La scossa di Atene/Syriza e Podemos: la sinistra europea ha creato un rapporto politico strategico. E i socialisti potrebbero cambiare posizione
La politica europea è politica interna. Ormai non possono esserci più dubbi: per «cambiare verso» all’indirizzo che, con varia intensità, predomina in ciascun Paese dell’Ue, è indispensabile introdurre un granello di sabbia nell’ingranaggio delle istituzioni dell’Unione. Anzi, possibilmente più di uno. Non ci si è riusciti in occasione delle elezioni tedesche del settembre 2013, e nemmeno nelle consultazioni continentali dello scorso maggio, ma ora si presenta nuovamente una chance: se Alexis Tsipras siederà nel Consiglio europeo come premier della Grecia, l’austerità potrebbe essere all’inizio della sua fine. Non solo per gli effetti diretti dell’azione del leader di Syriza, ma anche per il riposizionamento che potrebbe innescare nelle file dei capi di governo del Partito socialista europeo – incluso persino Matteo Renzi. E, ovviamente, per le speranze che susciterebbe, per l’ulteriore entusiasmo che infonderebbe, nel fronte di opposizione in Spagna, l’altro stato-chiave della periferia meridionale chiamato al voto quest’anno.
Non a caso l’attenzione alla Grecia nella sinistra della penisola iberica è molto alta. A dire il vero, non solo nella sinistra: con una mossa a sorpresa (conoscendo la prevedibilità dell’incolore personaggio), lo scorso mercoledì 15 il premier Mariano Rajoy si è recato ad Atene per sostenere pubblicamente il suo omologo conservatore Antonis Samaras. Nonostante le formule prudenziali dovute all’etichetta della diplomazia («non parlo dei singoli partiti greci»), il leader del Partido popular è stato inequivocabile: «Sono qui per difendere il valore di certe politiche: dure, difficili, ma che erano necessarie, imprescindibili, e soprattutto che hanno prodotto risultati positivi, ponendo le basi per un futuro solido». E non è mancata un’allusione inequivocabile a Syriza: «Promettere cose che sono impossibili non ha nessun senso. Non solo: genera anche un’enorme frustrazione». Rajoy sa perfettamente che in Grecia è in gioco la tenuta del teorema «non ci sono alternative»: se un’eventuale vittoria di Tsipras dovesse mostrare che è possibile percorrere un’altra strada per affrontare la crisi del debito, per lui si ridurrebbero ulteriormente le possibilità di continuare a guidare il Paese dopo le elezioni del prossimo autunno.
Atene e Madrid mai così vicine, quindi. L’esperienza di Podemos, dopo la primissima fase molto «nazionale», è venuta crescendo in parallelo con lo sviluppo delle relazioni con Syriza. La candidatura di Pablo Iglesias a presidente dell’Europarlamento per il gruppo della Gue (Sinistra unitaria europea), la partecipazione di Tsipras al congresso di fondazione di Podemos come partito politico, la presenza del leader spagnolo al comizio di ieri sera sono le tappe simboliche fondamentali di un rapporto che si è fatto strategico. Fin troppo facile per Iglesias mettere in difficoltà i concorrenti socialisti del Psoe: «Non ho capito se in Grecia stanno con Syriza che combatte l’austerità o con il Pasok che l’ha sostenuta nella ‘grande coalizione’ con i conservatori di Samaras». L’imbarazzo socialista è evidente: la linea ufficiale del neosegretario Pedro Sánchez non va oltre il richiamo deciso a «rispettare la volontà democratica del popolo greco» e al riferimento all’esigenza di mutualizzare il debito pubblico a livello europeo. Ma il messaggio-chiave, supportato dagli editoriali dell’influente quotidiano di centrosinistra El País, è un altro: «Fra Spagna e Grecia non si possono fare parallelismi». Il contrario di quello che pensano tanto Podemos quanto Izquierda unida (Iu), l’altra formazione che guarda con speranza alla possibile affermazione di Tsipras. Oggi in grave difficoltà nei sondaggi, Iu confida che un’eventuale vittoria di Syriza le serva anche per evitare la marginalizzazione: «Se la forza del movimento greco è di essere una coalizione unitaria – questo il ragionamento – allora dobbiamo federarci anche noi in Spagna». Come si è fatto, in settimana, per le prossime municipali di Barcellona. Ma nelle file di Podemos c’è chi pensa – non senza ragioni – che la credibilità della loro organizzazione stia nell’attuale condizione di splendido isolamento: la questione resta aperta.
Non sono solo le periferie a guardare con attenzione alla Grecia. Lo si fa anche dal centro del Vecchio continente. E come la cancelliera Angela Merkel, così la principale forza di opposizione di sinistra, la Linke, non è indifferente al risultato di domenica prossima. Con aspettative, ovviamente, opposte. Per il partito di Gregor Gysi il possibile successo di Syriza rappresenta «una chance per la Germania e l’intera Europa». Perché nell’intero continente deve finire «la follia dei tagli e della riduzione dei salari». E quindi la ristrutturazione del debito greco è giusta e inevitabile, mentre la tesi della sostenibilità di un’eventuale uscita della Grecia dall’euro va respinta: «È un invito a nozze per gli speculatori a prepararsi per il prossimo attacco». Nell’appoggio esplicito e incondizionato della Linke a Syriza – molte le iniziative, compreso il sostegno alla campagna di raccolta fondi per permettere agli studenti greci all’estero di tornare in patria a votare – non manca l’accortezza di lanciare messaggi all’elettorato tedesco, esposto più di altri alle sirene del «populismo dell’austerità»: «Chi vuole davvero fare gli interessi dei nostri contribuenti, deve battersi affinché la Grecia sia nelle condizioni di ripagare i suoi debiti: una possibilità che si realizzerà solo se quel Paese smetterà di impoverirsi e tornerà a crescere», afferma ad esempio l’eurodeputato di origine italiana Fabio De Masi. E per questo la Linke non dimentica mai di dire che nel Pese ellenico serve una politica fiscale più equa, che colpisca i milionari e dia respiro alle ceti medi e popolari. La lezione è quella antica: la lotta è fra classi sociali, non fra nazioni.
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