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Non chiederci il voto

15/06/2011

La volontà popolare espressa nei referendum italiani è un modello per l’intero pianeta. Il rispetto della dignità umana e dell’eguaglianza tra le persone, la difesa della natura dal disastro ambientale parlano anche la nostra lingua.

Tutti conoscono i famosi versi finali di “Non chiederci la parola” che fa parte degli “Ossi di seppia” di Eugenio Montale: “Codesto solo oggi possiamo dirti,/ ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.” Miracoli della poesia, due versi ci aiutano a capire, più di un intero trattato, quel che è avvenuto nelle ultime settimane in Italia, tra elezioni amministrative e referendum; e perché. Prevedere cosa avverrà in futuro è meno agevole, senza poeti come siamo, ma si può almeno tentare di farsi un’idea sul presente; anzi dobbiamo farlo.

 

Oltre metà della popolazione in età di voto ha detto cosa non voleva. Prima delle elezioni, il potere politico si accontentava di sondaggi accattivanti. Il resto non voleva proprio saperlo, non gli importava affatto. Prevedeva un pareggio – 2 città importanti a 2 – nelle elezioni a Milano-Torino-Napoli-Bologna. Altre città, Cagliari tra tutte, erano assolutamente (parola di uso frequente per il presidente del consiglio, soprattutto quando non dice la verità) sicure; come anche sicuro era il solito quorum mancato nei referendum.

 

Questo risultato era stato preparato secondo l’abituale e goffa ribalderia burocratica: la scarsa informazione dei media sui referendum, la scelta della data più disagevole, il sostanziale invito a disertare il voto, indicato come vano e buono solo per lasciar sfogare i disobbedienti. In complesso era previsto un esito assai favorevole. Il potere politico si aspettava che in Italia il voto nei referendum sarebbe stato simile in percentuale al risultato poi effettivamente realizzato tra gli italiani all’estero: partecipazione del 23%, con i sì tra due terzi e tre quarti, a seconda del quesito; e ancora una volta la prova che la politica è solo quella delle elezioni generali.

 

Invece non è andata così. Nei referendum del 12-13 giugno si è manifestata una maggioranza vera e compatta, diffusa lungo tutto il paese, decisa a fare scelte sull’acqua, il nucleare, il legittimo impedimento: argomenti apparentemente di qualità e origini diverse. La maggioranza della popolazione con diritto di voto ha in primo luogo stabilito di avere il diritto di scegliere. I diritti diventano, come è noto, più forti, insopprimibili, quando sono negati ingiustamente. In secondo luogo ha scoperto di essere in grado di organizzarsi. Un milione e quattrocento mila firme di qua, raccolto dai movimenti per i referendum sull’acqua bene comune e un altro milione di là, per il terzo referendum sull’acqua, poi bocciato dalla Corte costituzionale, per il legittimo impedimento e per il nucleare, trascinato dall’Italia dei Valori.

 

Poi, per una volta, gli steccati sono stati rimossi, i sospetti sono caduti quasi per l’intero. Tutti hanno lavorato al meglio, con fiducia nelle proprie forze, con lealtà nell’impegno di tutti. Greenpeace si arrampicava per ogni dove senza badare, dando un seguito amplificato alla raccolta delle firme fatta di Di Pietro. La lotta contro il nucleare era la sua lotta. La Cgil si esponeva sull’acqua bene comune, facendo grandi strappi alle convinzioni tradizionali, seguita perfino dal partito democratico, portatore di progetti idrici alternativi a quelli del movimento. Ci si è accorti con qualche stupore che la popolazione rispondeva agli appelli referendari e si accingeva a votare in massa per i quattro referendum. Ed era sempre la stessa e lo faceva con la stessa convinzione, per il nucleare e l’acqua e il legittimo impedimento, per sconfiggere l’intollerabile prepotenza del governo e cominciare a costruire un presente diverso, più sereno e più vivibile, più libero ed equo.

 

Adesso la politica continua, con i suoi partiti, le maggioranze e il resto. Sarebbe un errore tentare di piegare il risultato referendario a uno schema partitico, un errore grande quasi quanto quello di affermare che non è accaduto niente.

 

Non è un popolo prepotente quello dei referendum, ma sa quello che vuole, quello che è indispensabile costruire, per migliorare la tenuta del nostro paese e farne un luogo giusto e rispettato nel mondo. Le scelte dell’acqua bene comune, l’eliminazione dell’elettricità nucleare a vantaggio del risparmio e delle energie rinnovabili, sono esempi per gli altri paesi. L’Italia è un paese tra quelli ricchi e invidiati nel mondo che per una volta e per primo ha fatto scelte giuste e decisive cui gli altri paesi si riferiranno cercando di arrivare a soluzioni simili. Per una volta, nel presente, siamo da imitare, da inseguire, da raggiungere. Per una volta gli altri faranno come noi. Non accadeva da cinquecento anni. E se vi sembra poco…

 

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