È davvero necessario garantire i meccanismi per facilitare la governabilità e in questo senso l'Italicum costituisce un passo nella giusta direzione?
Da anni, e non solo in Italia – ma, soprattutto, in Italia – si discute della forma di governo e dei meccanismi per facilitare la governabilità. Il dibattito tra governabilità stessa e rappresentanza è lungo e complesso e non è possibile qui riprenderlo se non in breve. Quello che interessa, invece, è discutere sulla supposta necessità di garantire tale governabilità e di capire se, effettivamente, l’Italicum possa essere un passo nella giusta direzione.
Leggi elettorali e governabilità
Iniziamo demitizzando l’idea che i sistemi elettorali possano, da soli, indirizzare il sistema politico. Né il maggioritario, né il proporzionale sono portatori a prescindere di maggioranze chiare, di coalizioni omogenee, di sistemi bipartitici, di chiarificazione e semplificazione del sistema politico (“so chi voto, so cosa avrò”). Basta dare un’occhiata al resto dell’Europa per rendersene conto. Tanto in Germania che in Gran Bretagna, due paesi agli antipodi come sistemi elettorali, abbiamo un governo di coalizione (a Berlino per la seconda volta in due legislature; a Londra è virtualmente impossibile che un singolo partito possa avere la maggioranza alle prossime elezioni). In Francia il governo rimane ad appannaggio di un solo partito – come è logico in un sistema semi-presidenziale a due turni. Ciò però non esclude: a) un parlamento a maggioranza diversa da quella presidenziale (già successo nel passato); b) la crescita di altre forze (vedi FN) e la possibilità di un parlamento senza maggioranze certe (al momento evitata solo dal carattere “non repubblicano” del FN che coalizza elettori di destra e sinistra negli eventuali ballottaggi); c) un sistema politico inefficace ed in crisi di legittimità.
Eppure il sistema elettorale è sempre lo stesso. Quello che si è modificato, in tutta Europa, è il quadro politico, con la nascita di nuovi bisogni, nuove voci, nuove forze sociali che hanno modificato la rappresentanza politica e dunque anche la creazione delle maggioranze di governo. Se mettiamo a rapido confronto i tre sistemi citati, vedremo che quello con maggioranze monopartitiche (la Francia) è il sistema al momento più in difficoltà e più incapace di prendere decisioni, mentre quello con maggioranze più eterogenee (la Germania) sembra quello più di successo nel gestire la crisi economica e quello meno scosso dall’avanzare di nuove istanze populistiche (FN o UKIP); ed allo stesso tempo, il sistema elettorale maggioritario della Gran Bretagna produce coalizioni eterogenee quanto quello proporzionale tedesco. La stabilità e la governabilità di un sistema politico non sono dunque funzione di una legge elettorale piuttosto che di un’altra, quanto frutto di fattori storici, politici, sociali ed economici. La forza della legge elettorale sta, semmai, nel rappresentare con efficacia la struttura di un dato sistema politico.
Governabilità e maggioranze in Italia
Veniamo al caso italiano. L’Italicum nasce, per espressa ammissione del Presidente del Consiglio per garantire governabilità, cioè: “creazione di maggioranze stabili e omogenee”, e “abilità di prendere delle decisioni”. Due elementi tra loro legati ma distinti. Iniziamo dal secondo elemento. L’idea largamente diffusa tanto tra i cittadini quanto tra i media è che la politica italiana sia una palude incapace di decidere. La storia della Seconda Repubblica – sia nella versione Mattarellum, sia in quella Porcellum – è, al contrario, ricca di “riforme”: della Costituzione, del lavoro (svariate volte), della scuola (più volte), della sanità, del federalismo, delle pensioni (a più riprese). Non abbiamo sofferto per mancanza di riforme, ma piuttosto per una bulimia di riforme. Il cui limite principale era l’inefficacia. Una inefficacia che non si può certo ascrivere (solamente) a troppe discussioni o a troppi compromessi, se pensiamo alla riforma Fornero – che ha creato gli esodati e passata di gran carriera in un Parlamento in stato di shock – o al Porcellum – approvato in fretta e furia con una maggioranza infine compattissima. Dare più strumenti per decidere, non equivale a dare più strumenti per decidere bene.
