Pochissimi soldi, mal gestiti, non controllati. L'Ocse/Dac boccia la cooperazione allo sviluppo italiana. Gli impegni internazionali continuano ad essere disattesi
La settimana scorsa è stato presentato a Roma il rapporto periodico dell’Ocse sulla cooperazione allo sviluppo in Italia, la cosiddetta Peer review (1). Si tratta di un’analisi coordinata dal Comitato per l’aiuto pubblico (Dac) dell’Ocse ma di fatto realizzata da altri membri dell’organizzazione, nel caso specifico Francia e Grecia.
Obiettivo della Peer review è quello di stilare una serie di raccomandazioni, tecniche e politiche, al fine di garantire che ogni membro raggiunga standard condivisi di efficacia degli aiuti allo sviluppo rispetto a tutti gli aspetti della nostra cooperazione: risorse, quadro legislativo, priorità geografiche, dialogo con la società civile, coordinamento tra istituzioni, personale impiegato, gestione amministrativa, monitoraggio, gestione delle emergenze, eccetera.
La nuova Peer review arriva a distanza di quasi 6 anni da quella precedente, del 2004. È interessante allora partire da quest’ultima per capire cosa sta succedendo con il nostro sistema di aiuti.
Nel 2004 il Dac propose tredici riforme essenziali da realizzare entro il 2009. Queste comprendevano, tra le altre, incremento e certezza delle risorse impegnate, migliore definizione delle priorità, assunzione di nuovi esperti, snellimento delle procedure amministrative, realizzazione di un sistema di valutazione e monitoraggio e l’approvazione di una nuova legge: la legge attuale risale a prima della caduta del muro di Berlino e dagli anni ’80 ad oggi il modo di fare cooperazione è cambiato profondamente.
Purtroppo le raccomandazioni del 2004 sono state in gran parte disattese e con il tempo la lista si è solo allungata. Quest’anno le raccomandazioni sono diventate diciannove. Naturalmente le raccomandazioni non hanno tutte la stessa rilevanza e la stessa urgenza, benché nel documento del Dac vengano poste sullo stesso piano. Alcune, infatti, vanno ben al di là della semplice gestione tecnica del settore della cooperazione allo sviluppo ma contengono implicazioni politiche di grande rilevanza.
Nella presentazione pubblica fatta qui in Italia, il Chair del Dac Eckhard Deutscher ha sottolineato quattro aspetti essenziali per una rinnovata credibilità dell’Italia sul palcoscenico internazionale:
Necessità di una nuova legge che definisca un quadro normativo più attuale per il nostro sistema di cooperazione;
Adeguamento del volume di risorse agli impegni presi a livello internazionale;
Attenzione alla coerenza tra le politiche;
Monitoraggio e valutazione degli interventi.
1. Dopo mesi di serrato lavoro e confronto con tutte le parti interessate, durante la scorsa legislatura aveva preso corpo un disegno di legge che prevedeva al suo interno fondamentali novità: su tutte, l’istituzione di un’agenzia esecutiva e di un fondo unico che garantisse la coerenza tra le scelte politiche e le erogazioni, il definitivo slegamento degli aiuti e la distinzione netta tra cooperazione e iniziative di carattere militare e commerciale, come tra le attività legate allo sviluppo e quelle relative all’emergenza. L’interruzione della legislatura ha di fatto segnato il destino della riforma ma soprattutto ha lasciato l’impressione che si sia perduta un’importante occasione per dotare il Paese di uno strumento legislativo capace di rilanciare la cooperazione italiana. Nell’attuale legislatura la riforma della cooperazione è completamente uscita dall’agenda politica.
2. L’impegno finanziario italiano è ormai sceso ai suoi minimi storici. L’ultimo taglio degli stanziamenti ammonta al 56%, mettendo di fatto in ginocchio la cooperazione pubblica bilaterale. Attualmente le possibilità discrezionali italiane su come spendere i soldi sono ridotte al minimo visto che i quattro quinti delle risorse sono dovute ad impegni già presi, in particolare per i contributi obbligatori verso le agenzie internazionali. Nel 2010 l’Aiuto pubblico allo sviluppo italiano sarebbe dovuto essere dello 0,51% del Pil, invece non supererà lo 0,19%. E per gli anni a venire la manovra del Governo prevede tagli ulteriori.
Tale carenza avrà una pesante ricaduta a livello comunitario. Per il 2010 l’Europa a 15 si è infatti impegnata a raggiungere lo 0,56% del Pil dedicato alla cooperazione, ma, nonostante alcuni paesi abbiano superato le soglie rispetto alle quali si erano impegnati, la mancanza dell’Italia sarà determinante per il fallimento dell’obiettivo comune. Questo avviene peraltro proprio nell’anno di introduzione del Trattato di Lisbona e della politica estera comune minando sul nascere la credibilità dell’Europa quale leader nelle politiche globali per lo sviluppo.
Secondo Deutscher il rilancio dei volumi di aiuto diventa quindi una questione di “credibilità politica e responsabilità condivisa” per garantire le quali si calcola che ci vorrebbero almeno 6 miliardi di dollari aggiuntivi ogni anno.
3. Il Dac individua poi un grave deficit di coerenza tra le azioni di cooperazione adottate dall’Italia. I diversi attori si muovono in maniera non coordinata: ministero degli Esteri, dell’Economia, dell’Ambiente, Protezione Civile fanno ognuna cooperazione internazionale a modo proprio senza un luogo di raccordo, una direzione politica comune né un monitoraggio dei vari interventi.
4. Dal 2002 la cooperazione italiani non ha svolto alcun monitoraggio sistematico e indipendente dei progetti finanziati. Da anni non abbiamo cioè una seria valutazione di ciò che viene fatto e di quale impatto abbia. È stata ben accolta dal DAC l’istituzione di una nuova Unità di Ispezione, Monitoraggio e Verifica delle Iniziative di Cooperazione nel 2009, nella speranza che non sia stata creata solo in vista della Peer review ma che inizi ad operare in maniera efficace.
L’Ocse non ha nessun potere vincolante rispetto ai governi, non esiste quindi nessun tipo di sanzione per non rispettare le raccomandazioni del Dac. L’attuale maggioranza in passato non ha fatto nulla per venire incontro agli standard internazionali e nulla lascia premonire che questa volta sarà diverso. La delega alla cooperazione sarebbe del ministro Frattini che non sembra però essersi mai interessato al tema, tanto da non aver neppure incontrato la delegazione del Dac che preparava la Peer review. La risposta alle critiche di Deutscher spetta allora al sottosegretario Scotti che si rifugia dietro i vincoli di bilancio, disegnando l’Italia come vittima innocente della crisi internazionale visto che le nostre banche non erano esposte sul mercato dei subprime e semplicemente ignorando l’urgenza di una riforma del sistema di cooperazione.
Nonostante le bacchettate della comunità internazionale per i prossimi tempi sul fronte italiano della cooperazione allo sviluppo si prevede solo immobilismo e ulteriore taglio delle risorse.
(1) http://www.oecd.org/document/60/0,3343,en_2649_34603_44387452_1_1_1_1,00.html
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