È arrivato un nuovo "Sbilibro": Il lavoro in Italia. Dal precariato alla riforma Fornero. Un'analisi critica della riforma Fornero, con contributi per costruire una diversa politica del lavoro, più equa e inclusiva. Viene presentato con l'articolo di Matteo Lucchese, che ha curato il libro con Guglielmo Ragozzino
È arrivato un nuovo "Sbilibro": Il lavoro in Italia. Dal precariato alla riforma Fornero. Un'analisi critica della riforma Fornero, con contributi per costruire una diversa politica del lavoro, più equa e inclusiva. Viene presentato con l'articolo di Matteo Lucchese, che ha curato il libro con Guglielmo Ragozzino
La riforma del mercato del lavoro che il governo ha presentato lo scorso aprile sotto la pressione dei mercati finanziari non è certo quella di cui abbiamo bisogno. Ancora una volta non si è preso atto che l’epoca della deregolamentazione non ha portato a più occupazione, ma a disuguaglianze crescenti e a una maggiore precarietà, spingendo le imprese su un sentiero di crescita di breve respiro. I più colpiti sono stati i giovani, il cui ingresso sul mercato del lavoro è divenuto frammentato e le cui prospettive sono ora messe in discussione dalla peggiore crisi economica del dopoguerra. Se solo si riuscisse a mettere da parte quella buona dose di ideologia che pervade molti dei discorsi sul mercato del lavoro, avremmo modo di renderci conto che le alternative al liberismo ci sono. E sono praticabili. Grazie al contributo di economisti e studiosi del lavoro in Italia, il nuovo ebook di Sbilanciamoci.info ci spiega perché l’impianto della riforma Fornero non ci convince. E ci racconta come sia invece possibile sovrapporre la logica del lavoro a quella del mercato (o dei mercati), scommettendo su formazione, innovazione e una maggiore copertura sociale. Mentre i dati sul lavoro peggiorano di mese in mese e il governo non vede alternativa a quella che annuncia il peggioramento delle condizioni di chi lavora, è bene mostrare che la strada segnata dall’austerità e dalla flessibilità non è l’unica percorribile.
Quanto ai dati, nel 2011 sono stati circa 23 milioni gli occupati in Italia.(1) Circa 2,1 milioni di persone sono state invece in cerca di lavoro. Fra queste, la metà sono ex-occupati, l’altra metà ex-inattivi o in cerca di prima occupazione. È di quasi 2,9 milioni però la schiera di chi si dichiara disponibile a lavorare senza tuttavia cercare attivamente un lavoro: fra questi, quasi 1,2 milioni dichiara espressamente di non cercarlo perché scoraggiato. In Italia, il numero di questi “inattivi” è di molto superiore alla media europea, quasi 5 volte quello della Germania, il triplo di quello della Spagna. In parte, questo è dovuto all’assenza di una forma diretta di sussidio di disoccupazione, in parte è il portato dell’economia sommersa. Resta comunque un dato allarmante che si contrappone al dato sulla disoccupazione (8,4%), ben al di sotto della media europea (9,6%).
Il tasso di occupazione, che misura il numero di lavoratori occupati sul totale della popolazione fra i 15 e i 64 anni, è così uno dei più bassi d’Europa, al di sotto della Spagna (al 57,7%) e ben al di sotto di Germania (72,5%) e Francia (63.8%). La crisi ha reso più profonde queste differenze: dal 2007, in Germania il tasso di occupazione è sensibilmente aumentato (era al 69%), in Francia si è mantenuto stabile, in Spagna è crollato (era al 65,6%). In Italia è caduto di poco più di due punti percentuali: si tratta di più di 200 mila occupati in meno (-1.2%) con un leggero recupero nell’ultimo anno (+0,4%). L’occupazione è crollata soprattutto fra i giovani: dai 15 ai 34 anni è scesa del 16,3%, in calo di quasi 1,2 milioni di occupati, 530 mila nella fascia fra i 15 e i 24 anni. È così in tutta Europa: in Spagna, nella stessa fascia d’età, l’occupazione è crollata del 29% (più di 2 milioni di posti di lavoro), in Francia del 3,5%.
Nel 2011, il tasso di occupazione per i giovani fra i 15 e i 24 anni è al 19,4% (è al 36,5% la media dell’Europa a 15). Il tasso di disoccupazione è al 29,1%. Se scomponiamo il tasso di disoccupazione giovanile rispetto al livello di istruzione di chi si dichiara disoccupato (classificazione Isced), si scopre che in Italia le differenze fra i livelli di istruzione non corrispondono a differenze significative nei tassi di disoccupazione. Non è così nel resto d’Europa.
Nel 2011, secondo l’Istat, sono 2,7 milioni gli occupati stimati come atipici (con contratti a termine o collaboratori), saliti di 140 mila unità dallo scorso anno. Essi corrispondono a circa il 12% del totale dell’occupazione, una stima dell’estensione del lavoro “precario” in Italia. Solo una stima però, perché alcune figure professionali non sono considerate nel conto.
