La storia singolare di Carlo De Benedetti, dalle grandi battaglie finanziarie del passato alla ridotta della Cir. Oggi il gruppo si concentra su editoria, energia, componentistica per auto, sanità, alcuni servizi finanziari. In vista un aumento del peso dell'energia nei conti e nell'interesse del gruppo
Premessa
La parabola imprenditoriale di Carlo De Benedetti appare abbastanza singolare pur in un panorama così variegato come quello italiano. Per alcuni versi, essa può essere paragonata in particolare a quella di Marco Tronchetti Provera o di Raul Gardini, che hanno dovuto assistere, dopo un avvio abbastanza sfolgorante, ad un sostanziale e successivo crollo, più o meno accentuato, dei loro imperi aziendali e dei loro sogni di egemonia sul sistema economico nazionale; ma, per altri versi, essa si distacca in maniera rilevante da quella dei casi sopra citati sia per le maggiori dimensioni e la maggiore varietà delle attività economiche nelle quali egli è stato implicato per periodi più o meno lunghi, sia, tutto sommato, per il maggior rilievo nazionale ed internazionale delle sue azioni e contemporaneamente anche per il suo rifiuto sostanziale di collegarsi organicamente ad altri potentati economici e politici del nostro paese.
Da rimarcare, inoltre, il fatto che De Benedetti è stato a lungo considerato da molti, al contrario degli altri due, come il portatore di un processo di modernizzazione del capitalismo italiano, più aperto e trasparente, con la proposizione di un modello abbastanza vicino, almeno per alcuni aspetti, a quello statunitense.
Nell’ultimo periodo, invece, ritiratosi nella ridotta della Cir a causa delle difficoltà incontrate nella gestione di alcune grandi partite nazionali ed internazionali, la parte più consistente del fatturato di un gruppo molto ridimensionato rispetto al passato appare ormai legata a dei settori in cui prevale il meccanismo dei prezzi amministrati e poco invece quello dei meccanismi di mercato. Così, alla fine, la sua parabola si avvicina a quella di un’altra fetta importante della grande imprenditoria italiana, dai Benetton a Ligresti, che, non riuscendo a imporsi sui mercati competitivi, si affidano nella sostanza alla benevolenza dell’apparato pubblico.
Partendo da una piccola impresa di famiglia, il destino dell’imprenditore è stato legato successivamente, sia pure a volte molto brevemente, a imprese ed attività quali la Fiat, la Olivetti, la francese Valeo, il varo della telefonia mobile nel nostro paese, la Mondadori, la Société Générale de Belgique, la Sme, la Buitoni, alcune banche quali il Credito Romagnolo e il Banco Ambrosiano e così via. Dopo il crollo delle sue iniziative, egli è rimasto proprietario del solo gruppo Cir, gruppo cresciuto sia pur faticosamente negli ultimi anni, ma ancora oggi relativamente modesto come dimensioni e ripiegato per la gran parte sul nostro paese; esso è peraltro oggi gestito dal figlio Rodolfo, tranne che per la parte editoriale ancora sotto il controllo operativo dell’ingegnere.
Un po’ di storia
Dopo essere entrato nella società siderurgica del padre, nel 1972 Carlo De Benedetti acquista, insieme al fratello Franco, la Gilardini, operante nel settore metalmeccanico; nel 1974 è nominato presidente dell’Unione industriale di Torino.
Nel 1976, conquista quasi miracolosamente l’incarico di amministratore delegato della Fiat, grazie alla sua amicizia con Umberto Agnelli e diventa anche azionista della società grazie all’apporto nell’impresa automobilistica del capitale della stessa Gilardini. Ma dopo appena pochi mesi egli è costretto a lasciare la carica, non è chiaro quanto per l’opposizione della vecchia dirigenza, in particolare di Cesare Romiti, e quanto per divergenze con la famiglia sia sulla strategia da seguire che sulla stessa distribuzione dei poteri di gestione. Qualcuno a suo tempo affermò che gli Agnelli temevano che egli volesse perfino impadronirsi dell’azienda.
Con i soldi derivanti dalla cessione delle azioni Fiat compra successivamente la Cir; successivamente viene anche varata la Sogefi, operante nel settore dei componenti automobilistici.
È del 1978 il suo ingresso nell’Olivetti, chiamato dall’allora presidente Bruno Visentini. La sua azione all’interno dell’impresa può essere suddivisa in due momenti. Nel primo egli riesce apparentemente a migliorare notevolmente la situazione e le prospettive del gruppo, sia a livello di strategie operative, che a livello economico e finanziario. Nella seconda fase, invece, la situazione precipita. Concorrono a questo pessimo risultato il fatto che egli fosse occupato contemporaneamente su molti altri fronti imprenditoriali, ma anche, secondo molti, la sua cultura eminentemente finanziaria più che operativa, per di più in un settore estremamente competitivo, il suo carattere incostante, il precipitare generale infine della situazione nel settore delle macchine da ufficio di fronte all’incalzare delle nuove tecnologie dell’informatica. Praticamente nessuna impresa del comparto è sopravvissuta all’onda d’urto che questo ha comportato.
