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Per una nuova finanza pubblica

20/09/2013

Un intervento pubblico nel settore finanziario dovrebbe in via prioritaria servire a sostenere lo sviluppo della piccole e medie imprese, che oggi soffrono anche per la contrazione del credito nei loro confronti. Parallelamente, i flussi di credito dovrebbero essere finalizzati a iniziative che incrementino o sostengano l’occupazione, l’innovazione tecnologica, la crescita del settore dell’economia verde

Come ha riferito puntualmente la stampa economica internazionale, verso la fine di agosto si sono incontrati nel Kansas i governatori della banche centrali per discutere ovviamente di monete e di finanza. Le loro conclusioni non ci sembrano molto incoraggianti. Per tali eminenti ed esperti personaggi, il mondo è condannato ad un ciclo senza fine di bolle, crisi finanziarie e collasso delle valute. Per loro, peraltro, non c’è nulla da fare e bisogna abituarsi a convivere con tale situazione.

Invece noi cittadini avremmo assolutamente bisogno di un nuovo tipo di sistema finanziario a livello nazionale e internazionale, ma non lo otterremo certo da tali signori, né presumibilmente, ancora meno dai grandi finanzieri di Wall Street e della City.

La crisi e le sue conseguenze

Come è noto, la crisi del 2008, come è convenzionalmente nota e che sarebbe meglio definire con l’appellativo di crisi “atlantica”, perché essa ha sostanzialmente colpito i paesi ricchi, ha le sue origini in delle ragioni sia di tipo “reale” che finanziario. Peraltro appare difficile separare nettamente i due livelli, strettamente intrecciati tra di loro.

Comunque, da allora –e sono passati cinque anni- si parla tra l’altro della necessità di una riforma del sistema finanziario e questo con gli obiettivi di:

  • ridimensionare il peso sia economico che politico del settore, oggi troppo grande e troppo potente, bisogna tra l’altro finirla con dei mercati finanziari che governano la politica e gli stati;
  • indirizzare parallelamente lo stesso sistema verso obiettivi di servizio all’economia reale.

Ma dal 2008 ad oggi è stato fatto poco per raddrizzare la situazione e nel frattempo siamo costretti o quasi ogni settimana ad assistere allo scoppio sulle due sponde dell’Atlantico, in una gara non certamente nobile, di qualche scandalo bancario. Di scandali bancari se ne sono verificati così tanti e in tale estensione che si può tranquillamente pensare che ormai l’intero sistema sia diventato un’associazione a delinquere che va avanti con la sostanziale complicità dei vari governi e delle varie autorità di regolamentazione.

Tra l’altro, con lo scoppio di diversi di tali scandali, si è scoperta in maniera inoppugnabile l’esistenza di una profonda complicità tra le gang criminali di tutto il mondo e diverse grandi banche internazionali, che hanno partecipato con entusiasmo al riciclaggio dei fondi illeciti di tali nobili organizzazioni.

Certo c’è stato un largo dibattito nel mondo su come cambiare le cose e sono state varate delle nuove norme, mentre si è lavorato a metterne a punto delle altre. Segnaliamo, tra l’altro, che negli Stati Uniti è stato approvato il Dodd-Franck Act, che in Gran Bretagna abbiamo avuto il Vickers Report, nell’Unione Europea innumerevoli riunioni di diversi comitati che hanno peraltro partorito delle misure molto modeste, mentre l’Unione Bancaria resta una meta lontana e mentre infine sono state deliberate le nuove disposizioni di Basilea 3.

Ma i risultati pratici di tutto questo lavorio sono stati sino ad oggi minimi e comunque molto inferiori alle necessità.

Tra l’altro, i manager continuano a prendere i loro bonus, nessun di loro è andato in galera, le grandi banche ora sono ancora più grandi, il sistema finanziario ombra cresce anch’esso di dimensioni, i ricchi sono diventati ancora più ricchi (risulta tra l’altro che dal 2008 ad oggi negli Stati Uniti l’1% della popolazione ha goduto del 95% dei frutti della ripresa), sono infine tornati in forze il tipo di operazioni e di contratti che hanno provocato la crisi e così via.

La situazione del sistema bancario in Europa

La crisi del sistema finanziario statunitense, rivelato dalle vicende del 2008, ha fatto presto ad arrivare anche in Europa.

Intanto le banche statunitensi erano riuscite a scaricare a suo tempo una fetta consistente dei loro titoli spazzatura sul sistema finanziario del nostro continente, che non mancava già, d’altro canto, di difficoltà specifiche. Da una parte si rivelavano nel frattempo la crisi dell’immobiliare spagnolo e di qualche altro paese minore, dall’altra venivano alla luce, in particolare in Gran Bretagna, in Spagna, in Germania, rilevanti problemi dei sistemi bancari locali, mentre l’elevato livello dell’indebitamento pubblico in paesi come l’Italia e la Grecia contribuiva anch’esso alla confusione.

A questo punto, i governi cercano di intervenire finanziariamente sulle crisi bancarie con il risultato che le difficoltà si spostano ormai dal sistema finanziario ai bilanci pubblici, in particolare di quelli dei paesi del Sud Europa. Ne seguono le politiche di austerità e la crisi della politica del credito; il sistema industriale ne soffre di conseguenza, mentre si crea una spirale perversa tra le crisi bancarie e quelle del debito pubblico.

I problemi odierni delle banche europee si possono sintetizzare ricordando intanto che, secondo alcune stime, le necessità di ricapitalizzazione del sistema oscillerebbero oggi tra 1,0 e 2,5 trilioni di euro. Tali necessità sono nascoste nelle pieghe dei bilanci di tali istituti. In maggior dettaglio, le banche europee oggi hanno grandi carenze di capitali propri, troppi crediti dubbi in bilancio, rilevanti difficoltà di liquidità.

