La città ha scoperto di vivere in un clima sorprendente e condiviso di partecipazione e di impegno politico. Nello stesso tempo ha capito che partecipazione e impegno erano diventati un esempio per tutte le altre città, per le comunità italiane.
Interessante aver vissuto a Milano, da sociologa, la campagna elettorale per le amministrative, e soprattutto la fase che ha portato al ballottaggio.
C'è stato il ruolo importante del mondo imprenditoriale (Bassetti e il gruppo 51), l'appoggio – affettuoso, mi viene da dire – di figure significative della cultura (Umberto Eco, Gae Aulenti, Nando Dalla Chiesa, e altri). Incontri nei quartieri periferici e nei mercati, nelle piazze in occasione dei concerti, nei numerosi gruppi di lavoro su questioni cruciali per la città: i servizi, il lavoro, il traffico, l'aria che si respira; i rom, la questione delle moschee, i diritti delle donne, delle persone Lgbt, degli immigrati. Anche serate organizzate in modo molto informale a casa di alcuni dei candidati: persone che da anni non si vedevano si sono incontrate, si è parlato dei problemi, della necessità di cambiare le cose, e si è quasi "scoperto" che parlarsi e fare insieme è una bella esperienza..
Via via, in queste giornate, ci si è accorti che in città si andava costruendo un clima condiviso di partecipazione e di impegno politico. Chi lo avrebbe immaginato: eravamo da anni in una specie di letargo rassegnato.
E forse si arriverà a non dire più che i "giovani" sono rassegnati, passivi, senza voce. Sono stati attivi, coinvolti, appassionati.
Anche andando in giro (mi è capitato di trovarmi a Roma e a Milano, a Firenze e a Genova): tutti mostravano grande attenzione, facevano domande. Altri esprimevano la loro partecipazione via mail (anche dall'estero: dalla Spagna dicendo delle drammatiche condizioni nel loro paese e delle mobilitazioni degli indignados, dalla Francia con riferimento alle vicende di alcuni personaggi "problematici" del loro scenario pubblico).
E c'è la scadenza "europea" e anzi internazionale dell'Expo: un altro aspetto centrale, certo problematico, che la città ha davanti.
Ci siamo dunque sentiti non "milanesi" soltanto: a molti di noi questo non basterebbe proprio.
Le molte questioni: la crisi dell'economia e i dati delle pesantissime difficoltà nel mondo del lavoro; le disuguaglianze, ormai parte del nostro scenario e date quasi per scontate; le tante forme di intolleranza e xenofobia e razzismo.
Su tutto questo si è forse arrivati a capire limiti e rischi se si continua a pensare in dimensioni "locali" (o anche "nazionali"). Mi sembra di poter dire che nel corso di questa vicenda abbiamo capito come si debba pensarci in nuove dimensioni: che si è aperto un percorso. Siamo più consapevoli (anche, forse, curiosi) del nostro essere "europei". E gli eventi nei paesi dell'area mediterranea, così vicini (e legati) a noi: sono processi e vicende che, lo si è capito ormai, ci riguardano.
Ripensiamo quel che è successo in queste settimane dunque tenendo conto dei tanti "dati" che ci riguardano, ma anche andando oltre.
È un'occasione, forse, per imparare a pensare al futuro nella prospettiva "giusta": partendo da questo momento di (insperato) cambiamento.
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