I provvedimenti della manovra finanziaria durano poche ore e poi sono rovesciati dai contrasti che suscitano all'interno della stessa maggioranza. La grave situazione economica non è affrontata con la serietà e l'impegno che sarebbero indispensabili
Quanto si sarebbe divertito Ennio Flaiano se fosse ancora tra noi! Avrebbe visto il suo celebre aforisma trionfare quale migliore sintesi di ciò che sta accadendo nel nostro paese. “La situazione è drammatica, ma non è seria”: proprio così, a guardare i continui giravolta di maggioranza e governo sulla manovra finanziaria. Di quante manovre finanziarie si compone un’estate? Nessuna risposta è ormai più possibile. Se ne è perso il conto. Dopo la guerra infinita abbiamo la finanziaria infinita. Un inseguirsi di provvedimenti e soprattutto di annunci, di decisioni che durano lo spazio di un mattino, nascono all’alba e muoiono sotto il fuoco di internet. È il caso della norma che voleva togliere gli anni universitari e del servizio di leva dal computo della pensione di anzianità. Giustamente si è scatenato l’inferno sul web e di lì a poco si sarebbe trascinato nelle piazze se il governo non avesse fatto subito retromarcia, spinto anche dalla quasi certezza di bocciature per incostituzionalità.
Mentre scrivo è nuovamente slittato il termine della presentazione degli emendamenti della maggioranza al Senato. Tutto può dunque ancora succedere e non c’è termine che possa porre fine all’incertezza della situazione. Ciò che trapela rasenta il ridicolo. Si parla, ad esempio, di un emendamento del relatore di maggioranza che vorrebbe imporre agli enti locali orari predeterminati per legge per la convocazione delle loro riunioni. L’Anci ha respinto con sdegno, giudicando l’eventuale norma di stampo fascista e comunque in evidente contraddizione con il proclamato federalismo.
Il nodo più serio per governo e maggioranza è come fare fronte al buco di circa sei miliardi che verrebbe provocato dalla precipitosa marcia indietro guidata personalmente da Berlusconi sul contributo di solidarietà – che però resterebbe per gli statali – che tanto male indispone il suo elettorato di riferimento.
Si è tornato quindi a parlare di innalzamento delle aliquote dell’Iva, malgrado che all’inizio l’ipotesi fosse stata esclusa. Ora è stata recuperata, non si sa se per questo nuovo giro di modifiche o per tenerla in serbo per interventi successivi, magari a fronte di bocciature della manovra da parte dell'Unione europea (Ue). Di un punto almeno, si dice. Naturalmente viene ribadita dai vari capigruppo della coalizione governativa l’impegno contemporaneo all’inasprimento della lotta all’evasione fiscale. A parte il fatto che i suoi esiti – lo sa bene chi l’ha fatta veramente, e cioè i governi Prodi – non sono precisamente quantificabili in sede previsionale, il testacoda del ragionamento della maggioranza è addirittura clamoroso. Infatti come è noto la principale via dell’evasione fiscale è costituita dal non pagamento dell’Iva. Già recuperare tutta quella evasa alle sue attuali aliquote sarebbe un gran bel risultato. Tenere assieme innalzamento della stessa e maggiori successi nella lotta all’evasione è cosa contradditoria in sé.
Ma soprattutto l’eventuale innalzamento dell’Iva provocherebbe un’ulteriore depressione dei consumi e quindi della domanda interna, il che è esattamente l’opposto di quello che si dovrebbe fare in questa situazione. Anziché adottare misure anticiciliche rispetto alle attuali tendenze della crisi, la si aggraverebbe con provvedimenti pro ciclici. La Confesercenti ha subito calcolato che, a consumi costanti, l’aggravio di spesa per le famiglie toccherebbe la punta di 400 euro l’anno. Poiché tale misura si aggiungerebbe al taglio delle detrazioni fiscali già previste con la manovra di luglio, in base alle quali le famiglie a basso medio reddito pagheranno di più anche in termini assoluti di quelle a reddito elevato, con un esborso maggiore che arriva fino agli 800 euro annui, il quadro di un impoverimento crescente della popolazione e quindi di un crollo della domanda interna è assicurato. Come pure quello di un aumento sia della povertà relativa che di quella assoluta, già così elevate nel nostro paese.
È quindi fuori di dubbio che seguire la strada del pareggio di bilancio – che si vorrebbe addirittura in Costituzione – come chiede la Ue comporta una recessione economica che peserà soprattutto sui paesi della periferia d’Europa e sui ceti più deboli dell’intero continente.
Dal punto di vista delle entrate non vi è alcuna alternativa a una tassazione ordinaria dei patrimoni. Si può discutere nel dettaglio la misura della franchigia esente, come pure le dimensioni delle aliquote, ma di questo si tratta.
Eppure anche nel campo dell’opposizione questa idea fa fatica a farsi strada. Lo si è visto nei confronti già in corso tra le tre principali forze del centrosinistra per la costruzione di una piattaforma della coalizione. Lo si vede nel decalogo avanzato dal partito di Bersani, per non parlare delle dichiarazioni dell’Italia dei Valori. La stessa proposta di tassare i capitali scudati, qualora riuscisse a superare tutte le varie difficoltà di attuazione, fra cui quella dell’anonimato e della permanenza di molti capitali scudati nelle banche estere, sarebbe in ogni caso una misura di tipo straordinario, per quanto auspicabile.
Quello che serve invece è una tassazione ordinaria del patrimonio in tutte le sue forme, immobiliari e finanziarie. La Cgil ha avanzato la proposta di una tassazione con un’aliquota media molto bassa – lo 0,5% – sopra gli 800 mila euro. È una buona ipotesi su cui si può lavorare. Nella ipotesi avanzata da Sel a fine luglio alle altre forze del centrosinistra si punta a una cifra esente minore e a un’articolazione della aliquota fino all’1% per i patrimoni decisamente al di sopra di un milione di euro.
L’obiezione che così si spaventano i ceti medi non ha davvero senso, dal momento che altrimenti sarebbero solo quelli che hanno un reddito fisso ad accollarsi il peso di rimpinguare le casse dello stato. Dal punto di vista dei ceti medi, quindi, non vi è proposta più perequativa di una patrimoniale ordinaria a bassa aliquota. Inoltre questa proposta è quella che ha l’impatto meno depressivo sul livello dei consumi e della domanda interna. Sarebbe la misura più adatta in un paese nel quale il tasso di patrimonializzazione della ricchezza è tra i più alti. Né a senso contrapporre a questa misura la lotta all’evasione fiscale, come purtroppo tocca sentir dire persino a sinistra. C’è infatti un nesso causale evidente tra alto tasso di patrimonializzazione della ricchezza e alto livello di evasione fiscale. Dove credete che finiscono i capitali accumulati attraverso l’evasione e l’elusione se non nei patrimoni immobiliari e finanziari dentro e fuori il nostro paese? In ogni caso certamente non in investimenti produttivi. Tassazione patrimoniale e lotta all’evasione fiscale si tengono, poiché, in entrambi i casi, si tratta di rimettere in comune ciò che è stato sequestrato dall’immobilizzazione del patrimonio privato o dalla illegalità dei suoi comportamenti. In modo tale da potere rilanciare gli investimenti pubblici in settori innovativi, socialmente e ambientalmente compatibili, e dare applicazione alla risoluzione del parlamento europeo che raccomanda a tutti gli stati membri di stabilire una protezione del reddito adeguata alla lotta contro la disoccupazione e per un lavoro dignitoso, un reddito minimo garantito. Non si esce dalla crisi se non si migliora in tutti i sensi la domanda e l’offerta di lavoro.
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