Come è noto, questa è solo una faccia della medaglia. Secondo l’Istat, il 77,3% dei nuovi contratti stipulati nel 2011 sono atipici, ogni 5 contratti solo 1 è a tempo indeterminato. E i più colpiti sono i giovani nella fascia fra i 15 e i 29 anni. Per di più, questi contratti sono distribuiti prevalentemente nel settore dei servizi, nella ristorazione e nei servizi sociali, dove le retribuzioni sono generalmente più basse. Ciò che colpisce però sono le differenze nella distribuzione dell’occupazione per professione fra il nostro paese e il resto dell’Europa, un indicatore della qualità del lavoro che viene offerto ai giovani. Fra i 15 e i 24 anni, la quota dei lavoratori nelle prime 3 classi professionali (secondo la classificazione Isco) risulta più bassa di più di 5 punti percentuali rispetto alla media dell’Europa a 15. Nel 2011, infatti, poco più del 16% dell’occupazione giovanile in Italia lavora come manager, professionisti o tecnici. In Germania, le stesse classi raccolgono circa un terzo dei giovani occupati, in Francia un quarto, in Spagna poco più dell’Italia. Queste differenze si riducono se osserviamo la distribuzione per professione per il totale degli occupati: l’Italia è infatti 3 punti percentuali sopra la media Ue, con una quota di manager, professionisti e tecnici che supera la Spagna ma resta al di sotto di Germania e Francia.
Oltre alla questione dei giovani, in Italia, come nel resto d’Europa, la crisi ha esasperato le differenze di genere e reso più profonde le differenze territoriali. Il tasso di occupazione femminile resta al 2011 più di 20 punti percentuali inferiore a quello maschile. La disoccupazione è cresciuta soprattutto al Sud dove il tasso di occupazione è ora al 44%, più di 20 punti sotto la media europea (in Grecia il tasso di occupazione è del 55.6%). Nel Sud si trova poi la maggior parte dei lavoratori inattivi disponibili a lavorare senza cercare lavoro (quasi 2 milioni).
Osservando la composizione dell’occupazione per attività economica si esaminano le opportunità di crescita di un sistema produttivo e la qualità del lavoro che viene richiesto. In Italia, nell’anno 2007, solo il 35% degli occupati nel manifatturiero è in settori considerati a media-alta tecnologia; il restante 65% è occupato nei settori più tradizionali, dove minore è la spinta all’innovazione, minori i salari e peggiori le condizioni di lavoro. In Germania, il quadro è capovolto: la metà circa degli occupati nel manifatturiero è in settori ad alta tecnologia. In Francia, le proporzioni nel manifatturiero sono le stesse dell’Italia ma nei servizi il 57% degli occupati è in settori ad alta intensità di conoscenza, contro il 51% tedesco e il 46% italiano. Si tratta di debolezze strutturali che l’Italia paga con una più bassa produttività e minori opportunità di crescita. In più, se dei 23 milioni che lavorano in Italia il 20% è occupato nel settore manifatturiero, di questi solo il 17% lo è nel Sud, poco più di 800 mila occupati. Qui la maggior parte degli occupati è nei servizi (il 72% contro una media nazionale del 68%) e una buona parte nel settore delle costruzioni e nell’agricoltura.
Le debolezze del nostro sistema produttivo finiscono per penalizzare le retribuzioni del lavoro. Le retribuzioni lorde annuali risultano nel 2008 in linea con la media europea ma sono ben al di sotto di Germania e Francia e dei paesi nordici. Secondo l’Istat, il reddito netto medio è di 1.286 euro, più alto per gli uomini che per le donne, con una disuguaglianza nella distribuzione dei redditi dell’Italia ben più alta della media europea, come quella di Spagna, Grecia e Regno Unito.
Sono questi i numeri del lavoro in Italia. Numeri segnati dalla crisi e dal fallimento di politiche del lavoro incentrate sulla riduzione della regolazione e la diminuzione delle tutele. Politiche che si sono rivelate nei fatti pro-cicliche e che hanno prodotto una corsa internazionale al ribasso sulle condizioni dei lavoratori.
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(1) I dati per questo lavoro sono elaborazioni su dati Ocse, Eurostat, e Istat. Si veda in particolare “Istat, Occupati e disoccupati, anno 2011, Statistiche flash, 2 aprile 2012” e “Disoccupati, inattivi, sottoccupati. Anno 2011, Statistiche report, 19 aprile 2012”. Si veda anche Censis, “Indagine conoscitiva sul mercato del lavoro tra dinamiche di accesso e fattori di sviluppo”, 17 maggio 2011 e Istat, “Rapporto sulla coesione sociale 2011”.
La spirale dei sacrifici, Guglielmo Ragozzino
I numeri del lavoro, Matteo Lucchese
La riforma
Mercato del lavoro, tre punti critici, Paolo Pini
Un tecnico del diritto parla alla Fiom, Federico Martelloni
Le donne, vedi alla voce: ulteriori disposizioni, Roberta Carlini e Annamaria Simonazzi
Le fandonie sui lavoratori troppo protetti, Nicola Acocella e Riccardo Leoni
Il filo rosso che lega scala mobile e articolo 18, Claudio Gnesutta
Ammortizzatori sociali: una riforma solo annunciata, Michele Raitano
L’uso disinvolto della teoria economica, Giuseppe Tattara
Il popolo al Circo Massimo, Guglielmo Ragozzino
Una riforma sbagliata. Intervista a Maurizio Landini, Loris Campetti
Il lavoro da fare
Quei nodi che il paese non sa sciogliere, Francesco Ciafaloni
Intervista a Luciano Gallino: gli esuberi della finanza, Giuliano Battiston
La flessibilità non aiuta a crescere, Lia Fubini
I destini incrociati di chi trova lavoro, Lia Pacelli
Rigido o liquido? Il falso mito del mercato del lavoro, Maurizio Franzini e Michele Raitano
Un paese disuguale e bloccato. Le ombre sul futuro, Francesco Bogliacino e Virginia Maestri
L’introvabile lavoro qualificato, Andrea Ricci
L’occupazione giovanile italiana in un collo di bottiglia, Federico Lucidi
Una politica per l’occupazione di tutti, Roberto Schiattarella
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