La lotta al cambiamento climatico sta assumendo le forme del bivio di fronte a cui si trovò Callimaco quando decise di accerchiare ed attaccare l’esercito persiano. La differenza è che qui è il genere umano a trovarsi insieme nella veste di aggressore e difensore della polis. Un convegno a Vienna fa il punto
Nel 490 a.c., a Maratona, l’esercito ateniese riuscì nell’impresa di invertire il tragico ed apparentemente ineluttabile corso della storia. Lo squilibrio tra le forze in campo non sembrava lasciare alcuna speranza ai difensori della polis di Pericle, ormai prossimi alla capitolazione di fronte alla ferocia ed alle dimensioni delle truppe persiane. L’inaspettata e cruciale vittoria ateniese raccontataci da Erodoto, diverrà un paradigma di quelli che possono definirsi i bivi della storia. La democrazia ateniese riuscì a sopravvivere e a conservare in se i germogli di quella contemporanea grazie a quella vittoria, il cui realizzarsi non sembrava avere alcuna concreta possibilità.
Di fronte a bivi di tale specie gli individui, così come le moltitudini, son chiamati a compiere scelte radicali da cui può dipendere in modo determinante il corso degli eventi futuri. La necessità della lotta al cambiamento climatico sta, sempre più, assumendo le forme del bivio di fronte a cui si trovò Callimaco quando decise di accerchiare ed attaccare l’esercito persiano. La differenza è che qui è il genere umano a trovarsi simultaneamente nella veste di aggressore e difensore della polis. Una polis, il pianeta terra, esposta ad un rischio capitale che richiede, innanzitutto, di identificare le fattezze di un nemico che si cela nei gangli del modo di produzione attuale e, dunque, nelle scelte economiche e politiche quotidiane di ciascuno di noi.
Un’ allarmante quadro sul cambiamento climatico in corso e sulla minacce che esso porta con se, è stato tracciato la scorsa settimana a Vienna da Nicholas Stern (http://wiiw.ac.at/why-are-we-waiting-the-logic-urgency-and-promise-of-tackling-climate-change-e-245.html), presidente della British Academy e direttore del Grantham Research Insitute on Climate Change. Autore di uno dei primi rapporti sistematici sul cambiamento climatico (Il rapporto Stern, commissionato nel 2006 dal governo inglese al già capo economista della Banca Mondiale, lancia, per la prima volta in modo ufficiale, l’allarme sugli effetti del cambiamento climatico e sull’urgenza di agire per contrastarlo), Nicholas Stern ha dedicato gli ultimi dieci della sua vita accademica alla sensibilizzazione circa la natura vitale di un azione immediata per contrastare il cambiamento climatico in corso. Il titolo del suo ultimo libro pubblicato nel 2012 per la MIT press (http://mitpress.mit.edu/authors/nicholas-stern) non lascia spazio a dubbi: Why are we waiting? The Logic, Urgency, and Promise of Tackling Climate Change.
L’atteggiamento di Stern nell’esporre la sua posizione sul cambiamento climatico è, in un certo senso, duale: da un lato, egli dà inizio alla sua esposizione delineando i contorni di un pianeta la cui sopravvivenza – per lo meno in delle condizioni conciliabili con la vita umana – è, se non pregiudicata, esposta a un rischio di proporzioni inimmaginabili; dall’altro, egli individua, nel bivio che vede oggi, lungo una strada l’agire e, lungo l’altra, il rimanere inerti di fronte alla sfida ambientale, una possibilità di riscatto e di rinascita per un società umana in tremenda sofferenza. Stern identifica tre elementi fondamentali. La logica dell’agire contro il cambiamento climatico, l’urgenza di farlo, e le opportunità che questo agire aprirebbe al genere umano.