In secondo luogo, la ratio dietro l’Italicum imputa la supposta scarsa efficacia dell’azione politica a maggioranze fragili e disomogenee. La legge elettorale vorrebbe correggere la frantumazione del quadro politico creando artificialmente maggioranze altrimenti inesistenti. Soffermiamoci per un attimo sulla questione del premio di maggioranza. In questi giorni si sente spesso dire che è perfettamente normale che il partito più grande possa governare con una maggioranza assoluta, portando ad esempio il caso del Regno Unito, dove il Labour ottenne una solida maggioranza parlamentare col 35% dei voti. Si tratta però di un paragone palesemente fuori luogo. Tralasciamo per un momento il fatto che la poca rappresentatività del sistema elettorale è da anni argomento di dibattiti e referendum a Londra, cosa che sembra destinata a far discutere per ancora molto tempo. Entrando però nel merito della questione non si possono non notare due differenze fondamentali: per prima cosa, il maggioritario puro è ancorato alla rappresentanza delle singole constituency, e quindi la maggioranza politica è specchio di quella geografica e storico-sociale del paese; inoltre, e fondamentalmente, nel Westminster system, il caso di vittorie senza maggioranze elettorali è una delle possibili combinazioni – sempre più improbabili in un sistema che è sempre meno bipartitico – e non l’unico outcome possibile, che è anzi la sua ragion d’essere, come nel caso dell’Italicum.
Anche al netto di questo aspetto di sostanza democratica, l’Italicum è destinato non solo a non risolvere ma addirittura a ingigantire i problemi che vorrebbe risolvere. Il premio di lista vorrebbe creare maggioranze omogenee. Eppure, se si guarda al recente passato, se è vero che i vari governi Berlusconi hanno avuto problemi tanto con l’UDC che con la Lega, e che il primo governo Prodi cadde per la rottura con Rifondazione Comunista, è altrettanto vero che è stato il PDL ad andare in frantumi nella passata legislatura. E che, in questa legislatura, la fronda contro i governi è venuta – e viene tuttora – soprattutto dall’interno del PD. Soprattutto sono in costante aumento le defezioni dei singoli deputati, un segnale della scarsa coesione politica all’interno dei partiti stessi. Non si vede dunque come una tale legge elettorale – che se riuscisse in uno dei suoi scopi ridurrebbe le aggregazioni partitiche, rendendo di conseguenza quelle più grandi ancora meno coese – possa riuscire a rafforzare le maggioranze parlamentari. Vale, invece, il contrario: con la vittoria appesa ad un solo voto, si incentiva l’estensione massima del perimetro di consenso, ad aprire le porte dei partiti a qualsiasi “porta-voti”. Non differentemente dagli ultimi due sistemi elettorali si tenta di “accentrare” il potere delle maggioranze, di fatto depotenziando le segreterie a favore di cacicchi locali determinanti per il risultato finale. Maggioranze sulla carta più solide, ma più ricattabili.
Crisi dei partiti non della governabilità
Il dibattito sul sistema elettorale nasce dunque su premesse ed analisi sbagliate. I sistemi elettorali più consolidati – e spesso di maggior successo – sono il frutto di una storia politica vecchia di decenni se non di secoli, e non il risultato di un repentino processo di ingegneria costituzionale. Non sono i sistemi elettorali a modificare lo spazio politico e non si propongono di correggerlo, ma devono piuttosto saper rappresentare la realtà politica.
Non sottovalutiamo il tema della governabilità: il governo deve poter scegliere, ma deve anche poter scegliere in maniera corretta – e questa è una delle differenze fondamentali tra dittatura e democrazia. Il sistema di pesi e contrappesi delle democrazie è fatto non solo per tutelare la parte più debole, ma anche per garantire una discussione esaustiva che porti alla migliore decisione possibile.
Allo stesso tempo, è altrettanto decisivo che il meccanismo della rappresentanza rispecchi il quadro politico e non lo snaturi, pena una perdita di credibilità e legittimità del sistema politico nel suo intero. In Italia, come altrove ma più che altrove, assistiamo ad una grave crisi della rappresentanza. Questa legge non fa nulla al riguardo, anzi. Si tenta di dare forza ed autorità al governo, bypassando il Parlamento. Si tenta con un marchingegno elettorale di trovare una scorciatoia evitando di affrontare il nodo principale della questione – i partiti, la rappresentanza degli interessi, la capacità di raggiungere una sintesi politica efficace.
Come tutte le scorciatoie, però, non risolve i problemi, rischia anzi di peggiorarli. Nessuna istituzione, nessuna regola favorisce a prescindere il tema della governabilità: accentrare i meccanismi di decisione in un sistema politico debole può essere non solo inefficace ma controproducente, rendendo le maggioranze numericamente grandi ma politicamente deboli e diminuendo ulteriormente la legittimità del sistema politico.
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