Tanta roba/Il rentier, per il quale Keynes invocava l'eutanasia, è di nuovo alla testa del nostro sistema economico Chi, invece, vive del lavoro è spinto verso la povertà
L'economia liberale usa il termine "imprenditore Sisifo" per riferirsi al fatto che l'imprenditore persegue razionalmente la massimizzazione di un profitto che però, alla fine, sarà nullo. I profitti hanno natura transitoria perché attirano concorrenti sul mercato, cosicché i margini si riducono, fino ad annullarsi. Per mantenere profitti positivi nel tempo non vi sono che due strade.
La prima è pigiare l'acceleratore sull'innovazione: se un'impresa è in grado di produrre sistematicamente innovazione, potrà sempre offrire qualcosa di meglio dei concorrenti e assicurarsi profitti anche molto elevati. La seconda è trasformarsi in rentier, ovvero in un soggetto che riceve denaro non per quello che fa, bensì per quello che possiede.
Anche per trasformarsi in rentier vi sono due strade: da un lato, è possibile ridurre la concorrenza, conquistando una rendita di posizione, operando sul mercato o a latere di esso, lecitamente o meno (si pensi a monopoli e oligopoli, ai brevetti e alle pressioni per allungarne la durata, fino alla corruzione per conseguire appalti pubblici); dall'altro, è possibile impiegare il proprio denaro per acquisire capitale finanziario o immobiliare.
L'imprenditore Sisifo che innova definisce uno degli scenari più virtuosi auspicabili di questi tempi, un'economia dinamica e creativa, che darebbe un giusto premio a coloro che perseguono il nuovo, i quali, comunque, non potrebbero dormire sugli allori e sarebbero invece spinti dalla concorrenza al continuo ampliamento della frontiera organizzativa e tecnologica. Viceversa, un'economia di rentier tende a fermarsi, perché ciascuno di essi si appropria di una parte dei beni prodotti senza dare alcunché in cambio; non a caso, a partire da Keynes si è invocata l'eutanasia del rentier , vista come strumento per liberare economia e società da un peso che ne depotenzia fortemente le prospettive. Per la stessa ragione, la tassazione della ricchezza sarebbe da privilegiare rispetto a quella sul reddito da lavoro e di impresa.
Dei due mondi descritti, la sensazione che in questa fase in Italia (ma non solo) prevalga il secondo è netta. Le difficoltà e la scarsità di prospettive sembrano avere spinto da parecchi anni molti attori economici a cercare di costruirsi un proprio recinto: imprese ex innovatrici si sono spostate in settori monopolistici o sull'immobiliare, mentre gli impieghi finanziari sono diventati superiori agli investimenti reali; professionisti di tutti i tipi (finanche i meccanici, con revisioni e bollini vari) hanno operato per costruirsi rendite di posizione sicure. Per la finanza, la crisi del 2008-2009 ha costituito, da questo punto di vista, solo una temporaneo intoppo. Anzi, le attuali dinamiche dei mercati indicano che essa ha riguadagnato il peso che aveva prima e la speculazione si è fatta ancora più aggressiva, laddove sono le economie reali a subire ancora i devastanti effetti della crisi.
In un mondo nel quale cresce l'importanza della rendita sulla produzione anche i ceti medi hanno vissuto l'illusione di poterne cogliere una parte, così da ottenere, grazie a rendite finanziarie e immobiliari, risorse adeguate a sostenere e migliorare il proprio standard di vita, malgrado la stasi dei salari. Si pensi all'illusione delle famiglie americane che fosse possibile comprare una casa senza realmente pagarla, grazie al continuo aumento dei valori immobiliari, che ha innescato la crisi nel 2008. O alla parallela illusione nostrana sul fatto che coi fondi pensione i lavoratori potessero conseguire pensioni elevate con contributi contenuti.
Ma tali illusioni sono tramontate, non senza conseguenze, e, in una società senza prospettive di crescita, la ricchezza dei ceti medi è arrivata ad assumere un ruolo di mero argine all'impoverimento. Le classi medie devono fronteggiare il fatto che nell'attuale fase si allontana sempre più non solo, se mai c'è stata, la prospettiva di promozione sociale attraverso il lavoro, ma anche quella di potersi assicurare attraverso il lavoro un'esistenza dignitosa.
Non rimane che la ricchezza, personale ma soprattutto familiare, cui votarsi per non scivolare indietro. Ritorna ad essere l'eredità, non più il lavoro, l'elemento che determina lo status. I prezzi delle abitazioni nelle grandi città rendono estremamente difficile, quando non impossibile, l'acquisto a chi dispone solo di redditi da lavoro, mentre alla ricchezza attingono un crescente numero di famiglie anche per far fronte alle esigenze di vita quotidiana. Per coloro che non hanno ricchezze cui attingere, le probabilità di sperimentare situazioni di povertà crescono a livelli che non si ricordavano più.
In tale contesto, uno Stato al testardo perseguimento del pareggio di bilancio si affanna alla ricerca di ulteriori entrate fiscali. Servirebbe un'azione forte e concertata internazionalmente per colpire drasticamente la grande rendita, contrastare la finanziarizzazione e la speculazione, punire i domicili fiscali di comodo, rilanciare un intervento pubblico in campo abitativo, incidere sul trasferimento familiare dei grandi patrimoni con un'adeguata tassa di successione. Servirebbe la volontà di distinguere fra finanza speculativa e finanza "buona". Non sarebbe impossibile, ma rentier , grandi patrimoni e finanza hanno potere e strumenti ormai tali da essere in grado di opporsi efficacemente ai pur blandi tentativi di regolazione.
Alla fine, come al solito, finisce per pagare chi ha qualcosa da parte ma non la capacità di difendersi. Così, i governi tendono non a spostare il prelievo fiscale dal lavoro alle grandi ricchezze, bensì a sommare al prelievo sul lavoro quello sulle ricchezze delle classi medie. Così è stato per le imposte sulla casa e per quelle sui conti correnti, per le quali si prefigura un ulteriore aumento. Così potrebbe essere in autunno, con la riduzione delle franchigie sulle tasse di successione.
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