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Cancellieri, Riccardi e la cittadinanza a punti

04/05/2012

Avallata dai ministri Cancellieri e Riccardi, l'educazione civica "a punti" per gli stranieri è mortificante e paradossale. E troppo in linea con l'accanimento di Maroni

Il film, anche ben fatto, che duri più di tre ore mette a dura prova interesse e concentrazione. Per conferenze e lezioni va anche peggio: con buona pace di slides e animatori di professione, l’ingresso nella zona a rischio scatta dopo appena tre quarti d’ora, anche se il pubblico è tutto laureato. Effetti diversi, chissà perché, dovrebbe avere la “somministrazione” agli immigrati di una videocassetta che in cinque ore o più illustra tutto quello che bisogna sapere, il prima possibile, sull’Italia: ordinamenti della Repubblica, principi e valori fondamentali della Costituzione, caratteristiche dei sistemi sanitario ed educativo, contratti di lavoro e sicurezza, regole dell’immigrazione, obblighi fiscali, servizi sociali e quant’altro. Chiunque dovrebbe intuire che così è piuttosto difficile che in testa resti qualcosa di utile; che non è affatto scontato che quelle nozioni siano di immediata comprensione per tutti; e che ai “destinatari” di tanto impegno potrebbe apparire solo tempo perso, uno dei tanti accanimenti burocratici, una delle tante mortificazioni cui questo paese li sottopone. Altro che accoglienza, altro che integrazione.

Eppure è così, secondo i ministri Cancellieri e Riccardi, che deve svolgersi l’“educazione civica” di chi ottiene per la prima volta il permesso di soggiorno. Una sessione, minimo 5 ore massimo 10, obbligatoria entro tre mesi dalla data del rilascio. Pena, in caso contrario, la perdita di ben 15 dei 16 punti del “buono” iniziale (sono 30 quelli da cumulare entro due anni, soprattutto tramite un attestato di conoscenza della lingua italiana) . L’idea, in verità, non è di questo governo. E’ dell’ex ministro Maroni, della sua legge sull’“accordo d’integrazione” più nota come “permesso a punti”, di tutti quelli che ieri e oggi l’immigrazione vorrebbero scoraggiarla, se non si può con altro, almeno con le pagelle. Tant’è che i risultati di questa vorticosa cavalcata nell’intero scibile dell’italianità secondo le prime intenzioni dovevano essere anche formalmente valutati. Ma il governo tecnico, si sa, ama le semplificazioni: nel regolamento attuativo emanato lo scorso dicembre i voti/punti non ci sono più e sta sparendo anche il previsto affidamento esclusivo agli uffici dei Prefetti.

Gli Interni però non se ne stanno con le mani in mano. Per essere certi che i contenuti siano quelli giusti e che nessuno si permetta stravaganze, hanno predisposto un’apposita videocassetta - finalmente, anche qui, un po’ di multimedialità - l’hanno fatta tradurre in 19 lingue e poi, una volta accertato ciò che si sapeva fin dall’inizio cioè che i loro uffici periferici non sono in grado di metterci risorse di alcun tipo, stanno chiedendo a scuole, associazioni, sindacati e altri soggetti di buona volontà di accogliere per cortesia gruppi di immigrati con la stessa lingua di origine, di attrezzare aule con appositi videoproiettori, di dotarsi di mediatori linguistici in grado di interloquire. Certificando poi che alle apposite sessioni abbia diligentemente partecipato dall’inizio alla fine chi di dovere. Tutto, s’intende, gratuitamente, perché lo Stato, si sa, non ha soldi da spendere per l’immigrazione, al massimo può mettere in circolo, cioè a bando, quelli dell’apposito Fondo Europeo per l’Integrazione.

La buona volontà per fortuna in Italia non manca, e soprattutto la sana intenzione di tutelare gli immigrati dal rischio di perdere in un colpo solo metà dei punti necessari a non farsi rispedire al paese natio. E, già che ci siamo, di utilizzare la “sessione” per informarli su come fare per imparare l’italiano e per superare tutte le altre complicate incombenze del sogno italiano. Ma il tutto resta comunque desolante. Possibile che il nuovo governo, cui è spettata la definizione del regolamento attuativo della legge Maroni, non sia stato in grado di azzerare le circostanze e gli effetti più stupidi del permesso a punti? Possibile che l’Andrea Riccardi ministro dell’integrazione e leader della Comunità di Sant’Egidio non abbia avvertito lo scarto tra quella mortificante “somministrazione” e la complessità di un autentico processo - anche intenzionalmente educativo, perché no? – di integrazione civile? La cittadinanza per i nuovi italiani non è solo una legge di là da venire, è fatta anche dei piccoli preziosi passi concreti di ogni giorno.

Parla da sola, d’altra parte, non solo la conferma della super tassa – da 80 a 200 euro secondo le tipologie e le durate dei permessi di soggiorno – imposta per i rinnovi e i rilasci del permesso di soggiorno, ma anche la puntigliosa micragnosità con cui, con circolare del 2 aprile, gli Interni ne precisano l’applicazione. Il contributo pagato per il permesso di soggiorno, si dice, non deve essere restituito nel caso questo fosse oggetto di diniego. Può essere restituito invece, in caso analogo, il contributo pagato per il permesso elettronico – 27,50 euro - ma ovviamente non senza presentare specifica istanza al ministero dell’Economia e della finanza. L’obbligo di pagare c’è, si intende, anche solo per avere il duplicato del documento che si fosse smarrito. Se sono esentati dal contributo, in omaggio ai principi internazionali di cui finalmente ci ricordiamo, i richiedenti asilo, i titolari di protezione sussidiaria, i rifugiati per motivi umanitari, sia chiaro che ciò non vale per i familiari maggiorenni, anche se a loro carico. Sono intanto più di un milione gli immigrati che, secondo i dati del censimento, risultano mancanti. Rientrati nei paesi d’origine o sprofondati nell’irregolarità a causa della crisi?

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