Nel 1996 De Benedetti lascia l’azienda poco dopo aver fondato la Omnitel, oggi Vodafone.
Nei primi anni ottanta egli entra nel capitale del Banco Ambrosiano governato da Roberto Calvi e viene nominato vicepresidente. Soltanto due mesi dopo lascia il banco alla vigilia del fallimento, rivendendo la sua quota con una notevole plusvalenza. Per questo affare sarà processato con l’accusa di bancarotta fraudolenta e comunque alla fine assolto.
Dopo la sua decisione di entrare nel settore alimentare con l’acquisto nel 1984 della Buitoni-Perugina, allora in difficoltà, nel 1985 compra la Sme dall’Iri. Ma l’opposizione politica di Craxi, allora presidente del consiglio, fa saltare l’affare e successivamente De Benedetti, non essendo riuscito a ottenere una presenza significativa nel settore, ne uscirà completamente, vendendo la stessa Buitoni-Perugina alla Nestlé, per 1.600 miliardi di lire (Friedman, 1989) molto di più di quanto l’aveva pagata.
Nei primi anni ottanta prende il controllo della Valeo francese, grande azienda di componentistica, ma che nel 1984 presentava una perdita di 121 milioni di franchi francesi e un indebitamento di 3.500 milioni. De Benedetti riesce nel 1988 a portare la società a un utile di 817 milioni di franchi e l’indebitamento a meno di un terzo di quello precedente, con un rilevante aumento del fatturato (Friedman, 1989).
Nel 1988 avviene il tentativo di scalata alla Sgb, di gran lunga il principale gruppo belga, tentativo che fallirà per alcune ingenuità di comportamento dell’ingegnere e del suo staff durante l’operazione e per la feroce opposizione del vecchio management della società e di una parte almeno dell’establishment belga.
Nello stesso anno egli vince invece la battaglia per il controllo del Credito Romagnolo, combattendo aspramente contro un progetto alternativo della famiglia Agnelli.
Tra la fine degli anni ottanta e i primi anni novanta, si verifica un’altra e più cruenta battaglia questa volta per il controllo del gruppo Mondadori, tra De Benedetti e Berlusconi; come è noto, vince quest’ultimo, forse con mezzi fraudolenti, come sanzioneranno poi i tribunali; comunque il gruppo Espresso-la Repubblica esce alla fine da Mondadori e viene acquisito dall’ingegnere attraverso un accordo “amichevole” con l’avversario, mediato dal potere politico (Andreotti).
Le difficoltà finanziarie e di altro tipo collegate all’uscita dall’Olivetti costringeranno alla fine comunque De Benedetti a sbarazzarsi praticamente di tutte le sue conquiste societarie precedenti e a concentrare la sua attività ormai sul solo gruppo Cir.
La struttura e i risultati principali del gruppo
Dopo la crisi Olivetti, in particolare è Rodolfo De Benedetti che contribuisce alla ristrutturazione della finanziaria di famiglia, aprendola ai nuovi settori dell’energia e della finanza (Astone, 2009); oggi è sempre lui, con la carica di amministratore delegato, a gestire gran parte degli affari.
Come tutti i buoni imprenditori italiani, De Benedetti controlla il gruppo Cir attraverso alcune scatole cinesi. Così l’ingegnere possiede il 45,7% del capitale della Cofide, mentre un altro 7,7% è nelle mani del Credit Suisse. La Cofide, a sua volta, detiene il 45,8% circa delle azioni della Cir, mentre il 10,2% è di proprietà invece della Bestinver Gestion spa, un fondo spagnolo del gruppo Acciona e il resto è quotato in borsa.
I settori in cui oggi opera il gruppo sono costituiti dall’editoria, attraverso l’editoriale L’Espresso (55%), l’energia, con la Sorgenia holding (51,9%), la componentistica per auto con la Sogefi (57,6%) e la sanità, con la Kos (65,4%). Esso opera inoltre nel settore del recupero crediti attraverso la Jupiter Finance (98,8%) e nel settore dei servizi finanziari attraverso la Ktp (47,5%). Sempre la Cir controlla poi il 100% delle azioni della Cir International sa, società di diritto lussemburghese, che sembra operare, oltre che in generale come punto di smistamento delle risorse finanziarie del gruppo, nei settori del private equity e degli hedge fund.
Nel 2009 il gruppo, che alla fine dell’anno occupava circa 13 mila dipendenti, ha avuto ricavi complessivi per 4,3 miliardi di euro, contro i 4,7 miliardi del 2008; la crisi ha così preteso la sua parte.
