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Oligarchi/Le vecchie oligarchie elitarie erano caratterizzate da legittimazioni di qualche tipo: cultura, carismi, tradizione, merito. Le attuali non ne hanno e non ne hanno bisogno

«...pertanto si può dire con maggior ragione che si ha democrazia quando i liberi governano, oligarchia quando governano i ricchi, ma accade che gli uni siano molti e gli altri pochi, perché i liberi sono molti e i ricchi pochi» (Aristotele, Politica, IV, 1290). «...così ci sono pure state parecchie costituzioni oligarchiche, che sembrano avere qualche somiglianza con quelle aristocratiche, nonostante siano lontanissime tra loro» (Polibio, Storie, VI, 3). «...questo è il cerchio nel quale girando tutte le republiche si sono governate e si governano: ma rade volte ritornano ne’ governi medesimi; perché quasi nessuna republica può essere di tanta vita, che possa passare molte volte per queste mutazioni, e rimanere in piede» (Machiavelli, Discorsi, I, 2).

Quando un secolo fa ci si riferiva alle oligarchie si pensava a gruppi ristretti apicali nelle istituzioni politiche. Oggi invece ci si riferisce in primo luogo a gruppi ristretti di ricchi e super-ricchi e in seconda battuta a élite tecnocratiche, dominanti nei gangli decisionali dei processi politici, amministrativi e imprenditoriali. Tra i ricchi la componente finanziaria è particolarmente eminente, nelle tecnocrazie prevale la componente gestionale, malgrado il peso crescente di minoranze di competenti tecnici, essenziali per il controllo delle grandi strutture reticolari del nostro tempo.

Ciò che colpisce di questi gruppi ristretti è l’estremo oligopolio sia del denaro che del potere politico. In questi gruppi sono concentrarti grandi poteri di disposizione sia per l’economia che per la politica. Essi sono entrenched, corazzati, in quanto sono in grado di difendere questo processo di accumulazione (anche simbolica) da ogni interferenza. Lo fanno esercitando direttamente il potere, condizionando i processi democratici (finanziamento della politica), premendo come lobby, bloccando qualsiasi regolazione loro avversa, come si è visto bene nella crisi attuale.

Le vecchie oligarchie elitarie erano caratterizzate da legittimazioni di qualche tipo: cultura, carismi, tradizione, merito. Le attuali non ne hanno e non ne hanno bisogno. Il loro rapporto di dominio è essenzialmente fattuale, alla lettera: pre-dominio. Non partecipano al discorso pubblico, ma operano per voci intermedie (media o agenzie di rating) o per alleanze interistituzionali (come più frequente nel caso di oligarchie tecnocratiche). Si raccolgono in parlamenti interni – fori privati – a Davos e altrove, dove predominano l’informale, l’accordo tacito, magari il contratto. Va sottolineata questa dimensione essenzialmente globale delle oligarchie, perché solo tenendosi in tali reti allentate riducono i conflitti interni, che pure esistono, e moltiplicano il proprio peso decisionale (e anche quello estrattivo di risorse).

Si parla di oligarchie come estrema concentrazione del denaro e del potere al vertice in gruppi ristretti (ma in espansione numerica), denotati da un’altrettanta estrema indifferenza per le forme democratiche, che vengono localmente tollerate come soluzione ancora preferibile ad altri tipi di regimi. In questi contesti, del resto, la politica è stata resa del tutto dipendente dalla finanza, almeno in occidente. Le oligarchie in cui finanza e ricchezza siano componenti prevalenti sono plutonomie o plutocrazie: oggi sappiamo quanto possiedano e quindi quanto pesino nei rapporti di forza poche decine di persone.

Aristotele intende oligarchia come forma degenerata dell’aristocrazia, come passaggio da un’élite del valore a un gruppo di estrattori di risorse, non democratico e non orientato al bene comune. Noi vediamo invece l’oligarchia crescere dal seno stesso della democrazia, non più nel senso indicato dai teorici realisti di primo novecento (Mosca, Michels, Pareto) come legge ferrea e inesorabile, corretta magari dalla circolazione delle élite, bensì come deperimento del processo democratico, usato direttamente per selezionare nuovi magnati e potentati.

Il carattere sempre più naturalistico dei processi economici con i loro imperativi sistemici, come la crescente tecnicizzazione delle materie, aiuta questa spinta oligarchica segregando quelli capaci di estrarre da quelli resi incapaci di pesare nelle decisioni. E l’entropia tecnicistico-finanziaria della Ue molto agevola questo processo anche a livello nazionale. Del resto la democrazia diventa sempre più impotente quanto più le oligarchie si sentono ben trincerate da istituti, regole del gioco e privilegi continuamente accordati. In questo contesto, gli stessi istituti e processi democratici si sono dimostrati fragili e incapaci di correggere queste vistose devianze, e continuano a perdere rilevanza a fronte di Global Oligarchy Inc.

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