La posizione dell’opinione pubblica tedesca è quella di chi sostiene di essere stanco di dover pagare per i guasti dell’eurozona. Ma la Germania non ha sostanzialmente perso un euro nel processo di aggiustamento innescato dalla crisi
La posizione della Germania e dell’opinione pubblica tedesca è anche quella di chi sostiene, più o meno apertamente, di essere stanco di dover pagare per i guasti dell’eurozona. Tuttavia, bisogna ricordare che, almeno sino ad oggi, la Germania non ha sostanzialmente perso un euro nel processo di aggiustamento innescato dalla crisi. Certo, essa partecipa, come gli altri paesi dell’eurozona, ai prestiti in favore dei paesi in difficoltà, in contropartita delle misure di austerità. Ma, la Germania guadagna abbastanza da questa relazione, in quanto i tassi di interesse su questi prestiti si aggiravano, almeno nel 2013, intorno al 5%. Inoltre, la presenza nel sistema dell’euro dei paesi del Sud Europa, con le loro ben note debolezze strutturali, mantiene il tasso di cambio dell’euro con le altre valute ad un livello molto più basso di quello la Germania avrebbe sopportato con una sua moneta nazionale, e questo le fa guadagnare enormemente nel livello di competitività internazionale (circa il 40% in più rispetto all’ipotetico marco tedesco).
È stato ad esempio calcolato che sino ad un cambio euro-dollaro intorno a 1,80, contro l’1,36 medio effettivo del 2013, le esportazioni del paese sarebbero ancora abbastanza competitive.
Per altro verso, la Germania stessa è molto indebitata, nell’ordine dei 2100 miliardi di euro, ma gode di tassi di interesse ridottissimi, sostanzialmente nulli, dato che, nella crisi e nelle incertezze conseguenti, gli investitori internazionali preferiscono titoli pubblici sicuri, come quelli tedeschi. Così gli investitori internazionali sono disposti ad accettare nel loro portafoglio rendimenti molto bassi investendo in tali titoli, ciò che porta ad un guadagno di circa 21 miliardi di euro all’anno per il paese; più o meno la cifra lorda che la Germania sborsa ogni anno come suo contributo al bilancio europeo!
In questa prospettiva, è bene ricordare come i piani di intervento finanziario portati avanti in questi anni dalla troika con i paesi deboli abbiano permesso soprattutto alle banche tedesche ed a quelle francesi di recuperare un grande volume di crediti che esse avevano concesso ai paesi del Sud, crediti altrimenti ad alto rischio di default. Viene quasi da pensare che gli interventi di salvataggio dei paesi in difficoltà siano stati proprio studiati soprattutto in vista del sostegno non ad essi, ma al sistema bancario delle nazioni forti.
Per altro verso, i paesi creditori, con in testa la Germania, sono riusciti a scaricare tutto il peso dell’aggiustamento sui paesi debitori, evitando di riconoscere le proprie responsabilità per gli squilibri. In particolare, la Germania non accetta di sostenere sulle sue spalle gli obblighi e gli oneri del suo ruolo di potenza egemone nell’eurozona.
Bisogna, infine, ricordare che, godendo la Germania da molti anni di rilevanti surplus nei rapporti commerciali con gli altri paesi, la sua economia riceve in cambio considerevoli livelli di risparmio (liquidità), che non sono consumate o investite in Germania, ma collocate all’esterno del paese. Tra il gennaio 2000 e il gennaio 2013 l’insieme di tali investimenti diretti all’estero, secondo le cifre della Bundesbank sono stati pari a 4.180 miliardi di euro. Circa l’83% delle somme in gioco sono state collocate in Europa, e il 60% nella sola zona dell’euro, in quei paesi cioè che condividono con la Germania la stessa moneta. Il paese, quindi, ha un interesse vitale alla sopravvivenza dello stesso euro.
L’aver messo l’accento sulle responsabilità della Germania non deve, comunque, d’altro canto, portare ad assolvere del tutto i paesi periferici europei, colpevoli anch’essi, sebbene in modo diverso, della situazione attuale: alcuni di essi, in particolare Italia e Grecia, di aver perseguito nel tempo politiche di bilancio irresponsabili, altri, quali la Spagna, il Portogallo, Cipro, l’Irlanda, di aver portato avanti delle strategie economiche che si sono rivelate alla lunga fallimentari. Il caso di Italia e Grecia appare particolarmente grave ed esso ha fornito grandi pretesti di intervento in senso regressivo a Bruxelles. È sulle loro “prodezze” nel dilapidare le risorse pubbliche che si è formata nel nostro continente la comoda immagine di una Europa del Sud spendacciona ed irresponsabile.
Per altro verso, i gravi vincoli posti da Bruxelles alle politiche pubbliche del nostro paese non ci devono far dimenticare che, anche considerando nel quadro complessivo le misure di restrizione budgetaria imposteci, pur tuttavia i vincoli dell’euro hanno, almeno sino ad oggi, rappresentato per i nostri governanti anche un comodo alibi all’inazione; in effetti, esse in realtà non impedirebbero comunque di portare avanti molte delle politiche necessarie al mutamento in positivo del quadro economico, sociale, politico del nostro paese, dalla riforma della pubblica amministrazione, alla riqualificazione della spesa pubblica, alla redistribuzione del carico fiscale tra le diverse classi sociali, al varo di politiche industriali degne di questo nome.