto effetti sociali rilevanti. Come osserva l’ILO (2014, pp.39-40), il deterioramento delle condizioni nel mercato de lavoro ha fatto crescere il rischio di povertà ed esclusione sociale, in particolare nei paesi europei più colpiti dalla crisi. Ma sono state le politiche che hanno determinato un peggioramento delle condizioni sociali: “[…] in the second phase of the crisis the majority of governments in the European Union countries embarked on fiscal consolidation, with significant cuts to their welfare systems and provision of public services, which disproportionately affected jobless persons and their families as well as those groups of the population that are not covered or poorly covered by social protection systems, such as first-time jobseekers, informal workers, ethnic and migrant groups, single-parent families and pensioners, with negative consequences for social cohesion and social justice. These policy choices have led to an increase in the risk of social unrest, especially in the European Union. […] In addition, the crisis has had a negative impact on the quality of employment in most countries as the incidence of involuntary temporary and part-time employment, in-work poverty, informal work, job and wage polarization and income inequality have further increased”.
Riferimenti bibliografici
EC (2014), Employment and Social Developments in Europe 2013, EC, Brussels.
FMI (2013), World Economic Outlook, Transitions and Tensions, ottobre, FMI, Washington DC.
ILO (2014), Global Employment Trend 2014. Risk of jobless recovery?, gennaio, ILO, Ginevra.
OECD (2013), Economic Outlook, n.94, novembre, OECD, Parigi.
OECD-StatExtract (2014), OECD.Stat Extracts, OECD, Parigi: .http://stats.oecd.org/
La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui