Ultimi articoli nella sezione

08/12/2015
COP21, secondo round
di Lorenzo Ciccarese
03/12/2015
Lavoro, la fotografia impietosa dell'Istat
di Marta Fana
01/12/2015
La crisi dell’università italiana
di Francesco Sinopoli
01/12/2015
Parigi, una guerra a pezzi
di Emilio Molinari
01/12/2015
Non ho l'età
di Loris Campetti
30/11/2015
La sfida del clima
di Gianni Silvestrini
30/11/2015
Il governo Renzi "salva" quattro istituti di credito
di Vincenzo Comito
alter
capitali
italie
globi

Giustizia civile così non va, come cambiare

31/01/2014

L’Italia è agli ultimi posti della graduatoria mondiale sull’efficienza complessiva del sistema giudiziario. Tutti i numeri in un recente rapporto dell'Istat

Verso un “nuovo management pubblico”: in altri termini, verso l’assunzione della soddisfazione degli utenti dei servizi pubblici quale indicatore irrinunciabile per la programmazione e la valutazione della performance pubblica. Come a dire che la capacità dei servizi di (co)rispondere ai bisogni degli utenti deve rappresentare non soltanto modalità operativa di “bandiera”, ma la guida per un processo di riavvicinamento autentico fra amministrazione pubblica e cittadini. Chiaro? Certamente chiaro per le aspettative, i bisogni, i diritti dei cittadini, ma forse meno chiaro per chi quella trasformazione deve compiere: l’amministrazione che da potere deve farsi servizio.

In effetti, a giudicare dai risultati del modulo ad hoc appena realizzato dal Servizio struttura e dinamica sociale dell’Istat sul (mal)funzionamento della Giustizia Civile in Italia, le persone che hanno avuto l’avventura di partecipare al carosello di aule giudiziarie, avvocati e gradi di giudizio valutano la loro esperienza come sostanzialmente “insoddisfacente”. Fanno loro eco coloro che avrebbero potuto rivolgersi all’ordinaria giurisdizione per la soddisfazione della loro domanda di giustizia, ma hanno poi deciso di rinunciarvi o di risolvere altrimenti le loro controversie, perché spaventati dalla sola idea di dover adire le vie legali. Questo “giudizio dei cittadini” non è poi certo smentito da quello della “critica”: indicatori oggettivi certificano infatti notevoli carenze organizzative e funzionali della nostra Giustizia, confinando l’Italia agli ultimi posti della graduatoria mondiale sull’efficienza complessiva del sistema giudiziario. Graduatoria che ha alimentato più e più volte critiche sulla gravità della situazione italiana da parte dell’Unione europea, cui si sono unite le categorie di magistrati, avvocati, operatori della giustizia, nonché imprese e società civile, ben consapevoli di come le fortissime interrelazioni tra economia e giustizia facciano gravitare i costi dell’inefficienza sull’intera collettività.

Quali sono dunque gli elementi principali che minano la soddisfazione dei cittadini nei confronti della giustizia civile? Cosa concorre a incrinarne il rapporto di fiducia? Al 2013, il 10 per cento della popolazione di 18 anni e più residente in Italia (circa 5 milioni di persone) è stata coinvolta in un contenzioso civile nel corso della vita. Durata e costi dei procedimenti sono fattori della nostra giustizia civile che nell’esperienza dei cittadini impattano in modo significativo sulla vita delle persone. Solo il 25,2 per cento era a conoscenza di quanto la causa sarebbe venuta effettivamente a costare e la conoscenza dei costi diminuisce all’aumentare dei gradi del giudizio: è infatti relativamente maggiore se ci si rivolge al Tribunale (25,6 per cento), diminuisce sensibilmente in Corte d’Appello (18,8 per cento) e crolla in Cassazione (11,5 per cento).

In merito alla durata dei procedimenti solo il 14 per cento delle cause si concludono nello stesso anno dell’avvio, il 13 per cento si concludono nell’anno successivo, il 30 per cento tra i due e i cinque anni dopo l’anno di avvio e il 15 per cento arriva a sentenza a oltre cinque anni dall’avvio. Nel corso della loro vita, oltre il 50 per cento di coloro che hanno avuto un’esperienza diretta con la giustizia civile esprimono un parere negativo affermando di essere “poco o per niente soddisfatti”. Una maggiore insoddisfazione è correlata con la durata, l’esito e i costi del procedimento, oltre che con i mancati vantaggi conseguiti. A tal proposito, le persone coinvolte in cause civili la cui durata si è protratta più a lungo sono le più severe verso il sistema: esprime profonda insoddisfazione il 67,3 per cento di chi attende da cinque anni ed oltre. Circa il 70 per cento di coloro che hanno dovuto affrontare costi assolutamente non previsti sono estremamente critici nei confronti del sistema giustizia dichiarandosi “poco o per niente soddisfatti”. E la quota di “insoddisfatti” si attesta all’84 per cento fra coloro che considerano l’esito del procedimento del tutto “sfavorevole”.