La Sorgenia da sola sviluppa nel 2009 circa il 55% del fatturato totale, il gruppo Espresso il 21%, la componentistica per auto il 18%, la sanità il 6%. Il fatturato italiano è pari all’82,6% del totale.
L’utile netto, di 143,4 milioni per il 2009, al contrario del fatturato, appare in crescita rispetto all’anno precedente, in cui si registravano profitti per 95,5 milioni. Mentre il risultato della gestione operativa appare in forte riduzione, l’incremento dell’utile netto appare legato a dei fattori straordinari per lo stesso 2008; comunque i due esercizi mostrano poi come una rilevante parte degli utili di bilancio sia dovuta alla dimensione finanziaria della gestione, con degli elevati proventi da negoziazione titoli, anche se in diminuzione nel 2009 rispetto all’anno precedente. I primi mesi del 2010 registrano un fatturato in crescita e invece un utile netto in diminuzione, soprattutto per il venir meno dei citati risultati di tipo straordinario.
L’indebitamento appare relativamente sostenuto, anche se non particolarmente drammatico. Alla fine del 2009, in effetti, il patrimonio netto totale era pari a 2.332 milioni di euro, cifra uguale al 56,4% del totale del capitale investito netto, mentre si registravano 1.801 milioni di debiti finanziari netti, rappresentativi del 43,6% del totale delle fonti. Va peraltro sottolineato che tale indebitamento appare in crescita rispetto all’anno precedente, anche se tale aumento è da collegare peraltro ai nuovi investimenti in Sorgenia per nuove centrali e come tale la tendenza non appare particolarmente preoccupante.
I dati relativi ai primi nove mesi del 2010 mostrano una rilevante ripresa del fatturato (+11,5% rispetto al corrispondente periodo del 2009) e un miglioramento degli utili della gestione operativa.
Brevi note sui vari settori
Il comparto dell’energia appare molto appetibile per gli alti margini assicurati dal fatto che le tariffe sono amministrate e che il settore pubblico, almeno in Italia, di solito è molto indulgente in merito. La Sorgenia è entrata da pochi anni nel settore e attualmente è il quinto operatore per dimensioni, dopo Enel, Eni, Edison e Acea. In realtà, l’attività della società ha poco carattere industriale e molto, invece, di intermediazione finanziaria. A tal fine, la famiglia si è alleata con Verbund, l’azienda energetica pubblica austriaca, che possiede il 26,6% del capitale della società. Comunque l’attività produttiva sta aumentando con la costruzione di alcune centrali nel nostro paese. Le prospettive del settore sembrano in ogni caso molto incoraggianti. Così come incoraggianti sembrano quelle del settore sanitario, area nella quale il gruppo opera soprattutto in alcune specifiche attività.
Il settore dell’editoria, grande passione di Carlo De Benedetti da lui gestito direttamente, presenta invece delle prospettive difficili in tutto il mondo, insidiato come è in particolare dalla diffusione delle innovazioni elettroniche. Per migliorare le sue prospettive, il gruppo dovrebbe probabilmente inserirsi nelle nuove tecnologie e trovare inoltre anche la via dei mercati esteri, ma il ritorno economico di tali eventuali strategie, visti i venti di tempesta che spirano sul settore, appare per lo meno incerto e il figlio Rodolfo sembra in ogni caso, al contrario del padre, restio a impegnarvi soldi ed energie.
Anche il settore della componentistica non presenta grandi previsioni di sviluppo, almeno in Europa, sotto la pressione delle difficoltà del mercato finale e della pressione delle case automobilistiche; anche le ridotte dimensioni del gruppo, anche se operante in nicchie di mercato, forse non permettono di intravvedere delle prospettive particolarmente interessanti. Anche tale comparto avrebbe bisogno probabilmente di rilevanti investimenti per una crescita sostenuta delle dimensioni.
Conclusioni
La parabola imprenditoriale di Carlo De Benedetti sembra giunta quasi al termine, mentre le prospettive della holding di famiglia non appaiono entusiasmanti e comunque non pari alle aspettative che la sua ascesa imprenditoriale aveva a suo tempo fatto intravvedere. Alla fine, nei prossimi anni, il gruppo si concentrerà probabilmente soprattutto sul settore dell’energia, che dovrebbe continuare a crescere di peso sia come fatturato che come risultati economici. Sembra escluso, anche per lo stile di gestione di Rodolfo De Benedetti, poco incline ai colpi di testa e ai rischi eccessivi presi di solito dal padre, che maturino grandi mutamenti o salti dimensionali per quanto riguarda le società attualmente in essere, né che la famiglia decida di entrare in qualche nuovo affare di dimensioni clamorose.
Testi citati nell’articolo
Astone F., Gli affari di famiglia, Longanesi, Milano, 2009
Friedman A., Ce la farà il capitalismo italiano?, Longanesi, Milano, 1989
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