La logica sta nei dati scientifici, oramai incontrovertibili, che individuano il legame tra l’attività umana e il cambiamento climatico globale. E in quelli che approssimano le spaventose conseguenze che il procedere sulla rotta attuale potrebbe provocare. La consapevolezza scientifica circa gli effetti delle emissioni di Co2 nell’atmosfera era diffusa già agli inizi del 1800 grazie alle scoperte di Joseph Fourier. Ciò che Stern sottolinea con forza è che il pericolo si annida nella concentrazione dei residui delle emissioni. La catena consequenziale è, in questo, di assoluta linearità: l’attività umana aumenta produce emissioni di CO2; nuove emissioni alimentano gli stock; l’incremento degli stock, la cosiddetta concentrazione, favorisce il cambiamento climatico; il cambiamento climatico impatta sulla capacità umana di sopravvivere sul pianeta terra. Nonostante le sicurezze su cui gli scienziati possono oggi contare, la dinamica di questa catena consequenziale è affetta da incertezza. Non vi è però incertezza in merito alla sussistenza di tale catena ed al ritmo incessante del cambiamento climatico. Stern spiega che l’attuale concentrazione è pari a 450ppm (l’acronimo ppm è usato per indicare il rapporto tra quantità misurate omogenee di un milione a uno). Continuando al ritmo attuale di emissioni per anno (si è passati da 1ppm per anno nel periodo 1950-1970 alle 2.5ppm attuali) si raggiungerebbero le 750ppm di Co2 entro un secolo. Ciò significherebbe un incremento della temperatura terrestre nell’ordine dei 4-5 gradi centigradi. Un caldo “mortale” per la specie umana. Un incremento di questo tipo non avrebbe alcun precedente se non si volesse guardare alla fase precedente la comparsa dell’homo sapiens, 250.000 anni fa. La lista delle conseguenze probabili va dalla desertificazione, alla moltiplicazione di eventi climatici estremi fino all’impossibilità di abitare vastissime aree del pianeta. Episodi di “emigrazione ambientale” non sono del tutto insoliti nella storia dell’uomo. Ma quel che si prevedrebbe in questo caso è lo spostamento di milioni di persone in cerca di un luogo adatto a sopravvivere.
L’urgenza è posta, da Stern, in immediato contrasto all’attendismo di chi propugna l’inazione in nome di un assenza di totale certezza scientifica. Contestando nel merito questa posizione e sottolineando la condivisione dei massimi studiosi circa il ruolo della concentrazione di Co2 nell’atmosfera Stern mette in guardia dalle nefaste conseguenze di tale attendismo. L’accademico inglese argomenta come l’attesa favorirebbe il mettersi in atto di un processo di “lock-in”. Tale processo, collegato in primo luogo con la massiva urbanizzazione in atto nelle principali economie ormai non più emergenti come la Cina, renderebbe difficilissimo se non impossibile immaginare quei cambiamenti nel modo di vita – ad esempio la realizzazione di infrastrutture capaci di escludere la necessità di mobilità privata nelle città – cruciali per invertire la rotta. Il ritardo aumenta, dunque, i rischi ed i costi di un eventuale intervento in extremis. Ad oggi, le emissioni previste che potrebbero condurre ad avere una concentrazione pari a 450ppm nel 2035 sono già parzialmente “garantite” dall’effetto “lock-in” rappresentato dalla maggioranza delle infrastrutture tecnologiche esistenti. Ideate per favorire attività inquinanti.
L’opportunità di agire risiede, secondo Stern, nel portato benefico ed innovativo che avrebbe la riorganizzazione della vita umana in armonia con il pianeta. In termini quantitativi si tratterebbe di raggiungere i seguenti obiettivi: zero emissioni dalla produzione di elettricità nel 2050; zero emissioni totali entro la fine del secolo; emissioni negative nei principali settori produttivi ben prima della fine del secolo. Lo sforzo richiesto è nei fatti mastodontico e dovrebbe aver luogo in tutti i paesi e in tutti i settori. Tuttavia, se la storia economica fosse una guida, tale cambiamento potrebbe stimolare una crescita nuova, dinamica, creativa e sostenibile. Richiederebbe investimenti sostanziali e di tipo completamente nuovo. Un ripensamento di cosa si produce e di come lo si fa. Un ripensamento di quanto, cosa e come si consuma. Una nuova rivoluzione industrial-energetica, usando le parole di Stern.
Queste proposte sono state dettagliatamente e formalmente avanzate da Stern nel 2014 presentando i risultati dell’attività della Commissione Globale contro Il Cambiamento Climatico (http://newclimateeconomy.report/overview/) da lui presieduta. Il merito di tale commissione è stato quello di fornire un Rapporto i cui numeri sembrerebbero presentare una sfida alla portata delle capacità umane. Capacità umane che il Rapporto sferza mettendo nero su bianco il pericolo di fronte al quale sono esposte. E rimarcando l’inconsistenza delle tesi attendiste e orientate alla minimizzazione. La lettura di tale Rapporto può rivelarsi un esercizio interessante per la comprensione della situazione attuale e di quella futuribile. Esso condurrà al nuovo round negoziale sul cambiamento climatico che si terrà a Parigi il prossimo dicembre (http://www.commonfuture-paris2015.org/). Sarà interessante osservare la posizione di governanti e padroni del vapore in quella circostanza visto che, allo stato attuale, una residenza protetta su Marte non sembra appannaggio nemmeno di chi macina enormi profitti producendo conseguenze ambientali di cui non avverte il bisogno di preoccuparsi.
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