Parallelamente il sistema delle imprese appare mediamente troppo indebitato.

Il ruolo della finanza pubblica

A questo punto appare chiaro che gli obiettivi di fondo che dovrebbero essere perseguiti con urgenza nell’Unione Europea sono quelli di governare e controllare il sistema bancario da una parte, assicurare il flusso di credito all’industria dall’altra.

A tale fine appare molto importante a nostro parere accrescere il ruolo del settore finanziario pubblico.

Nella storia europea recente c’è già una grande tradizione di intervento pubblico nel sistema finanziario.

Distinguiamo a questo proposito, in particolare, le nazionalizzazioni strutturali, quelle temporanee e infine l’esistenza di alcune strutture finanziarie particolari.

Sul primo fronte ricordiamo in particolare le vicende francesi. Le grandi banche di quel paese sono state nazionalizzate per ben tre volte. La prima, nel 1936, nel periodo del fronte popolare, anche per far fronte al “mur d’argent”, alla forte opposizione del sistema finanziario al rinnovamento politico del paese; poi nel 46, alla fine della guerra, nell’ambito di un ambizioso programma di ricostruzione; infine con Mitterand nel 1981.

Sottolineiamo che qualcosa in parte simile è avvenuto negli anni trenta in Italia, dopo la grande crisi che aveva travolto sia il sistema finanziario che quello industriale. Ci siamo così ritrovati con tre grandi banche in mano pubblica e gestite dal gruppo Iri. Esse hanno a lungo avuto un ruolo importante in particolare nella ripresa economica e nel processo di industrializzazione del paese.

Si sono poi state anche vicende in cui una o più banche sono state nazionalizzate in via temporanea a causa di difficoltà specifiche. Abbiamo avuto così il caso delle banche svedesi, qualche decennio fa, restituite al mercato privato dopo il risanamento; ora, con la crisi, vicende analoghe si sono registrate in paesi così diversi quali la Gran Bretagna e la Spagna.

Vogliamo infine ricordare, per quanto riguarda alcuni paesi europei, la presenza di alcuni grandi strutture finanziarie pubbliche; è il caso in Francia della CDC e in Germania della KFW. Esse, con tutti i loro problemi, svolgono comunque un meritorio lavoro nel sostenere lo sviluppo dell’economia dei loro paesi. Ricordiamo anche come di recente la CDC abbia dato origine ad una grande banca di sviluppo nazionale.

Sottolineiamo ancora come in Italia abbiamo poi la Cassa Depositi e Prestiti, sulla quale si intratterrà peraltro in dettaglio un altro oratore e sulla cui operatività non si può certo esprimere un giudizio positivo. L’istituto è diventato una specie di “prostituta del credito”, non negando il suo intervento finanziario a tutti i potenti del nostro paese e invece centellinandolo là dove esso sarebbe più utile. Peraltro si stratta di tendenze che sembrano diffondersi alla gran parte del sistema bancario italiano.

Cosa si potrebbe fare in Italia oggi

Bisogna prima di tutto sottolineare che un intervento pubblico nel settore finanziario dovrebbe in via prioritaria servire a sostenere lo sviluppo della piccole e medie imprese, che oggi soffrono anche per la contrazione del credito nei loro confronti. Parallelamente, i flussi di credito dovrebbero essere orientati in direzione di iniziative che incrementino o sostengano l’occupazione, l’innovazione tecnologica, la crescita del settore dell’economia verde.

In questa direzione gli strumenti utilizzabili potrebbero essere molteplici. Ne ricordiamo alcuni:

  • la nazionalizzazione di alcuni istituti potrebbe essere molto utile allo scopo. Ci si potrebbe rivolgere in questo momento a quelli che hanno maggiori difficoltà operative a seguito dei problemi scoppiati nell’ultimo periodo, dal Monte dei Paschi di Siena alla Banca delle Marche, alla Carige.
  • c’è chi sottolinea come invece della nazionalizzazione si dovrebbe pensare ad una possibile socializzazione nella gestione di alcuni istituti. Che se ne discuta;
  • indubbiamente la Cassa Depositi e Prestiti dovrebbe essere spinta a cambiare i suoi indirizzi gestionali, distogliendo l’attenzione dai grandi e dai potenti e rinforzando fortemente il suo intervento a favore della piccola e media impresa e degli obiettivi sopra enunciati;
  • c’è chi, come il professor Pizzuti, suggerisce, correttamente a nostro parere, di spingere i fondi pensione nazionali ad indirizzare una parte rilevante delle loro risorse verso gli stessi obiettivi;
  • altri, come tra l’altro il professor Boeri, suggeriscono, altrettanto correttamente, di utilizzare i fondi strutturali europei come garanzia per i prestiti del sistema bancario ancora alle piccole e medie imprese; lo studioso mette inoltre in rilievo come tale intervento potrebbe avere un effetto di leva molto importante e mobilitare risorse aggiuntive per diverse decine di miliardi di euro;
  • tutto questo senza dimenticare il livello europeo. Bisogna spingere da una parte perché nel breve termine le risorse della Banca Europea degli Investimenti, rivolte ai paesi del Sud Europa, siano fortemente aumentate, dall’altra operare perché nel medio termine siano fortemente ampliati più in generale i mezzi per sostenere delle politiche di sviluppo verso il Sud Europa.

    Peraltro per attivare lo sforzo che sarebbe necessario ci vorrebbe un governo capace di governare e con alcune idee chiare sui temi da affrontare. Siamo, ahimè, lontani da tale ipotesi.

 

(Intervento alla II Sessione, 6 settembre 2013: Come finanziare una nuova economia che crei lavoro, sostenibile e più equa?)

 

 

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