Emerge, altresì come buona parte dei cittadini individui nella qualità del servizio, nella capacità del sistema giudiziario di rispondere alle esigenze dei cittadini e nel rapporto umano con magistrati ed avvocati i fattori di maggiore criticità dell’amministrazione della giustizia civile. Secondo quanto espresso dai cittadini gli aspetti organizzativi che andrebbero migliorati riguardano in primo luogo la lunghezza dei procedimenti (70,7 per cento), la semplificazione degli aspetti burocratici (56,5 per cento) e la puntualità delle udienze (30,5 per cento). Per quanto attiene agli aspetti professionali e relazionali, competenza, correttezza, chiarezza, disponibilità dei magistrati e degli avvocati costituiscono ulteriori elementi nevralgici del sistema per offrire un servizio più consono al dettato costituzionale di una “giustizia uguale per tutti”. A tale proposito, infatti, il 30 per cento ritiene che i giudici dovrebbero “prestare più attenzione alle ragioni delle parti” o, ancora, che i giudici dovrebbero garantire una maggiore “imparzialità” (20 per cento). Rispetto agli avvocati i maggiori addebiti attengono alla mancanza di trasparenza e chiarezza sui costi e tempi della causa.

A conferma del pervasivo scoraggiamento dei cittadini si aggiunge il fatto che, nonostante l’articolo 24 della Costituzione assicuri a tutti la possibilità di adire le vie legali per la tutela dei propri diritti soggettivi ed interessi legittimi, negli ultimi tre anni ben 1 milione 704 mila persone abbiano deciso di rinunciare ad avviare una causa civile. La decisione di non rivolgersi al sistema giurisdizionale per il soddisfacimento di una posizione giuridica è originata da una molteplicità di ragioni tra cui i timori maggiori sono la sproporzione tra il costo e il possibile vantaggio, l’incertezza dell’esito, la paura di perdere tempo, la complessità delle procedure.

La mancata tutela dei diritti per via ordinaria non è neppure compensata dal ricorso agli istituti della mediazione civile e dell’arbitrato che restano ancora sostanzialmente residuali nel nostro paese: soltanto il 3 per cento se ne è avvalso nel corso della vita. Sebbene, infatti, il 41,4 per cento delle persone sappia cosa sia l’arbitrato e il 43,7 per cento cosa si intenda per mediazione e nonostante il “Decreto del Fare” (D.L. n.69/2013) abbia rafforzato le forme di composizione extragiudiziale delle controversie civili, molto resta ancora da fare per indirizzare i cittadini all’uso dell’Adr.

Emerge dunque in modo chiaro e netto l’urgenza di un ripensamento complessivo del modello organizzativo e professionale del sistema giudiziario per superare definitivamente la radicata sensazione di insoddisfazione dei cittadini. I risultati dell’indagine sulla giustizia civile gridano infatti quanto profondo sia lo scarto fra la percezione del servizio reso e l’aspettativa di chi ne beneficia, sia rispetto agli elementi oggettivi, come la durata, il costo, l’esito, le procedure, sia per gli aspetti immateriali del servizio come la cortesia, la cura, la disponibilità, la professionalità, la chiarezza. Risultati che dovrebbero dunque spronare le istituzioni pubbliche ad allinearsi alle pratiche valutative e strategiche del settore privato, in cui da tempo immemore la misurazione della soddisfazione del cliente costituisce il baricentro per il ripensamento delle logiche di produzione.

Il principio dell’“interesse generale” inteso fino ad oggi come “buon andamento” e asettica “correttezza formale delle procedure” cede finalmente il passo alle aspettative dell’utenza? Il “design della qualità” rivisto finalmente anche in termini di estetica di “coproduzione del servizio”, nell’interazione sempre in divenire fra amministrazione pubblica e cittadino utente? Dalla performance oggettiva alla performance soggettiva sperimentata dai fruitori del servizio stesso?

 

1 Le seguenti considerazioni sono frutto esclusivo del pensiero delle autrici e non hanno carattere in alcun modo impegnativo per l’Ente di appartenenza.

dariasq@virgilio.it

lucianaquattrociocchi@gmail.com

 

 

 

 

 

La riproduzione di questo articolo è autorizzata a condizione che sia citata la fonte: old.sbilanciamoci.info.
Vuoi contribuire a sbilanciamoci.info? Clicca qui

Commenti

eZ Publish™ copyright © 1999-2015 eZ Systems AS